Armenia e Azerbaijan: nuove dispute o vecchie ruggini? (I) (Ilcaffegeopolitico.it 18.05.18)
Il Caucaso, importante ponte tra Europa e Asia, ospita popolazioni millenarie, paesaggi incontaminati e dispute territoriali sin dalle sue origini. Oggi l’Armenia e l’Azerbaijan, prima in guerra e poi in lotta diplomatica per le terre del Nagorno-Karabakh, tornano grandi protagonisti regionali, con importanti cambiamenti politici e forse nuovi motivi di scontro.
Prima parte di una lunga analisi del conflitto caucasico tra Yerevan e Baku.
CAUCASO, MORFOLOGIA DI UN TERRITORIO MILLENARIO
La regione del Caucaso è ponte naturale tra Europa e Asia, collega il bacino del Mar Nero con quello del Mar Caspio e rappresenta un’area di primaria importanza dal punto di vista strategico, economico e socio-culturale. Alla regione appartengono l’Armenia, l’Azerbaijan, la Georgia e la Russia caucasica del nord, ma anche le aree turche del Nordest (le colline di Agri, Ardahan, Artvin,Van, Igdyr e Kars) e le aree del Nordovest iraniano (Ardabil, Gilyan, Zanjan, Qazvin, Hamadan e l’Azerbaijan occidentale). I primi insediamenti risalgono al IV-III millennio a.C., con un retaggio storico molto antico, caratterizzato dall’incontro tra popoli diversi come greci, romani, persiani, arabi, turchi, mongoli e russi. Un’eterogeneità viva anche nella religione: cristiani (cattolici, protestanti, ortodossi, armeni e georgiani), musulmani (sunniti e sciiti), buddisti, ebrei convivono con adepti di religioni minori, collegate da usanze e tradizioni risalenti alle credenze primitive e allo zoroastrismo (religione fondata da Zoroastro in Persia nel VI secolo a.C.). La regione è ricca di risorse naturali sia minerarie (oro, rame, ferro e mercurio) che energetiche (petrolio, gas naturale e carbone), che richiamano l’interesse e gli investimenti delle compagnie internazionali e dei Paesi stranieri. Ma le opportunità economiche offerte sono bilanciate in egual misura da guerre, tensioni sociali, minacce terroristiche e dispute territoriali congelate. Un esempio importante è la controversia sfociata in conflitto armato tra Armenia e Azerbaijan per la regione del Nagorno-Karabakh (conosciuta anche come Artsakh), scoppiata agli inizi degli anni Novanta e provocata da motivazioni inerenti alla sovranità dell’area. Il conflitto continua a influenzare le scelte geopolitiche di entrambi i Paesi: l’Azerbaijan, media potenza regionale, ha assecondato la propria posizione geografica adottando una politica estera di buon vicinato con Russia, Iran, Turchia e Georgia. Baku però non intrattiene rapporti diplomatici con la vicina Armenia, con la quale è ancora formalmente in guerra. L’Armenia vanta invece diverse e buone relazioni diplomatiche con molti Paesi occidentali, determinate anche e soprattutto da un’importante diaspora estera particolarmente influente in Francia, Stati Uniti e Canada. La posizione geografica le permette di modulare e adattare la propria geopolitica adun modello che si può definire “complementare”, in quanto è un Paese che guarda con simpatia, interesse e con sentimenti di forte appartenenza all’Occidente, senza per questo indebolire o sminuire i rapporti con Mosca e con gli altri Paesi della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI). Al contrario di Baku, il Paese non intrattiene rapporti con la Turchia, perché Ankara ha disatteso gli impegni assunti con la firma dei due Protocolli di Zurigo, nell’ottobre 2009, per lo sviluppo delle relazioni diplomatiche e per l’apertura delle frontiere, condizionando i progressi nei processi di pace per il conflitto del Nagorno-Karabakh.PROPAGANDA POLITICA O REALE INTERESSE?
Se le relazioni internazionali dei due Paesi registrano una situazione pressoché stabile, la loro politica interna è invece soggetta a importanti cambiamenti: a marzo Yerevan ha eletto come nuovo Presidente Sarkissian, mentre l’uscente Sargsyan è diventato Primo Ministro lo scorso 17 aprile, per poi rassegnare rapidamente le dimissioni a seguito di vivaci proteste di piazza contro la sua mancata promessa di ritirasi dalla vita politica. A guidare la “rivoluzione di velluto” è stato il deputato dell’opposizione Nikol Pashinyan, eletto poi Primo Ministro dal Parlamento agli inizi di maggio. Le dimissioni di Sargsyan rappresentano un importante spartiacque politico per l’Armenia, per quanto concerne sia le questioni interne che quelle estere, e molti si chiedono come ciò influirà sulla disputa del Nagorno-Karabakh e sulle relazioni di Yerevan con Mosca all’interno dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO) e dell’Unione Economica Eurasiatica (UEE). Nel frattempo a Baku si sono svolte le elezioni presidenziali, anticipate di circa 8 mesi dal presidente Aliyev, il quale è stato facilmente riconfermato per un quarto mandato con l’86,9% di voti, percentuale favorita dall’astensione per protesta dei partiti di opposizione. I nuovi assetti politici in entrambi i Paesi rimescolano quindi le carte, in particolare per il già citato conflitto dell’Artsakh, che il Governo azero spera di poter risolvere a proprio favore grazie alle dimissioni di Sargsyan. E proprio le dispute territoriali con l’Armenia sono state oggetto di intensa campagna elettorale da parte di Aliyev: lo scorso febbraio, in occasione del discorso di apertura del Congresso del suo partito (New Azerbaijan Party), il Presidente azero ha infatti dichiarato di voler reintegrare sotto la sovranità di Baku tutte le “terre storiche” azere nei confini armeni, incluse l’area della capitale Yerevan e le regioni del lago Sevan e di Zangezur. Ovviamente le dichiarazioni di Aliyev hanno dato origine a polemiche, seppur contenute, di carattere diplomatico con la comunità internazionale, in particolare con gli Stati membri del Gruppo di Minsk (presieduto da Francia, Russia e Stati Uniti), che hanno chiesto a Baku di non esacerbare le tensioni con Yerevan e di non danneggiare il processo di pace già avviato per il conflitto dell’Artsakh. In risposta a tali critiche, il portavoce del Ministero degli Affari Esteri azero, Hikmet Hajiyev, ha affermato che le dichiarazioni del Presidente miravano solo a far riconoscere da Yerevan il retaggio azero delle odierne terre armene, rivendicato anche da una campagna promozionale su Youtube e altri social network.
Secondo gli analisti politici armeni, le cause di una tale mancanza di diplomazia da parte di Aliyev sono principalmente tre:
1) Prossimo alle elezioni, il Presidente azero ha voluto fare propaganda, dimostrando ai suoi elettori e ai circoli nazionalistici di essere un leader tenace e poco incline alla diplomazia per la risoluzione del conflitto Artsakh;
2) Mettendo sotto pressione l’Armenia con le sue dichiarazioni e ventilando la minaccia di una guerra regionale per riprendersi le sopracitate “terre storiche”, Aliyev ha voluto spronare la comunità internazionale a perseguire più attivamente un cambiamento dello status quo attuale nella controversia a favore dello Stato azero;
3) Affermando la volontà di riappropriarsi dei territori azeri in Armenia, Aliyev ha voluto screditare, in particolare agli occhi degli elettori giovani, l’operato dei leader della Repubblica Democratica dell’Azerbaijan degli anni 1918-1920, ricordandoli non come eroi e pionieri dello Stato azero, ma come i principali autori della perdita delle “terre storiche”.LE ‘TERRE STORICHE’
Ma quali sono queste “terre storiche”? Molte di loro sono sostanzialmente poco conosciute in Occidente. I monti Zangezur, ad esempio, sono una catena montuosa che suddivide la provincia meridionale armena di Syunik e la Repubblica Autonoma di Nakhichevan in Azerbaijan. Questo passaggio di terra, apparentemente impervio, è un crocevia regionale molto importante, perché chi controlla tale corridoio può controllare la sfera turca in Anatolia, quella russa nel Caucaso e i territori persiani. La catena montuosa ospita anche la seconda area forestale più estesa dell’Armenia, che ricopre oltre il 20% del territorio dei monti fino a 2.200–2.400 metri di altitudine, mentre il resto del Paese è quasi privo di foreste. Attualmente l’area è così suddivisa: la maggior parte della popolazione nel quadrante nordorientale, ovvero la zona più coltivabile del corridoio, è armena; il quadrante nordoccidentale, meno coltivabile, detiene la posizione strategica del Monte Ararat ed è a maggioranza turca; il quadrante sudovest ospita una comunità iraniana al confine fra il territorio turco e quello armeno; il quadrante sudest ospita l’enclave azera del Nakhchivan. Il lago Sevan invece è il più grande lago dell’Armenia e uno tra i più grandi laghi d’alta quota al mondo. È situato nella provincia di Gegharkunik, nella parte est del Paese. Riceve l’acqua da 28 affluenti e ha come unico emissario il fiume Hrazdan. La particolarità del lago è il fenomeno dell’evaporazione, con il 90% della portata che evapora e il restante 10% che si immette in altri corsi d’acqua. Ciò non gli impedisce di essere un’importante risorsa idrica locale, essendo un grande serbatoio naturale di acqua dolce. Il lago è stato oggetto di un importante disastro ecologico, iniziato in epoca sovietica con la supervisione dell’ingegnere civile Soukias Manasserian (già colpevole del disastro del Lago d’Aral), il quale propose di abbassare il livello del lago di 45 metri per ridurre la superficie di evaporazione e di sfruttarne l’acqua per l’irrigazione e la produzione elettrica. In epoca staliniana, il progetto fu modificato, ipotizzando di ridurre ulteriormente il livello dell’acqua di 55 metri, portando il perimetro del lago a 80 chilometri e il volume a soli 5 chilometri cubici. Sulle terre emerse si sarebbero piantate noci e querce, mentre in quelle ancora sommerse si sarebbero introdotte nuove specie di trote per incrementare la pesca. Il Soviet Supremo dell’Armenia approvò il piano senza consultare la popolazione locale, iniziando il progetto nel 1933. Il letto del fiume Hrazdan fu abbassato e s’iniziò a costruire un tunnel di 40 metri sotto il livello originale dell’acqua per la produzione idroelettrica. L’opera, ritardata dalla Seconda Guerra Mondiale, fu terminata nel 1949 e il livello dell’acqua cominciò a scendere di oltre un metro l’anno. Soltanto con la morte di Stalin e l’evidente scempio ecologico fu attivato un programma di recupero dell’ecosistema supervisionato dal Comitato Sevan, che prevedeva il rialzo del livello dell’acqua, convertendo l’originaria centrale idroelettrica in una termoelettrica. Dalla letteratura geografica disponibile non emergono ulteriori elementi che spieghino il rinnovato interesse azero verso tali aree. Ma la recente costruzione di un tunnel che dovrebbe importare acqua dal fiume Vorotan ha sicuramente attirato l’attenzione di Aliyev, perché il corso separa la regione dello Zangezur dall’Armenia e copre per 59 chilometri quella del Nagorno-Karabakh. È chiaro quindi che le “terre storiche” sono di grande importanza per la geostrategia regionale del Presidente azero.