Armeni, «la Turchia prova a distogliere l’attenzione dal genocidio». LaStampa/Vatican Insider
marta petrosillo (vatican insider)
Il 2 gennaio scorso il primo ministro turco Ahmet Davutoğlu, parlando ai rappresentanti delle minoranze religiose locali, ha promesso la costruzione di una chiesa per la comunità siriaca: la prima chiesa costruita in Turchia dalla nascita della Repubblica nel 1923. Eppure in pochi credono che la promessa diverrà mai realtà.
Del resto non è la prima volta che il governo turco annuncia l’imminente costruzione dell’edificio, specie in occasione di consultazioni elettorali. Della costruzione si parlò per la prima volta nel 2009, quando il governo si era impegnato a donare ai cristiani siriaci un terreno confiscato alla comunità armena. Nel 2012 giunse perfino l’approvazione del comune di Istanbul, con la concessione alla comunità siriaca di un terreno di 2mila metri quadri, un ex cimitero cattolico, nel quartiere di Yeşilköy. Allora la notizia fu ampiamente pubblicizzata dai media turchi. Il quotidiano Star Daily titolò addirittura «Una moschea a Çamlıca, una chiesa a Yeşilköy», facendo riferimento alla maxi-moschea sulla collina che sovrasta la città, la cui costruzione era stata da poco autorizzata.
Tuttavia, se il tempio islamico prende forma e sarà probabilmente inaugurato nel 2016, la chiesa resta una promessa da rilanciare in campagna elettorale. Oppure un escamotage per distogliere l’attenzione dal centesimo anniversario del genocidio armeno, tuttora negato dalle autorità turche, che ricorre proprio quest’anno. Ne è convinto David Vergili, membro e già portavoce dell’Unione siriaca europea, alleanza di organizzazioni assire e siriache con sede a Bruxelles. «È evidente che il governo turco prova a mostrare rispetto per le minoranze religiose, in un momento in cui la sua reputazione appare compromessa dal ricordo del genocidio», dichiara Vergili a Vatican Insider. Il giornalista spiega perché la comunità siriaca dubita fortemente della sincerità governativa. «Se vi fosse davvero l’intenzione di trattare equamente le minoranze, Ankara dovrebbe cominciare a restituire le proprietà loro confiscate».
Erdogan spera inoltre che il centenario della campagna di Gallipoli, quando i turchi guidati da Mustafa Kemal Atatürk resistettero all’invasione franco-britannica nello stretto dei Dardanelli, contribuisca a spegnere i riflettori sul massacro degli armeni. I festeggiamenti si sono sempre celebrati il 25 aprile, data d’inizio dell’operazione nel 1915, ma quest’anno si svolgeranno dal 23 al 25 aprile, occupando così anche il giorno in cui si ricorda proprio il genocidio armeno (il 24). Il governo turco ha invitato alla celebrazione i capi di stato di tutto il mondo, incluso il presidente armeno Serzh Sargsyan. «Non vedo quale altro motivo per anticipare l’anniversario della campagna di Gallipoli se non distogliere l’attenzione mondiale dal genocidio del nostro popolo», ha affermato Sargsyan in un comunicato ufficiale rispondendo all’invito di Recep Erdoğan. Una sfiducia ribadita dal Consiglio nazionale delle comunità armene di Francia: «Questa manovra vuole ridurre la partecipazione dei leader internazionali alle celebrazioni di Yerevan. Siamo nel solco del negazionismo turco, ovvero il perpetuarsi del genocidio sotto altra forma».
Negazionismo largamente diffuso tra la popolazione anatolica, stando almeno a quanto emerge da un’indagine pubblicata nei giorni scorsi dal centro per gli Studi economici e di politica estera, un think tank con sede a Istanbul. Solo il 9,1% dei 1508 intervistati è infatti convinto che il governo Erdoğan debba riconoscere il genocidio e fare pubblica ammenda, mentre il 12% ritiene giusto che Ankara esprima cordoglio senza porgere alcuna scusa. E se il 23,5% sostiene che le vittime non fossero soltanto armene e si debbano dunque commemorare tutti i cittadini dell’impero ottomano uccisi in quel periodo, il 21,3% suggerisce alle autorità turche di non fare assolutamente nulla.