Armenia e Azerbaijan, colloqui in bilico mentre si avvicina la COP29 (Osservatorio Balcani e Caucaso. 18.10.24)
A meno di un mese dalla conferenza ONU sui cambiamenti climatici a Baku, il tempo stringe per un accordo di pace tra Armenia e Azerbaijan. Molti rimangono scettici, ma la pressione internazionale, in particolare da parte degli Stati Uniti, continua
Sia Yerevan che Washington probabilmente sperano nella firma di un accordo prima delle presidenziali statunitensi del 5 novembre e in particolare entro la COP29 [la conferenza ONU sulla convenzione quadro sui cambiamenti climatici, prevista dall’11 al 22 novembre a Baku, n.d.r.], pochi giorni dopo.
Anche se la linea politica statunitense potrebbe cambiare se l’amministrazione in carica dovesse perdere la tornata elettorale, l’Armenia sembra ancora desiderosa di continuare il suo allontanamento da Mosca.
Il 31 agosto, le guardie di frontiera del Servizio di sicurezza federale russo (FSB) hanno lasciato l’aeroporto internazionale Zvartnots di Yerevan.
All’inizio di ottobre, dopo un incontro bilaterale a Mosca tra il primo ministro armeno Nikol Pashinyan e il presidente russo Vladimir Putin, è stato anche annunciato che l’anno prossimo saranno ritirate dal posto di blocco al confine iraniano.
Fondamentale, tuttavia, è che le guardie di frontiera russe non saranno ritirate dai confini iraniani e turchi, ma saranno affiancate da un numero imprecisato di guardie del Servizio di sicurezza nazionale armeno (NSS).
Permane il disaccordo tra Yerevan e Baku sullo sblocco dei trasporti e delle comunicazioni regionali, in particolare il ripristino del collegamento di epoca sovietica tra l’Azerbaijan e la sua exclave di Nakhchivan, così come la rivalità tra Mosca e Washington su questa rotta, nonostante sia stata rimossa dal trattato stesso.
Rimandata tale questione, la scadenza non ufficiale della COP29 per un accordo per normalizzare le relazioni tra Armenia e Azerbaijan è stata considerata realistica.
In effetti, il 12 ottobre, il presidente armeno Vahagn Khachaturyan si era espresso ai media fiducioso in tal senso. I segnali da Baku, tuttavia, non sono così promettenti, visto il permanere del disaccordo sul numero di articoli o punti che dovrebbero essere contenuti nel trattato.
L’Azerbaijan sottolinea l’importanza di includerne 17, mentre Yerevan afferma che potrebbero esserne firmati 13 o 16, rimandando gli altri al futuro.
Baku sostiene inoltre che Yerevan deve cambiare la sua costituzione, rimuovendo un controverso preambolo che fa riferimento alla Dichiarazione di indipendenza del 1990 e a una Dichiarazione congiunta del 1989 sulla “Riunificazione della RSS armena con il Nagorno Karabakh”, la regione etnica armena dell’Azerbaijan che ha visto quasi tutta la sua popolazione fuggire in massa in Armenia nel settembre dell’anno scorso.
Sebbene Pashinyan abbia riconosciuto l’anno scorso quanto tutto ciò abbia complicato le relazioni sia con l’Azerbaijan che con la Turchia, nelle ultime settimane ha cambiato posizione, sostenendo che è la costituzione azera a rivendicare il territorio armeno.
Tuttavia, all’inizio di questo mese la Corte costituzionale armena ha stabilito che uno storico accordo sui regolamenti per demarcare il confine tra Armenia e Azerbaijan non viola questa disposizione. Baku però non è d’accordo.
L’opposizione armena, tuttavia, sostiene che nonostante i suoi commenti pubblici Pashinyan sia pronto a firmare qualsiasi cosa dettata da Baku. Alcuni sostengono persino che anche gli Stati Uniti e l’Unione Europea siano favorevoli ad un accordo rapido.
Nonostante il movimento anti-Pashinyan – guidato dal religioso revanscista arcivescovo Bagrat Galstanyan – abbia ripreso le proteste a inizio settembre, è riuscito a malapena a radunare 1.900 persone nella centrale Piazza della Repubblica di Yerevan. Marciando sulla TV pubblica armena, Galstanyan ha costretto la stazione a mandare in onda il suo invito al pubblico ad unirsi alla prossima manifestazione, ma senza successo.
Con gli armeni che dovrebbero recarsi alle urne entro la metà del 2026, se non prima, la situazione potrebbe peggiorare a meno che non si raggiunga una svolta entro l’anno prossimo.
Ci sono già dubbi sul fatto che il paese possa davvero emanciparsi dalla Russia senza almeno un confine aperto con la Turchia, altro elemento apparentemente subordinato alla firma di un accordo con l’Azerbaijan.
A fine settembre, a margine della riunione dell’Assemblea generale a New York, Pashinyan ha tenuto colloqui bilaterali con il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan.
I negoziati, però, continuano. Oggi18 ottobre, all’ultimo incontro della piattaforma regionale 3+3 (di fatto 3+2 con Tbilisi che si rifiuta ancora di partecipare), i ministri degli esteri armeno, azero, iraniano, russo e turco si incontrano a Istanbul.
Nel frattempo, il 15 ottobre, il governo armeno ha rivelato che, mentre si trovava a Mosca per l’incontro dei leader della Comunità degli stati indipendenti (CIS) una settimana prima, Pashinyan aveva proposto che i ministri degli Esteri armeno e azero si incontrassero per due giorni di colloqui per concordare alcuni dei punti in sospeso in un accordo bilaterale prima della COP29 a Baku.
Prima di allora, Aliyev, Erdoğan, Pashinyan e Putin dovrebbero partecipare al vertice BRICS a Kazan, Russia, la prossima settimana. Ciò rende i giorni e le settimane a venire prima della COP29 davvero molto critici.