Armenia, ancora proteste per i confini con l’Azerbaijan (Osservatorio Balcani e Caucaso 21.05.24)
A seguito della storica decisione di Yerevan e Baku di delimitare parte del confine tra Armenia e Azerbaijan, gli sforzi verso un accordo per normalizzare le relazioni proseguono nonostante le proteste anti-Pashinyan
La settimana scorsa, Armenia e Azerbaijan hanno annunciato che il processo di delimitazione di una parte del confine condiviso è stato completato. La notizia è stata ampiamente accolta dalla comunità internazionale come un passo importante verso un accordo per normalizzare le relazioni tra i due paesi dopo oltre tre decenni di inimicizia. L’opposizione armena, tuttavia, continuaa contestare la mossa definendola “illegale” e “incostituzionale”.
Secondo il governo armeno, tuttavia, il processo è stato condotto senza cedere alcun territorio de jure e si basa sulla dichiarazione di Alma-Ata (Almaty) del 1991 che ha segnato la dissoluzione dell’ex Unione Sovietica e la fondazione della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI). Nell’ottobre 2022 a Praga, i leader armeno e azero hanno concordato di utilizzare il trattato come base per il reciproco riconoscimento e la delimitazione dei reciproci territori.
L’Unione europea ha accolto con favore i progressi e il conseguente protocollo, incoraggiando entrambe le parti a compiere “ulteriori passi decisivi per affrontare altre questioni bilaterali in sospeso” e restando “impegnata a sostenere gli sforzi volti a portare una pace sostenibile e duratura nella regione del Caucaso meridionale”.
In una riunione di gabinetto del 16 maggio, Pashinyan ha definito l’accordo sul confine un “grande successo” e ha sostenuto che sarebbe servito da modello per delimitare e demarcare altre parti del confine in futuro.
“È stata posta una pietra miliare importante per l’ulteriore sviluppo e rafforzamento della nostra sovranità e indipendenza”, ha affermato il primo ministro armeno. “Per la prima volta dall’indipendenza, la nostra repubblica ha un confine delimitato ufficialmente”.
Alcuni residenti nella sezione di confine in questione non sono così entusiasti. Alcune proprietà e parte di una strada passeranno sotto il controllo dell’Azerbaijan, ma il governo afferma che affronterà questi problemi sulla base delle mappe militari sovietiche del 1976 che rimangono valide nel contesto di Alma-Ata.
Tuttavia, il leader del movimento di protesta, l’arcivescovo Bagrat Galstanyan, continua a collaborare con la Federazione rivoluzionaria armena–Dashnaktsutyun (ARF-D) dell’opposizione e il Partito repubblicano degli ex presidenti Robert Kocharyan e Serzh Sargsyan per mettere sotto accusa Pashinyan in parlamento. Nel fine settimana l’arcivescovo ha incontrato anche i leader dell’opposizione extraparlamentare per ottenere il loro sostegno in vista della manifestazione del 26 maggio che si terrà in Piazza della Repubblica.
Diversi leader e altri ex funzionari continuano a sostenere la nomina di Galstanyan a primo ministro nel caso in cui Pashinyan fosse deposto, anche se l’arcivescovo non è idoneo per la posizione poiché ha preso la cittadinanza canadese quando era primate della diocesi della Chiesa apostolica armena in Canada. Anche se rinunciasse, non soddisferebbe il requisito dei quattro anni di possesso della sola cittadinanza armena.
Sebbene le principali manifestazioni siano sospese fino al 26 maggio, il 15 maggio Galstanyan ha riunito diverse centinaia di sostenitori del suo movimento Tavush per la Patria in quattro punti separati attorno a Piazza della Libertà di Yerevan, dove Pashinyan avrebbe dovuto parlare alla riunione annuale della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo. Le strade principali sono state bloccate dai manifestanti, che però si sono tenuti lontani dal palazzo dell’Opera dove si svolgeva la conferenza.
Secondo i manifestanti, la massiccia presenza della polizia era la prova che il primo ministro, che accusano di tradimento, “vive nella paura” e non è in grado di controllare il Paese. La loro attenzione si è rapidamente spostata dal tentativo di fermare il processo di frontiera al cambio di regime.
Imperturbabile, Pashinyan si è rivolto ai delegati con un discorso ottimista sui processi in corso nel paese, compresa la normalizzazione. “Il processo di demarcazione tra Armenia e Azerbaijan è iniziato in questi giorni e dovrebbe diventare uno degli strumenti che insegneranno all’Armenia e all’Azerbaijan a vivere pacificamente”, ha affermato.
Nel quadro dell’accordo, le forze militari saranno ritirate e sostituite da guardie di frontiera man mano che ogni sezione sarà finalizzata. Questo processo è già in corso.
Tuttavia, in un recente sondaggio condotto questo mese, il rating di Pashinyan è sceso al 12,8%, seppur sempre superiore a quello dell’ex presidente Robert Kocharyan. L’arcivescovo Galstanyan, incluso per la prima volta, è arrivato secondo con il 3,9%. Tuttavia, un gran numero di armeni rimane indeciso o non intenzionato a votare.
Mentre Galstanyan si prepara per la sua prossima manifestazione di massa del 26 maggio, la prossima settimana probabilmente determinerà se l’opposizione unita potrà rinvigorire il movimento altrimenti in declino.
Un ulteriore sostegno da parte della comunità internazionale potrebbe essere sufficiente per impedire le dimissioni forzate o l’impeachment di Pashinyan. Solo il 9,3% degli intervistati ha sostenuto i tentativi di sfiduciarlo, mentre il 30% ritiene che dovrebbe semplicemente dimettersi.
Per quanto riguarda Galstanyan, nonostante il sostegno alla sua candidatura da parte di diverse forze di opposizione, solo il 6,7% sarebbe favorevole alla sua nomina a primo ministro in un governo di transizione, qualora si formasse, mentre circa l’81,5% si è dichiarato indeciso o contrario a qualsiasi tra i principali leader dell’opposizione.