Armenia: il voltafaccia dell’Italia (Tempi 05.12.23)
L’autore di questo articolo, Bruno Scapini, è stato ambasciatore italiano in Armenia
In un mondo che va decisamente “al contrario” – per dirla alla maniera del generale Vannacci – non stupisce quanto affermato da Edmondo Cirielli, vice ministro agli Esteri, nell’intervista rilasciata il 1 dicembre scorso alla testata on-line Formiche.net a riguardo dell’Armenia. Non stupisce, ma infastidisce e ripugna per la disinvolta superficialità con cui il politico affronta la spinosa questione della guerra tra l’Armenia e l’Azerbaigian in disprezzo, non solo delle verità storiche, ma anche della stessa documentazione che il medesimo cita a fondamento e giustificazione di una non meglio precisata “postura internazionale” dell’Italia.
Leggendo tra le righe, infatti, chiaramente emerge dall’intervista l’impressione che il nostro vice ministro abbia sposato, nell’interpretare i più recenti sviluppi del conflitto, la “causa azera”; e che anzi la perori ben al di là di un qualsiasi ragionevole dubbio, riuscendo in tale suo intento perfino meglio di un ministro dello stesso Governo azerbaigiano!
L’origine dell’instabilità
Innanzitutto preme osservare, per amore di trasparenza e verità, come l’affermazione del vice ministro, secondo cui «dietro la destabilizzazione tra l’Armenia e l’Azerbaigian ci sia la Russia», non corrisponda affatto alla realtà storica di un negoziato trentennale condotto in seno all’Osce nell’ambito del Gruppo di Minsk. Sebbene il processo di pacificazione avviato fin dal “cessate il fuoco” del 1994 abbia subito alterne vicende, il suo fallimento non sembrerebbe addebitarsi ad una “malevola” volontà di Mosca di destabilizzare – peraltro a suo stesso svantaggio – le relazioni tra i due Paesi.
Nel Gruppo di Minsk, se ben ricordiamo, facevano parte, oltre alla Russia, gli Stati Uniti e la Francia, affiancati, almeno per un periodo iniziale, da altri Paesi tra cui addirittura lo stesso Governo italiano. Dunque, si tratterebbe, se proprio vogliamo attribuire una colpa a qualcuno per quest’opera di destabilizzazione, di una responsabilità condivisa con i Paesi occidentali e non esclusivamente della Russia.
Ma la instabilità di cui parla il Cirielli ha ben altre origini come sappiamo, e risale al tempo della costituzione della auto-proclamatasi Repubblica indipendente dell’Artsakh nel 1991. Uno sviluppo, quest’ultimo, più che legittimo alla luce di quanto disponeva la Legge n. 13 del Soviet Supremo del 1990 (peraltro usufruita dallo stesso Azerbaigian) in tema di secessione e indipendenza delle Repubbliche ex sovietiche e delle entità sub-statuali presenti al loro interno, come è stato per l’appunto il caso del Nagorno Karabakh.
Interessi mercantili
A determinare lo scoppio delle ostilità, dunque, non è stata l’iniziativa armena, bensì il mancato riconoscimento da parte di Baku di questa libera scelta del popolo armeno dell’Artsakh a fronte della quale l’Azerbaigian ha mosso la prima guerra di aggressione. D’altra parte, non può sfuggire all’attenzione di un buon politico che se, da un lato, si sostiene il principio dell’integrità territoriale, dall’altra, l’aspirazione all’indipendenza nel caso del Karabakh (territorio di insediamento storico millenario degli armeni trasferito negli anni ’20 del XX secolo da Stalin dall’Armenia all’Azerbaigian per compiacersi la Turchia di Ataturk) obbedisce ad un ben più valido e conclamata principio, peraltro sostenuto e difeso dalle Nazioni Unite, quale è quello del “diritto all’auto-determinazione dei popoli”.
Ma tutto questo la politica estera italiana sembra dimenticarlo, o per lo meno, relegarlo a considerazioni marginali nella prevalenza di interessi mercantili di ignobile lignaggio (petrolio e gas) e in virtù di un imperante pensiero unico, allineato con Washington e votato a singolarizzare la Russia quale eterno nemico della democrazia americana!
Risoluzioni dell’Onu
Neanche sul piano giuridico internazionale poi le affermazioni di Cirielli risultano corrispondere alla realtà.
Tutte le Risoluzioni dell’Onu, a partire da quelle del 1993 (n. 822, 853, 874 e 884) si riferiscono non alla condanna dell’Armenia per una presunta aggressione, bensì alle zone poste al di fuori dell’Artsakh occupate dagli armeni durante la Guerra del 1992/94 per motivi di sicurezza territoriale, ma oggetto di restituzione a termini di un pacchetto risolutivo (principi di Madrid) proposto al tempo proprio dai Paesi parti del Gruppo di Minsk e accettato da Yerevan nel corso del negoziato.
Ma esistono ancora ben altre risoluzioni oltre a quelle dell’Onu. E sono quelle con cui si esplicita la condanna dell’Azerbaigian per le gravissime violazioni dei Diritti Umani. Basti ricordare al riguardo le mutilazioni e l’uccisione indiscriminata di civili commesse dagli azeri nel corso dei tanti attacchi sulla linea di contatto, e l’efferato omicidio del sottufficiale armeno Margaryan per mano del collega azero Safarov a Budapest nel 2004 vergognosamente elevato dal Presidente Aliyev a eroe nazionale!
Di tali crimini, di cui l’Occidente sembra oggi rifiutarsi di tenere a memoria, si fa stato in vari atti del Consiglio d’Europa (es. Ris. del 23 giugno 2023) e dello stesso Parlamento Europeo (Ris. del 15 marzo 2023) per non citare gli atti di condanna per la sistematica distruzione del patrimonio monumentale storico-religioso operata dagli azeri sui territori occupati al fine di cancellare la memoria storica di un popolo, peraltro parte della nostra stessa civiltà europea.
Il destino dell’Armenia
Non si tratta, dunque, per l’Armenia – come erroneamente afferma il nostro vice ministro nel spiegare le ragioni di questo conflitto – di revanscismo o di nazionalismo presente in taluni circoli politici armeni, e né di sciovinismo da parte di una Diaspora che ha sempre creduto fin dal tempo del Genocidio del 1915 alla realizzazione di una Giustizia Storica finora ancora mancata per colpevole inerzia occidentale. Qui, invece, è in ballo il destino della stessa Nazione armena, messa a rischio oggi di perdere la propria identità per una visione fallace degli interessi in gioco da parte delle Potenze occidentali.
No, non è, dunque, questo il tempo, e né ve ne sarebbero i presupposti – contrariamente a quanto precisa il vice ministro – di cambiare la narrazione internazionale della disputa. È tempo al contrario che da parte occidentale, e in particolare dell’Italia, si adotti il metro della “verità” nella condotta delle relazioni internazionali e che si assuma il perseguimento della giustizia a contenuto di una “postura” fedele ai valori di libertà dei popoli nel riconoscimento del loro diritto fondamentale ad esistere in totale sicurezza, piena autonomia ed indipendenza.