Armenia: nella periferia di Artashat la Chiesa a fianco dei poveri (Agensir 19.09.19)
Viaggio nella periferia di Yerevan, al confine con la Turchia, alla conoscenza di due progetti finanziati anche con l’8xmille donato dai contribuenti italiani alla Chiesa cattolica. “Non avete idea del bene che l’Italia fa per noi”, confida il vescovo Minassian ad un gruppo di giornalisti italiani della Federazione dei settimanali cattolici (Fisc): “Quei soldi danno una speranza di vita a coloro che più ne hanno bisogno. Per voi è una cifra. Per noi, una vita”
Lunghe strade sterrate. Campi sterminati dove non c’è niente. Villaggi di case costruite in mattone, con tetti in lamiera, purtroppo anche di eternit. Appena si esce fuori da Yerevan, la capitale dell’Armenia, si sprofonda in un infinito di povertà. All’orizzonte gli antichi monasteri delineano il paesaggio, Al loro interno conservano le reliquie dei santi e dei grandi protagonisti della storia armena, si ergono con le loro croci sulle colline quasi come fari di una speranza di pace e futuro che qui non si è mai spenta. E qui in questa periferia della periferia che la Chiesa cattolica ha deciso di puntare lo sguardo. vescovo armeno-cattolico Raphael Minassian confessa:
“Come vedo un povero, dentro qualcosa mi dice: no, non lo posso lasciare indietro”.
Siamo ad Artashat, città che si trova ad una cinquantina di chilometri da Yerevan, al confine con la Turchia. All’orizzonte si staglia possente la cima innevata del Monte Ararat, dove secondo la narrazione biblica si fermò l’Arca di Noè. In lontananza, sullo stesso orizzonte, si vedono le vedette sulle quali i militari russi sorvegliano la frontiera, proibendo qualsiasi transito in uscita e in entrata. Lo stesso avviene ad Est al confine con Azerbaigian, paese con il quale è in corso un conflitto latente per la contesa del territorio del Nagorno-Karabakh. Una guerra mai del tutto pacificata (nonostante la tregua) che costringe il paese a vivere in un clima di forte tensione.
E’ anche la chiusura dei confini ad ovest e ad est del Paese a far sprofondare l’Armenia in una crisi economica seria impendendo il transito delle merci, lo sviluppo del commercio. Gli armeni parlano di un “genocidio bianco”.
Secondo gli analisti, il decollo dell’economia verso un più alto livello di benessere non può non prescindere da un miglioramento con la Turchia così come da un accordo definitivo con l’Azerbaigian. Intanto, la crisi sta mettendo alla prova le famiglie, soprattutto quelle che vivono nelle campagne.
Ed è qui in questa regione dove apparentemente non c’è nulla che la Chiesa cattolica armena con la Caritas ha attivato due progetti a favore delle due fasce della popolazione più vulnerabili: i bambini e gli anziani. La sede della Caritas ad Artashat si trova nel quartiere più popolare del villaggio. Tra panni stesi e case dissestate, su una porta come tante altre, si fa notare una targa elegante e in argento con il nome della Caritas scritta in rosso e in armeno. Da qui, i volontari coordinano l’assistenza domiciliare per gli anziani della zona. Uno staff di una ventina di persone che ogni giorno fanno il giro, casa per casa, per andare a trovare gli anziani. Sono 60 le persone quotidianamente curate. Nelle loro case non c’è nulla. Non ci sono bagni. L’acqua corrente non arriva. Vengono lavati, vestiti e in caso di malattie curati. Dal Centro Caritas ogni 15 giorni si smistano sacchi di viveri con dentro burro e formaggio, riso e zucchero e prodotti per l’igiene
Ma è la solitudine, spesso l’abbandono, il male più grande e i volontari ascoltano, sorridono, abbracciano.
Il progetto va avanti grazie ai soldi dell’8xmille, una donazione di 120mila euro che dai contribuenti Italiani arrivano qui. “Non avete idea del bene che l’Italia fa per noi”, confida il vescovo Minassian ad un gruppo di giornalisti italiani della Federazione dei settimanali cattolici (Fisc). “Quei soldi danno una speranza di vita a coloro che più ne hanno bisogno. Per voi è una cifra. Per noi una vita”.
Poco più in là c’è il Centro “Piccolo Principe”. I bambini si sono messi in fila fuori dall’ingresso. Intonano una canzone e poi come benvenuto offrono una pizza da inzuppare nello zucchero. Sono felici. Ansiosi di presentarsi. Stringere mani. Hanno dai 7 ai 17 anni. Sono una quarantina.
Per loro qui è una seconda casa. Anzi la loro casa. Alle spalle – ci racconta il vescovo – hanno famiglie spezzate.
Alcuni di loro non hanno il padre. Alcuni non hanno la madre. Altri, orfani, vivono con i nonni. Una condizione che li rende vulnerabili. Arrivano dopo la scuola e prima di immergersi nei compiti mangiano e fanno varie attività. Corsi di danza. Musica. Arte. Sport. All’inizio è stato il comune a segnalare i casi più delicati. Ora che il centro è conosciuto, i ragazzi vengono qui da soli. Anche questo progetto non ci sarebbe se non ci fosse il contributo dell’8xmille della Chiesa italiana che per le attività del Centro eroga 50mila euro. E si sa che la solidarietà è contagiosa. Al piano di sopra ci sono macchine da cucire offerte da un gruppo di sacerdoti bresciani che servono per la produzione di calze ed offrono un’opportunità di lavoro per le famiglie di questi ragazzi. Gaiane Hovhannissian è la responsabile del centro ed è una educatrice. “Vogliamo seminare la laboriosità. Formare cioè gli uomini e le donne del nostro futuro a lavorare con anima e cuore. Ma quello che più conta, è che qui questi ragazzi non perdano mai il sorriso”.
“La Chiesa povera per i poveri”: così il vescovo Minassian definisce la presenza dei cattolici qui in Armenia.
“La Chiesa qui soffre e vive con i poveri ma lo fa con gioia. E’ questa la nostra testimonianza, la nostra missione qui in Armenia: portare il sorriso a quelli che soffrono. Questo è l’umile servizio al quale lavoriamo, per amore di Dio”.