Armenia. La politica estera svizzera è chiamata in causa (Cath.ch 08.05.24)
La commissione Giustizia e pace dei vescovi svizzeri in un comunicato rende noto che l’Armenia, la più piccola repubblica del Caucaso meridionale, affronta nuove minacce dopo l’espulsione di circa 150.000 armeni dal Nagorno-Karabakh da parte dell’Azerbaigian, il quale rivendica un corridoio nel sud dell’Armenia per ottenere un accesso diretto alla sua exclave Naxçıvan. Per evitare che la situazione sfoci in un ulteriore conflitto militare, la politica estera svizzera deve assumere una posizione più decisa in favore di una soluzione pacifica del conflitto.
La Commissione nazionale svizzera Giustizia e Pace e la rete delle Commissioni europee Giustizia e Pace sono preoccupate per le attuali tensioni nel Caucaso meridionale. In qualità di membro del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, la Svizzera si dovrebbe impegnare per i diritti umani e il rispetto del diritto internazionale. Questa appartenenza comporta anche una responsabilità politica. Se la Svizzera vuole essere all’altezza delle proprie aspirazioni, dei propri interessi e del suo rapporto ultracentenario con la popolazione armena, deve assumere un ruolo più impegnato in politica estera.
Nel corso di discussioni e scambi con ONG, organizzazioni umanitarie ed esperti politici sul campo, Giustizia e Pace ha osservato che, nonostante le concessioni sostanziali fatte dall’Armenia nei negoziati di pace in corso, le posizioni dure e inasprite dell’Azerbaigian rimangono invariate. La minaccia di ulteriori interventi militari è nell’aria. L’Azerbaigian è sostenuto dalla Turchia, mentre la Russia non onora i suoi obblighi di alleanza nei confronti dell’Armenia dal 2020. Ciò rende la situazione sul terreno una polveriera.
La risposta dell’Armenia alla situazione precaria di lunga data è di rivolgersi sempre più all’Europa, in particolare all’UE, a partire dal 2020. Anche la Svizzera ha dichiarato ufficialmente la propria disponibilità ad avvicinarsi all’Armenia da una prospettiva politica europea.
Per Giustizia e Pace, i seguenti aspetti della politica estera svizzera sono di primaria importanza dal punto di vista dell’etica della pace.
Il Consiglio federale e, se competente, il Parlamento dovrebbero:
- insistere sull’attuazione di tutte le decisioni e raccomandazioni pertinenti della Corte internazionale di giustizia e della Corte europea dei diritti dell’uomo in relazione al conflitto tra Armenia e Azerbaigian;
- adoperarsi per il rilascio di tutti i prigionieri di guerra e degli ostaggi detenuti dalle autorità azere arbitrariamente e, secondo il diritto internazionale, illegalmente;
- fare pressione su entrambe le parti, in particolare sull’Azerbaigian, per risolvere tutte le questioni in sospeso esclusivamente attraverso negoziati e con mezzi pacifici, nel pieno rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale di ciascun Paese e del diritto internazionale. Occorre astenersi dall’uso della forza e dalla minaccia della forza;
- adoperarsi per garantire che l’Azerbaigian si astenga da discorsi di odio discriminatorio e da continue dichiarazioni istigatorie volte a denigrare la comunità etnica armena;
- fornire ai circa 150.000 rifugiati e sfollati in Armenia un’assistenza per l’integrazione e l’avviamento economico commisurata alla tradizione umanitaria e alle risorse finanziarie della Svizzera;
- perseguire l’obiettivo di un ritorno sicuro, volontario e permanente di tutti gli armeni sfollati dalla loro patria del Nagorno-Karabakh e contribuire a far sì che possano condurre una vita libera da paure, intimidazioni e discriminazioni nella loro patria;
- contribuire attivamente a garantire che una missione guidata dall’UNESCO, composta da esperti internazionali e locali indipendenti, abbia accesso al Nagorno-Karabakh per documentare lo stato degli antichi siti di fede cristiana e garantirne la conservazione;
- contrastare qualsiasi altra violazione da parte dell’Azerbaigian che non tenga conto delle rivendicazioni dell’Armenia all’integrità territoriale secondo il diritto internazionale, alla rinuncia alla forza armata richiesta a livello internazionale e alla protezione delle minoranze, con mezzi legali, economici e politici i più rigorosi possibili, comprese sanzioni mirate contro i responsabili.
Con una simile posizione, la politica estera svizzera può contribuire, nel proprio interesse, in modo credibile e preventivo a uno sviluppo più stabile e pacifico del Caucaso meridionale.