Armenia con mezzo piede nell’UE (Lindro.it 27.11.17)
Se non è stata una coincidenza, Romano Prodi ha scelto bene il momento per recarsi a Mosca e intrattenersi, un paio di giorni fa, con Vladimir Putin, che lo annovera tra i suoi non pochi amici italiani (ciascuno a suo modo, peraltro). L’ex premier ulivista non è stato infatti, nella veste di presidente della Commissione di Bruxelles, soltanto uno dei protagonisti dell’allargamento a est dell’Unione europea che in Russia era visto comprensibilmente di malocchio anche perché dietro o a fianco della UE si stagliava l’ombra della NATO. Si è altresì distinto, in seguito e sia pure in veste pressocchè privata, come auspice e precursore di uno sviluppo di segno positivo o comunque distensivo che si sta profilando adesso promettendo di rovesciare una tendenza opposta innescata dalla crisi ucraina, cioè dallo sbocco più contrastato del suddetto allargamento. Secondo Prodi, l’associazione dell’Ucraina alla UE duramente avversata da Mosca, non era di per sé incompatibile con i suoi multiformi legami con la Russia, ed è probabile che già qualche anno fa abbia cercato di convincerne Putin.
Ora la visita dello statista italiano al Cremlino ha coinciso con un ulteriore passo avanti dell’allargamento che aggancia alla UE un’altra repubblica ex sovietica dopo la Moldavia, la Georgia e la stessa Ucraina. Si tratta della piccola Armenia, anch’essa avviata quattro anni fa a stipulare un accordo di associazione con Bruxelles che tuttavia sfumò per due o tre buoni motivi. Vi si oppose infatti un veto russo, analogo a quello che provocò indirettamente la rivoluzione di Maidan a Kiev e al quale il governo di Erevan, a differenza di quello ucraino filorusso, non poteva resistere, o non poteva essere rovesciato se si arrendeva.
Ancora stretta fra il plurisecolare nemico turco a ovest e il più recente antagonista azero a est, già vinto in guerra ma smanioso di rivincita, l’Armenia era costretta a restare affidata in modo praticamente esclusivo alla protezione russa per non finire strangolata, malgrado la forte attrazione per l’Occidente in un Paese parecchio diviso sulla sua collocazione internazionale e scarsamente incline a gestire civilmente le proprie divergenze interne. E la costrizione si è attenuata per un verso ma accentuata per un altro allorchè la Turchia, in concomitanza con il conflitto in Siria ma soprattutto a causa di altri contrasti con i suoi alleati atlantici, si è sensibilmente avvicinata alla Russia.
Non solo, quindi, Erevan dovette rinunciare a mettere almeno un piede nella UE, ma fu indotta a compiere una scelta opposta: aderire alla neonata Unione eurasiatica patrocinata dalla Russia, per ora soltanto economica e dimostratasi peraltro ancora poco attraente nello spazio ex-sovietico. Diciamo indotta, o sospinta, e non proprio forzata, perché non manca neppure in questo caso un oggettivo interesse armeno alla partecipazione. La presenza russa nel Paese non si limita infatti all’unica base militare disponibile per Mosca in Transcaucasia ma è resa anche economicamente cospicua da investimenti in vari settori e scambi commerciali predominanti.
Di qui dunque tutto il rilievo che merita la novità rappresentata da un primo caso di aggancio all’Unione europea di un Paese membro di un raggruppamento in qualche modo concorrente o addirittura contrapposto ad essa, come lo era al tempo della guerra fredda tra Est e Ovest, per la CEE divenuta poi UE, l’organizzazione economica del campo socialista capeggiata dall’URSS e per lo più nota come Comecon. Una primizia, insomma, verosimilmente destinata a creare un precedente, importante soprattutto, benchè non solo, ai fini di un’eventuale soluzione analoga del problema ucraino, ammesso che essa sia ancora concepibile mediante un ragionevole compromesso pacifico tra tutti gli interessati. Le cose, finora, sembrano andare piuttosto in direzione opposta, ma le sorprese, fortunatamente, sono sempre possibili se non proprio dietro l’angolo.
Naturalmente l’inversione di rotta, se confermata, sarebbe in primo luogo russa, e per la Russia (non solo per Putin e compagni) Armenia e Ucraina costituiscono entità e valori anche simbolici ben diversi. Ciò che Mosca può concedere per l’una non si applica automaticamente all’altra. Innanzitutto, comunque, si deve appurare se Mosca abbia accordato il suo beneplacito preventivo a Erevan, del quale per il momento non c’è traccia anche se appare logico presumere che esista.
In eventuale assenza di dichiarazioni esplicite, potrebbe diventare eloquente la firma o meno da parte russa dell’accordo per la promessa concessione all’Armenia di un prestito di 100 milioni di dollari per spese militari. Erevan l’ha sollecitata augurandosi che avvenga entro la fine dell’anno, pressata come si sente dall’incessante corsa agli armamenti dell’Azerbaigian. Che però accusa a sua volta la vicina di insistere in una serie interminabile di violazioni di un ormai vecchio cessate il fuoco col quale, in mancanza di accordi di pace, si cercava di tamponare un conflitto risalente a quasi trent’anni fa e che perciò minaccia ripetutamente di riesplodere a tutto campo.
Mentre la mediazione da parte dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione europea non sembra dare frutti apprezzabili, permane dovunque la convinzione che solo Mosca sia in grado di spegnere, con le buone o con le cattive, un focolaio di guerra perennemente accesso presso le porte di casa. E tuttavia, mentre a Erevan c’è parecchio risentimento per la copiosa fornitura di armi russe all’Azerbaigian, che tra tutti gli Stati eredi dell’URSS si è mostrato fino a ieri uno dei più insofferenti dell’egemonia russa nell’area ex sovietica, non mancano neppure i sospetti che Mosca non si impegni davvero per porre fine ad un conflitto grazie al quale trova più agevole mantenere legati a sé i due contendenti. Entrambi, certo, fanno del loro meglio per barcamenarsi tra la Russia e l’Occidente, al punto da coltivare la cooperazione non solo con la UE ma anche con la NATO, sia pure, finora, nel quadro meno compromettente dei programmi di partnership per pace.
A questi ultimi si ricollega peraltro, figurando comunque in primo piano, la partecipazione dell’Azerbaigian ad una missione di innegabile sapore politico come quella atlantica in Afghanistan (Resolute support), cui un Paese più povero e più pesantemente condizionato quale l’Armenia difficilmente potrebbe permettersi di aderire. Ma proprio per questo, è da presumere, Mosca si può invece permettere di mostrarsi più esigente con essa e più compiacente col suo avversario, già sfavorito da parte russa al tempo del conflitto aperto ma da riportare adesso sotto la propria ala sottraendolo alle sirene occidentali, senza ricorrere se possibile alle maniere forti.