Armenia-Azerbaijan: confini che scottano (Osservatorio Balcani e Caucaso 03.04.24)
Durante una recente intervista dal vivo, il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha lasciato intendere che il lungo e difficile processo di demarcazione del confine con l’Azerbaijan potrebbe essere pronto per iniziare. Un processo che porta però con sé rischi sostanziali sia a livello regionale che nazionale
Il lungo e difficile processo di demarcazione del confine tra Armenia e Azerbaijan rimane un grosso ostacolo alla normalizzazione delle relazioni tra le due parti, ma ora sembrano esserci segnali di un prossimo avvio del processo.
Da maggio 2022 si sono tenuti otto incontri tra le commissioni di frontiera armena ed azera, sebbene finora incentrati su questioni organizzative. Tuttavia, dopo l’intervista in diretta del 12 marzo del primo ministro armeno Nikol Pashinyan, potrebbero esserci segnali di una svolta.
È infatti riemersa la questione degli otto villaggi situati nel territorio di un lato, ma controllati dall’altro dall’inizio degli anni ’90. Sono spesso definiti enclavi, ma quattro fanno invece parte della regione Gazakh dell’Azerbaijan, situata direttamente oltre il confine con la regione nord-orientale di Tavush in Armenia, ma controllata da Yerevan. I restanti quattro sono invece vere e proprie enclavi: un villaggio armeno in Azerbaijan e altri quattro villaggi azeri in Armenia.
Mostrando il ritaglio di una mappa della Repubblica di Armenia, senza alcuna rappresentazione del Karabakh ormai spopolato e dissolto, Pashinyan si è proposto di convincere la popolazione che le rivendicazioni territoriali al di fuori dei confini internazionalmente riconosciuti del paese sono ormai una cosa del passato.
Tuttavia, secondo i critici, ciò è avvenuto solo dopo che il viceministro degli Esteri azero Shahin Mustafayev, che è anche capo della commissione per i confini di Baku, tre giorni prima aveva dichiarato senza mezzi termini che la demarcazione non poteva iniziare finché le quattro non-enclavi azere non fossero state restituite.
Per alcuni osservatori tutto questo non è stata una sorpresa: l’incontro delle commissioni di frontiera armena e azera si è svolto più volte nell’area Tavush-Gazakh del confine comune.
“Non sono mai esistiti villaggi con tali nomi nel territorio dell’Armenia”, ha dichiarato Pashinyan ai giornalisti, “non solo in epoca sovietica, ma anche dopo”. Inoltre, nel tentativo di contrastare le affermazioni dell’opposizione, ha osservato che qualsiasi interruzione delle infrastrutture esistenti che passano attraverso quell’area potrebbe essere deviata, se necessario.
Pashinyan ha promesso di visitare diversi villaggi armeni per dissipare tali timori, cosa che ha fatto il 18 marzo, confermando ulteriormente la convinzione che il premier armeno faccia sul serio.
Il messaggio sembra essere che una nuova guerra potrebbe scoppiare se i quattro villaggi non-enclave non saranno restituiti, e che non ha scelta. Forse era anche un modo per testare il terreno a livello nazionale.
Per ora c’è poca opposizione visibile alle azioni del premier, ma questo non vuol dire che non ce ne sia. I nazionalisti sono particolarmente infastiditi, soprattutto perché la maggior parte sembra ancora avere pretese irrealistiche sulla restituzione del Karabakh all’Azerbaijan.
Il 24 marzo, ad esempio, decine di membri della milizia “Combat Brotherhood” si sono recati a Voskepar, un villaggio armeno al confine tra Tavush e Gazakh, ufficialmente per condurre esercitazioni di addestramento di routine, ma in realtà per far fallire le mosse di Pashinyan.
Quasi 50 persone sono state arrestate. In risposta, tre individui associati al Polo Democratico Nazionale, una coalizione politica ultra-nazionalista, hanno tentato di assaltare una stazione di polizia nel distretto Nor Nork di Yerevan.
Due dei tre assalitori sono rimasti feriti dalle schegge di una delle loro stesse granate, mentre l’altro si è consegnato al Servizio di Sicurezza Nazionale armeno dopo due ore di trattative. L’assalto fallito ricorda un altro attacco, anche se più riuscito, contro una stazione di polizia per impedire un accordo di pace con l’Azerbaijan nel luglio 2016.
Le analogie non finiscono qui. Uno degli elementi chiave del Polo Democratico Nazionale è un altro gruppo, Sasna Tsrer, guidato dall’ex comandante militare libanese-armeno già incarcerato Jirayr Sefilyan e istigatore dell’assalto del 2016 che ha causato un assedio di due settimane e l’omicidio di tre poliziotti.
Anche se questa volta i tre aggressori sembravano agire da soli, il governo non ha voluto correre rischi. Il giorno successivo, la polizia ha perquisito le case dei membri di entrambi i gruppi.
Anche se il sostegno pubblico all’opposizione o a tali azioni rimane limitato, Pashinyan ha perso il sostegno della maggioranza dei cittadini. Molti armeni rimangono apatici o contrari a tutto. Pertanto, la propensione alla violenza da parte delle forze nazionaliste e ultra-nazionaliste potrebbe continuare in assenza di una forza politica che si opponga efficacemente al governo. Il 14 marzo, lo stesso giorno dell’intervista di Pashinyan, quattro uomini sono stati arrestati e accusati di attentati pianificati contro membri del partito di governo.
Rimane anche una netta mancanza di fiducia tra Yerevan e Baku. Nel fine settimana Baku ha accusato l’Armenia di aver istigato movimenti di truppe lungo il fragile confine.
L’Azerbaijan, ha ribattuto Pashinyan, stava “cercando di trovare […] scuse” per iniziare una “nuova guerra su larga scala”. Le pretese di mobilitazione sono state respinte anche dalla Missione dell’Unione Europea in Armenia (EUMA) che pattuglia regolarmente il confine, o quella che chiama “Linea di Confronto”.
“L’Armenia non ha alcuna pretesa al di fuori del suo territorio sovrano riconosciuto a livello internazionale, compresi i territori dei villaggi menzionati dall’Azerbaijan”, ha ribadito Pashinyan, che ha anche confermato, almeno in teoria, che la demarcazione del confine potrebbe iniziare con la sezione Tavush-Gazakh.