Armenia-Azerbaijan, negoziati al rallentatore (Osservatorio Balcani e Caucaso 05.02.24)
Continuano in modo anemico e controverso i tentativi di Armenia ed Azerbaijan di normalizzare i propri rapporti bilaterali dopo la conquista azera del Nagorno Karabakh. Un processo che potrebbe portare Yerevan a cambiare la propria costituzione
Se da un lato ancora non si intravede alcun accordo sulla normalizzazione delle relazioni tra Armenia e Azerbaijan che, come annunciato in precedenza, avrebbe dovuto essere raggiunto entro la fine dello scorso anno, dall’altro i colloqui tra Yerevan e Baku sono ripresi a fine gennaio con un nuovo incontro delle rispettive commissioni di frontiera.
L’ultimo incontro si era tenuto a fine novembre 2023 al confine tra i due paesi. Tuttavia, a differenza dei precedenti incontri delle due commissioni, le dichiarazioni rilasciate a seguito dei colloqui dello scorso novembre non hanno fornito dettagli sulle questioni discusse, né tanto meno hanno accennato ad una data in cui le commissioni si sarebbero nuovamente incontrate.
Al momento, la demarcazione dei confini e lo sblocco dei collegamenti economici e di trasporto sono considerati il principale ostacolo al raggiungimento di un accordo. Se una delle poche dichiarazioni congiunte, recentemente rilasciata da Armenia e Azerbaijan, ha aperto uno spiraglio di speranza, i due ministri degli Esteri devono ancora incontrarsi, visto che Baku aveva annullato i colloqui che si sarebbero dovuti tenere a Washington lo scorso 20 novembre. L’Armenia è ancora favorevole ai negoziati ospitati dagli Stati Uniti o dall’Unione europea, mentre l’Azerbaijan ritiene che gli incontri, rigorosamente bilaterali, debbano svolgersi nella regione.
Nel frattempo, in occasione dello scambio di bozze di un accordo tra le parti, l’Armenia ha accusato l’Azerbaijan di “regressione”. Baku ha replicato accusando Yerevan di rallentare il processo negoziale e di temporeggiare. Intanto, Baku ha cambiato la sua posizione sul ripristino di una via di collegamento ferroviario e stradale tra l’Azerbaijan e la sua exclave di Nakhchivan.
Nell’ottobre dello scorso anno le autorità di Baku avevano annunciato che la rotta poteva passare attraverso l’Iran, poi però all’inizio di gennaio hanno chiesto nuovamente che attraversasse l’Armenia, come inizialmente previsto.
Alcuni funzionari armeni continuano ad accusare l’Azerbaijan di voler tracciare la strada ricorrendo alla forza se la questione non dovesse essere risolta attraverso i negoziati. Accuse che sono bastate a spingere Josep Borrell, Alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza, a mettere in guardia sulle “gravi conseguenze” di un’eventuale incursione militare.
Borrell ha anche sollecitato l’Azerbaijan a sedersi nuovamente al tavolo dei negoziati facilitati dall’UE, ai quali Baku aveva rifiutato di partecipare nell’ottobre dello scorso anno. Allo stesso tempo, la Russia ha invitato Yerevan a riprendere i negoziati mediati da Mosca.
Se alcuni ministri del governo di Yerevan sembrano pessimisti riguardo alla possibilità di raggiungere un accordo di pace duraturo con l’Azerbaijan, il premier armeno Nikol Pashinyan lo scorso 17 gennaio ha affermato di essere ancora ottimista al riguardo. Poi però, lo scorso 28 gennaio, in occasione della Giornata dell’Esercito armeno, Pashinyan ha annunciato che, nel caso in cui la firma di un accordo di pace definitivo dovesse essere ulteriormente rimandata, l’Armenia sarebbe disposta a siglare con l’Azerbaijan un patto di non aggressione e di controllo degli armamenti.
Una proposta prontamente respinta dal presidente azerbaijano Ilham Aliyev, il quale lo scorso primo febbraio ha dichiarato che c’è “già una pace di fatto tra Azerbaijan e Armenia e da diversi mesi ormai le condizioni pacifiche prevalgono al confine tra i due paesi”. Aliyev ha poi aggiunto che “per poter portare questo processo ad una sua logica conclusione, è necessario firmare un trattato di pace e porre fine alle pretese territoriali dell’Armenia contro l’Azerbaijan”.
C’è chi, in Armenia, nelle affermazioni di Aliyev vede il motivo per cui Pashinyan ha dichiarato che l’Armenia ha bisogno di una nuova Costituzione. Baku infatti con sempre maggiore insistenza chiede garanzie che Yerevan non avrà più alcuna pretesa territoriale, considerando il controverso preambolo dell’attuale Costituzione armena in cui si fa riferimento alla Dichiarazione di indipendenza del 1990. In quest’ultima si parla delle rivendicazioni territoriali sul Karabakh e persino sulla Turchia, questione su cui Pashinyan si è soffermato in una sua dichiarazione dello scorso agosto.
“Una narrativa aggressiva [ha] relegato l’Armenia ad una situazione di conflitto con i suoi vicini”, ha dichiarato Pashinyan, sollevando anche la questione della simbologia dello stemma nazionale armeno che include il monte Ararat, diventato un simbolo armeno, seppur situato nella vicina Turchia.
Il governo di Yerevan ha respinto le speculazioni secondo cui il discorso su una possibile modifica della Costituzione sarebbe conseguenza delle pressioni esercitate dall’Azerbaijan e forse anche dalla Turchia. I funzionari armeni però non negano che sia stata Baku a sollevare la questione della Costituzione armena, una questione che probabilmente dovrà essere affrontata. Alcune modifiche costituzionali erano già previste dopo l’ascesa di Pashinyan al potere con le proteste di piazza del 2018, poi però sono state rinviate a causa della pandemia di coronavirus nel 2020.
Costretto a fare i conti con un costante calo di popolarità dopo la guerra con l’Azerbaijan del 2020, recentemente Pashinyan ha affermato che una nuova Costituzione dovrebbe permettere di formare governi di minoranza. Affermazione che ha spinto alcuni ad ipotizzare che un referendum possa consentire a Pashinyan di mantenere la carica di primo ministro anche dopo le elezioni previste per il 2026. Secondo alcuni analisti, il magro risultato ottenuto dal suo movimento Civil Contract alle amministrative a Yerevan dello scorso anno ha scosso la fiducia di Pashinyan nella possibilità di conquistare una vittoria assoluta.