Armenia, l’arcivescovo chiede le dimissioni di Pashinyan (Osservatorio Balcani e Caucaso 14.05.24)
Dai 20 ai 30mila manifestanti, capeggiati dall’arcivescovo Bagrat Galstanyan, hanno protestato nella capitale armena per opporsi al processo di demarcazione in corso tra Armenia e Azerbaijan, a seguito della guerra per il Nagorno Karabakh, e chiedere le dimissioni del primo ministro
Giovedì scorso, prima dell’incontro dei ministri degli Esteri armeno e azero ad Almaty, in Kazakistan, circa 20-30.000 manifestanti si sono radunati in Piazza della Repubblica a Yerevan per opporsi al processo di demarcazione avviato in una parte dell’Armenia nord-orientale. La manifestazione è stata preceduta da una marcia di 170 chilometri guidata dall’arcivescovo della regione di Tavush, Bagrat Galstanyan.
Vestito di bianco, anziché di nero come suo solito, Galstanyan ha chiesto le dimissioni del primo ministro armeno Nikol Pashinyan. Ad affiancarlo c’erano membri dell’opposizione armena e rappresentanti di vari gruppi militanti, tra cui Hampig Sassounian, condannato per l’assassinio del console generale turco a Los Angeles nel 1982 fino alla controversa libertà condizionale ottenuta nel 2021.
Galstanyan, nato a Gyumri, ex arcivescovo della Chiesa apostolica armena in Canada, è noto per aver partecipato alle manifestazioni della Federazione Rivoluzionaria Armena – Dashnaktsutyun (ARF-D) per deporre Pashinyan e ostacolare la normalizzazione dei rapporti armeno-azeri nel 2022.
Il suo coinvolgimento ha sollevato dubbi sulla separazione tra Chiesa e Stato in Armenia. “Un religioso non può pronunciare un testo politico senza il permesso o le istruzioni del Catholicos di tutti gli armeni”, ha affermato Pashinyan in un’intervista televisiva in diretta il 7 maggio. “È ovvio che il leader del processo è il Catholicos di tutti gli armeni, e il beneficiario è [l’ex presidente] Robert Kocharyan”.
Intervenendo alla manifestazione, il carismatico e populista sacerdote ha solo accennato al processo di delimitazione e demarcazione, chiedendo invece le dimissioni di Pashinyan entro un’ora, aggiungendo poi una proroga di 15 minuti caduta nel vuoto.
Galstanyan ha poi incontrato i rappresentanti dei blocchi parlamentari di opposizione Hayastan di Kocharyan e Pativ Unem di Serzh Sargsyan, costituiti principalmente da Dashnaktsutyun e dal Partito della Repubblica, per discutere i prossimi passi.
I partiti hanno concordato di chiedere nuovamente un voto di sfiducia nei confronti di Pashinyan in Parlamento, anche se per farlo hanno bisogno di 36 deputati. Il blocco di Kocharyan e Sargsyan ha solo 35 seggi su 107.
Nel frattempo, la seconda manifestazione indetta da Galstanyan ha attirato molti meno partecipanti, stimati intorno agli 11.000. La terza, tenutasi domenica, ha attirato appena 9.000 persone. Con la notevole diminuzione delle presenze in così poco tempo, le manifestazioni sono state interrotte e i suoi sostenitori ora si incontreranno ogni giorno in una chiesa vicina. Galstanyan, tuttavia, ha chiesto la ripresa della campagna di disobbedienza civile nella città a partire da lunedì. A mezzogiorno, 151 persone erano state arrestate dalla polizia.
Molti osservatori ritengono che, nonostante la novità iniziale di una marcia e manifestazione guidata da sacerdoti, la sua associazione con partiti vicini all’ex presidente Robert Kocharyan e al Catholicos armeno abbia già danneggiato il nascente movimento. Galstanyan continua però a chiedere la cacciata di Pashinyan. “Abbiamo bisogno di un nuovo governo, un governo del popolo, un governo attento e paziente, un governo di riconciliazione”, ha detto ai manifestanti.
Venerdì, anche l’ex ministro degli Esteri di Kocharyan, Vardan Oskanyan, ha sorpreso molti dicendo che il primo ministro di tale governo potrebbe essere lo stesso Galstanyan, che però non è idoneo in quanto ha anche la cittadinanza canadese. Ciò, tuttavia, non sembra averlo scoraggiato.
“Se il popolo lo vuole e il patriarca armeno lo benedirà, chi sono io per dire di no?”, ha detto Galstanyan ai media. Considerando i numeri, tuttavia, ciò sembra improbabile anche se l’opposizione riuscisse a mettere sotto accusa Pashinyan, il cui partito del Contratto Civile detiene ancora la maggioranza in Parlamento.
Il governo continua a sostenere che le proteste sono coordinate da Kocharyan e Sargsyan, figure ampiamente impopolari in Armenia, anche se il rating di Pashinyan è peggiorato. Galstanyan sostiene di non essere contrario alla pace o alla demarcazione, ma la retorica delle azioni di protesta manda un messaggio diverso.
Gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno accolto con favore l’accordo sui confini e lunedì il Ministero degli Esteri francese ha esortato le parti a proseguire il processo. Domenica, un gruppo di ex diplomatici allineati a Galstanyan ha affermato che basare la demarcazione sulla dichiarazione di Almaty del 1991, come concordato, è “illegale” e porterà ripercussioni “penali”.
Il giorno successivo, il ministro degli Esteri armeno Ararat Mirzoyan non si è trattenuto nella sua risposta. “Minando la dichiarazione di Almaty e il processo di pace basato su di essa, queste persone continuano […] a minare la sovranità, lo stato e l’integrità territoriale dell’Armenia: nella migliore interpretazione, senza rendersene conto, [ma] nella peggiore, sotto dettatura diretta di un altro Paese”, ha detto con un velato riferimento, molto probabilmente, alla Russia.