Armenia rompe con la Russia: scenari attuali e futuri (Osservatorio sulla legalità 10.09.23)
Nonostante le notizie dal fronte non siano delle più entusiasmanti, negli ultimi due giorni nel fan club della NATO si è diffuso un certo entusiasmo a causa delle vicende armene.
Nikol Pashinyan, il primo ministro, ha rotto con la Russia! Sua moglie è a Kiev, a consegnare per la prima volta dall’inizio del conflitto un carico di aiuti umanitari (smartphone, portatili e tablet per i bambini che seguono le lezioni da remoto); un blogger e un giornalista di Sputnik Armenia, rispettivamente Mikael Badalyan e Ashot Gevorkian, sono stati arrestati (sono anche stati rilasciati, ma va bene lo stesso); è iniziato il processo di ratifica dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale, che si tradurrebbe nell’arresto di Putin qualora decidesse di andare in Armenia; e dall’11 al 20 settembre unità militari armene e statunitensi parteciperanno alle esercitazioni “Eagle Partner 2023” che si terranno proprio in Armenia.
Il tutto, dopo un’intervista di Pashinyan a Repubblica una settimana fa nella quale affermava che “dipendere dalla Russia” è stato un errore strategico e che la Russia, probabilmente a causa del suo impegno in Ucraina, non è in grado di proteggere l’Armenia nella contesa con l’Azerbaijan per il Nagorno Karabakh/Artsakh. Il tutto in un quadro sempre più teso, tra le elezioni presidenziali svoltesi oggi in Artshak, non riconosciute ovviamente da nessuno, che hanno portato alla vittoria di Samvel Shahramanyan, e spostamenti di truppe armene, azere e iraniane lungo i rispettivi confini.
Ieri l’ambasciatore armeno in Russia è stato convocato al Ministero degli esteri, dove gli è stata notificata una protesta formale per le azioni e le dichiarazioni “ostili” del governo armeno negli ultimi giorni, e oggi Pashinyan ha discusso della crisi nel Nagorno Karabakh con Macron, Scholtz, Blinken e Raisi, ma non con Putin (Lavrov è in India per il G20, mo che torna vi dà il resto).
Fa dunque piacere che i fan della NATO si siano svegliati all’improvviso, in questo pigro fine settimana di inizio settembre, e abbiano concluso festanti che i rapporti tra Armenia e Russia si sono guastati. Probabilmente si sono persi l’evoluzione della politica estera armena dal 2018 in poi, anno in cui Pashinyan è stato eletto sull’onda dell’ennesima “rivoluzione di velluto” e ha immediatamente varato una serie di avvicinamenti all’Occidente, la cosiddetta “integrazione Euro-Atlantica”, pur restando convenientemente nella Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, della quale l’Azerbaijan non fa parte, e pur dovendo alla vituperata Russia il fatto che ancora esista, sebbene molto più limitato nel territorio, il Nagorno Karabakh, visto che è alla sua azione diplomatica che si deve l’armistizio che ha posto fine alla guerra del 2020, conclusasi con una disfatta imbarazzante per l’Armenia (e dopo essere già intervenuta a suo favore nel 2014, 2015, 2016 e 2018).
Già allora Pashinyan aveva provato a gettare la colpa della performance disastrosa del suo esercito al fatto che fosse armato con armi russe e che gli Iskander in particolare non funzionassero bene, per poi fare un’imbarazzante retromarcia dopo aver fatto scoppiare a ridere in diretta il vice capo di Stato maggiore armeno Tiran Khachatryan, poi licenziato per vendetta. Nel tempo il suo atteggiamento nei confronti della Russia è solo peggiorato, fino ad arrivare appunto alle mosse degli ultimi giorni.
In realtà, le mosse di cui sopra e l’atteggiamento generale possono avere solo due spiegazioni. La prima è che Pashinyan sia così ingenuo, ai limiti dell’imbecillità, da pensare che Francia, Germania, USA e Iran aiuteranno l’Armenia nella guerra contro l’Azerbaijan, non solo mettendosi contro Turchia e Israele, alleati storici dell’Azerbaijan in quel quadrante (Israele ovviamente in funzione anti-Iran) ma rinunciando anche al gas azero con il quale l’Europa sta tamponando la mancanza di quello russo (il gas di Putin non va bene, quello di Aliyev evidentemente è ottimo e soprattutto democratico). E questa ipotesi non regge, ovviamente, perché Pashinyan non è affatto ingenuo.
La seconda è che ormai gli è molto chiaro che la situazione dell’Artshak non presenta vie di uscita favorevoli all’Armenia, né dal punto di vista diplomatico né da quello militare, e che nessuno lo aiuterà: nemmeno l’Iran che, dichiarazioni roboanti a parte, in realtà è interessato solo a mantenere separati Azerbaijan e Nakhichevan in modo che non vi sia un blocco unico Turchia-Azerbaijan su tutto il suo confine nord (come dalla carta) – a proposito, oggi rappresentanti militari azeri e iraniani si sono incontrati a Baku, per discutere di “cooperazione”.
Dunque gli è necessario qualcuno su cui scaricare la colpa, e quel qualcuno non può che essere la Russia, non potendo essere Pashinyan stesso. Non si capisce però in base a quale criterio dovrebbe essere la Russia e entrare in guerra con Azerbaijan e Turchia per un territorio, l’Artshak appunto, che nemmeno l’Armenia riconosce come indipendente o come parte del suo stato (è riconosciuto solo da Abkhazia, Ossetia del Sud e Transnistria, non proprio tre superpotenze militari), né quale dovrebbe essere il suo impegno oltre il mantenere aperto il “corridoio di Laçın”, ovvero l’unica strada che ancora collega l’Armenia con quel che resta del Nagorno Karabakh non occupato dall’Azerbaijan. Soprattutto nel momento in cui (ne parlavo il 19 maggio e il 10 luglio) per favorire il “decoupling” tra sé e l’Occidente la Russia ha bisogno di rapporti quantomeno civili con l’Azerbaijan, che serve al “corridoio nord-sud” che trasporterà, una volta ultimato, merci tra la Russia e i porti iraniani sull’Ocean Indiano, e certo non ha voglia di mettere tutto a repentaglio per fare un favore a Pashinyan.
Quali fossero le sue intenzioni dal 2018 in poi, ovviamente non mi è chiaro: ma inimicarsi l’unico alleato nella regione, e l’unico in grado di bilanciare l’assistenza politica e militare turca all’Azerbaijan, non mi pare sia stata una gran mossa. Probabilmente Pashinyan è l’ennesimo politico post-sovietico (nel gruppo ci metto anche Eltsin) che ha creduto alle promesse dell’Occidente per poi trovarsi con un pugno di mosche quando la situazione si è fatta critica.
È successo in Georgia, è successo in Ucraina, può darsi succeda anche in Armenia perché, lo ripeto, non ce la vedo una spedizione militare franco-tedesca a garantirne la sicurezza.
Ad ogni modo, fonti azere comunicano che un camion di aiuti umanitari è stato mandato oggi dalla Croce Rossa russa in Artshak. Non è molto, ma è più di quello che hanno mandato gli interlocutori telefonici di Pashinyan.