ARMENIA: Punire la violenza domestica o “ristabilire l’armonia familiare”? (Eastjournal 22.01.18)
Ci sono voluti oltre dieci anni di battaglie condotte dalle organizzazioni per i diritti delle donne, due proposte bocciate dal parlamento nel 2009 e 2013, e mesi di accesi dibattiti, affinché l’Armenia adottasse finalmente una legge sulla violenza domestica.
Nella versione finale approvata lo scorso dicembre, la tanto attesa legge ha però subito un totale stravolgimento che ne mette in dubbio l’efficacia e addirittura la vera finalità. Qual è il risultato e cosa ne pensano la società civile e le organizzazioni per i diritti delle donne?
Cambia il nome, cambia la sostanza
Il titolo parla da sé: quella approvata dall’Armenia è una legge “sulla prevenzione della violenza nella famiglia, sulla protezione delle vittime di violenza nella famiglia e sul ristabilimento dell’armonia familiare”. Per prima cosa, il termine “violenza domestica” è stato sostituito da violenza “nella famiglia”: una modifica che restringe il campo d’azione della legge. Come lo spiega l’attivista Artur Sakunts, direttore della Helsinki Citizens’ Assembly di Vanadzor, secondo la formulazione attuale la legge è applicabile solo nei casi di coppie ufficialmente sposate e che vivono sotto lo stesso tetto.
In secondo luogo, il titolo della legge racchiude in sé il cosiddetto “principio della riconciliazione”, che ha suscitato l’ira delle associazioni per i diritti delle donne. In pratica, la legge prevede che le forze di polizia (e lo stato stesso) possano intromettersi nella vita privata delle coppie per proporre una mediazione. Gli abusanti potranno “riconciliarsi” con le vittime attraverso un organo indipendente (la cui composizione e nomina non sono ancora state chiarite) al fine di risolvere la questione senza ricorrere al tribunale. Secondo Lara Aharonian, co-direttrice del Women’s Resource Center, questo tipo di mediazione, già rivelatosi inefficace in altri paesi, presenta dei rischi per le vittime di violenza domestica: può essere usato come forma di pressione ed è inoltre assolutamente inappropriato quando il rischio che la violenza si ripeta è alto.
Non si combatte l’impunità
Un sondaggio condotto dall’OSCE nel 2011 rivela che almeno il 60% delle donne armene ha subito qualche forma di violenza domestica nella propria vita. Allarmante è anche il tasso di femminicidi: tra il 2010 e il 2017, almeno 50 donne sarebbero state uccise dai propri compagni o ex-partner. Nella maggioranza dei casi, le indagini sono condotte in modo superficiale, i colpevoli vengono addirittura giustificati di fronte al tribunale e ricevono pene minime (9 anni di carcere in media).
Alla luce di questi dati, un altro punto debole della nuova legge è il mancato inasprimento delle pene. L’unico cambiamento che essa introduce nel codice penale è infatti di tipo preventivo: se avvertita, la polizia potrà intervenire più rapidamente per proteggere la vittima, anche prima che la violenza abbia luogo. Infine, sebbene il testo proponga la creazione di un Consiglio incaricato di supervisionare la messa in atto della legge, i membri di quest’organo saranno nominati dal primo ministro, ciò che ne mette in discussione l’imparzialità.
Secondo Aharonian, gli aspetti positivi della nuova legge si limitano alla creazione di nuovi centri di accoglienza per le vittime di violenza domestica, e ad una serie di misure di sensibilizzazione al problema. Tra queste, dei corsi di formazione rivolti al personale giudiziario e dell’educazione, e alle forze di polizia.
Tempi lunghi e disinformazione
L’adozione di una legge sulla violenza domestica in Armenia è frutto del lungo lavoro di attivismo svolto, a partire dal 2007, dalle organizzazioni per i diritti delle donne, sostenute anche dalla diaspora. I dieci anni trascorsi tra l’inizio del dibattito e l’approvazione della legge sulla violenza domestica hanno però favorito il diffondersi di controversie e manipolazioni mediatiche.
In particolare, gruppi di nazionalisti e altre pseudo-ONG sostenute dalla Russia hanno cercato di screditare la legge negandone la necessità e diffondendo informazioni false sul suo contenuto. Secondo una delle notizie infondate che ha avuto più seguito tra l’opinione pubblica, la legge sulla violenza domestica non sarebbe altro che “un nuovo meccanismo di distruzione della famiglia, per sottrarre i bambini ai genitori ed affidarli ai centri di accoglienza”, nonché opera di gruppi “ostili all’interesse della nazione”.
Nuovo terreno di scontro tra i sostenitori dei cosiddetti “valori tradizionali” contro quelli “occidentali” e “liberali”, la legge sulla violenza domestica ha inoltre risentito delle oscillazioni geopolitiche in cui l’Armenia è coinvolta – e che emergono anche nelle contraddizioni interne al governo.
Tra due fuochi
Fino all’ultimo, Eduard Sharmazanov, leader del partito di maggioranza, ha infatti criticato la legge (finalizzata dal suo stesso governo) perché contraria ai “valori della famiglia tradizionale” e ad alcuni princìpi biblici tra cui l’ubbidienza della donna all’uomo. Eppure, vari commentatori avevano previsto che la legge sulla violenza domestica sarebbe alla fine stata approvata – anche se in una versione più “soft”.
In ballo c’era infatti un assegno di 11 milioni di euro, provenienti dal programma di sostegno al bilancio per i diritti umani della Commissione Europea. Una somma considerevole che sarebbe stata destinata all’Armenia previa adozione di una legge sulla violenza domestica, come parte del Piano d’Azione nazionale per la protezione dei diritti umani. Il governo armeno si è quindi trovato alle strette, tra la necessità di adeguarsi agli standard del programma di sostegno al bilancio, e quella di giostrare l’elettorato conservatore e le organizzazioni nazionaliste e filorusse.
Il risultato è una legge “a metà”. Cercando di accontentare tutte le parti, questa rischia di mancare il suo obiettivo principale, spostando l’attenzione dalla protezione delle vittime di violenza domestica al ristabilimento di un’astratta “armonia familiare”.
Per ora, l’UE non ha espresso pareri sul contenuto della legge.