Armenia-Azerbaijan: frutteto di pace (Osservatorio Balcani E Caucaso (02.07.18)
L’Armenia non ha confini sull’acqua con gli stati vicini. Fa eccezione, in questo caso, il villaggio di Berkaber, nella regione del Tavush, al confine con l’Azerbaijan: lì il confine tra i due stati è disegnato dalle acque. Siamo nel cuore della riserva d’acqua dello Joghaz, creata in tempi sovietici. Su di un lato della riserva vi è il villaggio di Berkaber, in Armenia, sul lato opposto quello di Mezem, in Azerbaijan. La riserva è ora oggetto di disputa e proprio per questo, sul lato armeno, è stato costruito il “Giardino della Pace”.
La vita al confine
La riserva d’acqua dello Joghaz è stata creata artificialmente in tempi sovietici, negli anni ’70. Le autorità decisero al tempo di utilizzare l’area tra il villaggio armeno di Berkaber e quello azero di Mazam per risolvere i problemi irrigui della regione costruendo un bacino artificiale. Armeni e azeri hanno iniziato a costruire il bacino assieme ed assieme hanno curato i campi lungo le sue rive. “Berkaber”, il nome di uno dei due villaggi, significa “raccolto abbondante”. Il villaggio è da sempre famoso per i suoi alberi da frutto.
“Nel 1988 i miei genitori avevano un frutteto di cachi su un terreno di tre ettari. Avevamo più di 800 alberi e negli ultimi 25 anni abbiamo raccolto i frutti. Però, dopo il collasso dell’Unione sovietica, il sogno dei miei genitori si è infranto e il sogno di lavorare la terra è divenuto una lotta estrema”, racconta Ara Khudaverdyan, uno degli abitanti del posto.
Nei primi anni ’90 il villaggio di Berkaber è stato uno dei luoghi più caldi del conflitto tra Armenia e Azerbaijan. Molti edifici del villaggio vennero rasi al suolo. Attualmente 900 ettari di frutteto sono sotto il controllo azero. Nei villaggi armeni, quelli a 500-800 metri dalle posizioni azere, vi è da due decenni una guerra non dichiarata. Nonostante Armenia e Azerbaijan non siano ufficialmente in guerra non vi è giorno in cui a Berkaber non si sentano spari. In questi anni sono risultate danneggiate molte auto e molti edifici, e tra i civili vi sono stati feriti ed anche alcune vittime.
“Il nostro frutteto è sul confine. Dista solo 300 metri. Quando vi lavoro, ad occhio nudo posso vedere i residenti del villaggio azero di Mezem che coltivano i campi. Siamo così vicini che potrei allungare la mano e salutare i miei vicini, ma non lo faccio”, racconta Ara, sorridendo.
Ara ha 32 anni. Racconta che in passato voleva abbandonare il villaggio. Non vi vedeva alcun futuro. Per un po’ di tempo ha vissuto e lavorato nella vicina Georgia. Poi nel 2016, durante il conflitto di aprile è ritornato in Armenia e da quel giorno ha deciso che non se ne sarebbe più andato ed avrebbe aiutato la propria famiglia nel frutteto.
Sognando la pace
Ara sogna il momento in cui la pace, tra i due contendenti, non sia solo formale ma anche effettiva. Ed è proprio sognando la pace che due anni fa ha rimesso in produzione il frutteto con l’aiuto di un donatore privato e lo ha chiamato “Giardino della pace”.
“Nel frutteto lavoriamo spesso di notte in modo da non essere visti dai nostri avversari. Lo coltiviamo io e mio padre, siamo abituati a lavorare al buio. Quando lavoro al frutteto silenzio il cellulare ma accendo sempre la vibrazione e lo tengo in tasca. Siamo d’accodo con la mia famiglia che se per caso il nemico improvvisamente spara o effettua un attacco ci chiamano immediatamente”, racconta Ara.
In questi anni i Khudaverdyans hanno già perso due autovetture, danneggiate da spari arrivati dal versante azero. Fortunatamente, in famiglia, non ci sono mai state vittime.
“A volte la gente mi chiede se non intendiamo utilizzare tecnologie agricole moderne, come ad esempio reti di protezione anti-grandine. Ma io sottolineo sempre che la grandine che cade dal cielo non è per noi un pericolo, ma è più un pericolo il piombo che arriva da parte azera, da cui nessuna tecnologia può proteggersi”, racconta il giovane agricoltore.
Secondo Ara anche dall’altra parte del confine la gente prende precauzioni simili. Anche loro lavorano i campi in particolar modo nelle ore serali.
“Di notte non solo si va a coltivare i campi ma si va anche a pescare. Ci sono ottimi pesci nella riserva, che pescano sia gli armeni che gli azeri. Questo in particolare di notte, altrimenti non si tornerebbe sani e salvi. Vi sono persone nel villaggio che sono state ferite mentre pescavano”, racconta Ara aggiungendo che lui invece a pescare non va, non perché abbia paura di essere ferito ma perché preferisce concentrarsi sul frutteto.
Frutta secca
Alcuni mesi dopo aver riavviato il frutteto – e con lo scopo di piazzare meglio il prodotto – con l’aiuto delle Ong “Border” e del programma “Support of Organic Farming Initiative” Ara Khudaverdyan ha creato un impianto di essiccazione della frutta.
Questo ha permesso di vendere il prodotto non solo sul mercato locale ma anche di esportarlo. Ara ha anche preso parte a due fiere internazionali. Ha presentato i suoi cachi biologici essiccati a Dubai e Londra.
“Grazie alle sue caratteristiche organolettiche ha attirato l’attenzione di persone provenienti da vari paesi. Anche i turchi hanno apprezzato la nostra frutta secca. È un peccato non vi fossero partecipanti provenienti dall’Azerbaijan ad assaggiare questi frutti di pace”, afferma Ara aggiungendo che vi sono già accordi per esportare frutta secca negli Stati Uniti, Russia e Bulgaria.
La famiglia Khudaverdyan intende espandere le proprie attività, per poter stare sui mercati internazionali, augurandosi che, qualsiasi cosa accada, i loro frutteti non vengano abbandonati.