Armenia, Export e Sanzioni nelle Dinamiche Geopolitiche Eurasiatiche (Specialeeurasia 28.08.23)
Geopolitical Report ISSN 2785-2598 Volume 33 Issue 12
Author: Emanuele Aliprandi
Nel contesto geopolitico attuale, caratterizzato dal conflitto ucraino e dallo scontro tra Bruxelles e Mosca, l’incremento dell’export europeo verso l’Armenia ha sollevato dubbi sulla possibilità che questo permetta di aggirare le sanzioni, dilemma che però non coinvolge il vicino Stato azerbaigiano la cui politica estera sfrutta il supporto europeo, ma non tralascia gli accordi commerciali con la Russia.
Nelle ultime settimane sono apparsi su alcune testate italiane articoli che ponevano dubbi sui dati dell’export italiano verso alcuni Paesi dell’area euro-asiatica, lasciando intendere che questi Stati svolgano un ruolo di ponte per aggirare le sanzioni comminate dall’Unione europea alla Russia in conseguenza del conflitto in Ucraina.
Titoli e contenuti di questi articoli meritano alcune riflessioni al fine di dare ai numeri forniti la loro esatta cornice, in special modo nel contesto del Caucaso meridionale, regione che detiene una importanza strategica nello scacchiere geopolitico eurasiatico fungendo da ponte tra l’Europa e l’Asia.
Rapporti commerciali Italia-Armenia nel contesto economico armeno
Analizzando il caso dell’Armenia è possibile constatare che l‘export italiano verso questa repubblica caucasica è sensibilmente aumentato rispetto ai dati del 2021 (138 milioni di euro) e quest’anno oscillerà fra i 250 e i 350 milioni di euro.
In percentuale l’incremento è certamente significativo, ma nel calcolo complessivo non sarà difficile notare come le cifre in questione siano risibili rispetto all’export italiano verso la Federazione Russa che nel 2021 ha superato gli otto miliardi di euro (99 invece i miliardi dell’export complessivo dei Paesi dell’Unione Europea verso la Federazione russa nello stesso anno).
Parliamo, dunque, di un incremento di circa 200 milioni, max 250 milioni di euro, rispetto a due anni fa; numeri modesti i quali permettono di dissentire o almeno mettere in dubbio la tesi secondo la quale le aziende italiane stiano sfruttando il mercato armeno per aggirare le sanzioni.
Non va peraltro tralasciato di ricordare come il prodotto interno lordo (PIL) armeno sia cresciuto a doppia cifra negli ultimi mesi grazie a un’economia che si sta riprendendo dal disastro della guerra con l’Azerbaigian del 2020 e dalle conseguenze del Covid.
La presenza, poi, di diverse migliaia di giovani russi e ucraini arrivati in Armenia per sfuggire all’obbligo della leva e della coscrizione nel conflitto in corso ha determinato un sostanziale, inevitabile, arricchimento dell’economia armena (e lo si intuisce dai prezzi degli affitti nella capitale Yerevan) sicché non è peregrino immaginare che una parte del surplus di export arrivato nel Paese (che non dimentichiamo fa parte dell’Unione Economica Euroasiatica) sia finito proprio nelle tasche della nuova ricca immigrazione.
Andrebbe altresì dato atto che il governo armeno ha comunque promesso di vigilare su eventuali dati anomali e, in tale ottica, il 25 maggio ha emesso il provvedimento n° 808 (“Approvazione dell’elenco delle merci sensibili esportate dalla repubblica di Armenia e transitate attraverso il territorio della repubblica di Armenia”).
A ben vedere, quel che manca nelle analisi in questione è una valutazione a tutto campo senza quelli che appaiono come “favoritismi”: ad esempio la mancanza di riflessioni sul ruolo dell’Azerbaigian (“partner affidabile” secondo la presidente Von der Leyen) rischia di apparire come un trattamento privilegiato al fine di tutelare comunque gli interessi europei.
Non è infatti errato esprimere perplessità sull’aumento quantitativo di gas in arrivo in Italia via TAP dal 2022. Ed è notizia di pochi giorni fa anche di un nuovo accordo di fornitura di gas tra Azerbaigian e Ungheria per un miliardo di metri cubi annui.
Sarebbe dunque opportuno eliminare dalla politica estera europea quell’ipocrisia di fondo che porta a differenti valutazioni di “forma” pur in presenza della medesima “sostanza”.
Conclusioni
L’Armenia sta attraversando, nonostante i buoni dati dell’economia, un periodo difficile: l’aggressività dell’Azerbaigian, le ripetute minacce di un nuovo conflitto, il palese boicottaggio di ogni iniziativa di sviluppo (a titolo di esempio, il forzato blocco della costruenda acciaieria di Yeraskh a causa dei colpi sparati dai cecchini azeri dalle vicine postazioni di confine) si fanno ogni giorno più forti.
A ciò si aggiunga la grave crisi umanitaria che sta attanagliando il Nagorno Karabakh-Artsakh a causa del blocco azero sul corridoio di Lachin, ovvero sull’unico collegamento tra la regione e l’Armenia stessa.
L’Unione Europea sta cercando attivamente di portare le parti a un accordo di pace, ma a rischio di sacrificare i 120.000 armeni del Nagorno Karabakh che, intanto, stanno morendo di fame per la penuria di cibo e materie prime. C’è invero il sospetto che Bruxelles, nella sua azione diplomatica, preferisca privilegiare i buoni accordi commerciali ed energetici con Baku piuttosto che le relazioni con Yerevan.
E certe “grida di allarme” su presunti aggiramenti delle sanzioni antirusse, oltre a essere a senso unico e limitate a poche risibili decine di milioni di euro, sembrano quasi mirate a colpevolizzare politicamente una parte rispetto all’altra con la conseguenza aggiuntiva di avvilire ulteriormente l’export italiano già duramente colpito.