Armenia: il dilemma del nucleare (Osservatorio Bacani e Caucaso 02.09.24)
L’Armenia vuole chiudere la centrale nucleare di Metsamor, obsoleta e costruita in territorio sismico, e costruire un nuovo impianto entro il 2036. Per realizzarlo, Yerevan sta negoziando con Russia, Francia e Stati Uniti: una partita che tocca questioni energetiche ma anche geopolitiche
All’inizio di agosto il governo armeno ha istituito un nuovo organismo per monitorare l’attesa chiusura del vecchio reattore nucleare di Metsamor, costruito nel periodo sovietico, che dovrebbe essere sostituito da un nuovo impianto entro il 2036. Al momento Yerevan sta negoziando con diversi paesi – in particolare con Russia, Stati Uniti e Corea del Sud – per costruire un nuovo reattore capace di soddisfare le future esigenze energetiche dell’Armenia.
La centrale nucleare di Metsamor, entrata in funzione alla fine degli anni ’70, attualmente copre il 30-40% del fabbisogno elettrico nazionale. La percentuale varia a seconda della stagione.
Da tempo, ormai, la centrale di Metsamor suscita preoccupazione dal punto di vista della sicurezza, considerando la struttura e l’obsolescenza dell’impianto, oltre al fatto di sorgere in un’area sismica. Già negli anni 2000 l’Unione europea aveva chiesto di mettere fuori uso il vecchio impianto. Però in assenza di alternative, il reattore di Metsamor è sempre rimasto in funzione, eccetto nei sei anni successivi al devastante terremoto del 1988.
La decisione di sostituirlo arriva in un momento caratterizzato da preoccupazioni per il riscaldamento globale e dal tentativo di passare dalle fonti fossili a quelle rinnovabili. A completare il quadro, le rivalità geopolitiche nel Caucaso meridionale che hanno raggiunto livelli senza precedenti dopo l’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022.
Nel dicembre 2023 l’Armenia ha firmato un accordo con l’agenzia nucleare russa Rosatom per modernizzare il reattore di Metsamor in modo da mantenerlo in vita fino al 2036, ossia fino a quando il nuovo impianto non sarà pronto. Recentemente anche i rappresentanti dell’azienda francese Framatome, produttrice di reattori nucleari, hanno visitato l’Armenia per incontrare Armen Grigoryan, segretario del Consiglio di sicurezza armeno. Il funzionario di Yerevan ha reagito con entusiasmo al rinnovato interesse della Francia per lo sviluppo del settore nucleare armeno.
In molti però ritengono che Yerevan sia più favorevole alla possibilità che gli Stati Uniti costruiscano un nuovo impianto basato sui cosiddetti “small modular reactors” [SMR, piccoli reattori modulari]. Pur non essendo stati sufficientemente testati per uso civile, gli SMR sono visti come un espediente per aiutare i paesi come l’Armenia a ridurre la loro dipendenza energetica da Mosca.
Qualche mese fa Armen Grigoryan ha dichiarato che i colloqui con gli Stati Uniti sugli SMR sono entrati in una fase “sostanziale”, rendendo più concreta l’ipotesi di una partnership energetica tra Washington e Yerevan. Recentemente, il Dipartimento di stato degli Stati Uniti ha confermato di aver ricevuto una richiesta di Yerevan di accelerare il processo.
Il nocciolo della questione è l’autorizzazione – prevista dalla legge statunitense sull’energia atomica del 1946 – per esportare tecnologie nucleari civili all’estero. Nel luglio di quest’anno, nel corso di una visita a Yerevan, Samantha Power, direttrice dell’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID), ha lodato l’impegno dell’Armenia nel potenziare le sue fonti di energia rinnovabile, sottolineando che l’energia nucleare svolgerà un ruolo chiave nella transizione energetica del paese.
Nel 2022, l’Armenia ha prodotto 9 GWh (gigawattora) di energia elettrica: il 43,5% da gas, il 32% da fonti nucleari, il 21,8% da impianti idroelettrici, mentre il solare e l’eolico hanno raggiunto rispettivamente appena il 2,7% e lo 0,02%.
L’energia nucleare è considerata un elemento chiave per ridurre la dipendenza energetica di Yerevan da Mosca, soprattutto tenendo conto del fatto che la Russia, sulla base di un accordo siglato nel 2013, potrebbe detenere il monopolio sulla fornitura e la distribuzione del gas in Armenia fino al 2043.
Nel maggio 2022, Antony Blinken, segretario di stato americano, e Ararat Mirzoyan, ministro degli Esteri armeno, hanno firmato un memorandum per esplorare le potenzialità dei piccoli reattori nucleari. Washington però deve ancora costruire un primo SMR operativo sul proprio territorio, dopo che l’anno scorso un progetto di questo tipo è stato abbandonato per via dei costi stimati in 5-9 miliardi di dollari.
Ad ogni modo, gli analisti vicini al primo ministro armeno Nikol Pashinyan credono che il governo di Yerevan sia favorevole all’opzione SMR. Pashinyan l’ha già definita “politicamente appetibile”.
L’anno scorso una delegazione armena si è recata in visita negli Stati Uniti per esplorare le potenzialità degli SMR e la possibilità di smarcarsi da Mosca. Nonostante alcuni esperti, compresi quelli dell’ufficio dell’Onu a Yerevan, invitino alla cautela nei confronti della tecnologia SMR, sottolineando che le tecnologie russe sono già state testate e utilizzate in Armenia, Pashinyan continua ad esprimere interesse per i reattori statunitensi.
Sembra dunque che il premier armeno abbia già preso una decisione e che stia solo aspettando che si creino i presupposti legali per permettere all’Armenia di ricevere le tecnologie nucleari statunitensi per uso civile.
Resta però la questione della fornitura del combustibile nucleare, che attualmente viene trasportato in Armenia dalla Russia per via aerea. Non è chiaro come Yerevan possa procurarselo altrimenti nel caso di un’eventuale rottura con Mosca.
In un articolo scritto per il think tank Carnegie Endowment for International Peace, l’analista Areg Kochinyan parla della possibilità di ottenere l’uranio dal Kazakistan, ammesso che la Russia consenta il transito attraverso il proprio spazio aereo. Una seconda via potrebbe passare dall’Azerbaijan, ipotesi che però sembra poco realistica anche nel caso di un’eventuale normalizzazione delle relazioni tra Baku e Yerevan.
L’unica alternativa che rimane – quella di trasportare il combustibile nucleare attraverso il Mar Caspio e l’Iran – dipende dalla prontezza degli Stati Uniti di accettare tale scelta.
Ad ogni modo, la decisione definitiva su come sostituire il reattore nucleare di Metsamor dovrebbe essere presa nei prossimi due anni e con ogni probabilità rifletterà le dinamiche della rivalità tra Occidente e Russia nel Caucaso meridionale.
Nel frattempo, venerdì 30 agosto, sono state nuovamente sollevate preoccupazioni sulla sicurezza dopo che il reattore di Metsamor, colpito da un fulmine, si è temporaneamente spento. Il governo ha sottolineato che l’interruzione è scattata grazie al corretto funzionamento dei sistemi di sicurezza automatizzati della vecchia centrale. Il giorno successivo il reattore ha ripreso a funzionare.