Armeni in fuga: la “nuova” Siria targata Turchia ricorda troppo il passato (InsiderOver 15.12.24)
Il regime siriano di Bashar al-Assad è crollato e in soli dieci giorni la fine del Governo che da oltre cinquant’anni dominava a Damasco ha portato i militanti d’opposizione a conquistare la parte del Paese in mano agli ex lealisti e ha stravolto la mappa del Paese levantino. Ora che il governo di transizione di Mohammad al-Bashir, vicino al gruppo militante Hay’at Tahrir al-Sham, si è insediato a Damasco, il Paese guarda con attenzione al futuro, e in particolare vi guardano le minoranze che a lungo hanno contribuito a costituire una Siria plurale. Cosa resterà di questo Paese dopo tredici anni di guerra civile? A chiederselo sono i curdi e le vaste minoranze cristiane, tra cui gli armeni.
La storia degli armeni in Siria è di lungo corso e legata ai grandi drammi dell’ultimo secolo. “Per poter capire la situazione degli armeni in Siria bisogna guardare alla storia”, dice a InsideOver il professor Baykar Sivazliyan, a lungo docente di Lingua e cultura armena presso l’Università degli Studi di Milano e oggi presidente dell’Unione degli Armeni d’Italia. “Mezzo secolo fa gli armeni in Siria erano oltre 200mila”, nota Sivazliyan, “e c’era grande gratitudine per il fatto che l’insediamento più consistente fosse stato favorito dall’aiuto dato dagli arabi del Paese ai sopravvissuti del genocidio del 1915”.
Gli armeni e la Siria, una lunga storia di convivenza
I massacri di armeni nell’Impero Ottomano e la politica genocidiaria condotta dal governo di Istanbul durante la Grande Guerra generarono una “geografia del dolore” per questo popolo perseguitato che si sovrappose, drammaticamente, con luoghi della Siria tornati a far parlare di sé negli anni cupi della guerra civile. Tra il 1915 e il 1916, centinaia di migliaia di armeni furono costretti a vere e proprie marce della morte dall’Anatolia al deserto siriano, diretti a Deir ez-Zor. Gli anni bui del genocidio videro gli arabi di Siria prodigarsi, in diversi casi, a favore dei deportati: la memoria armena ricorda, ad esempio, il contributo dato dal sindaco di Deir ez-Zor, Haj Fadel Al-Aboud, per alleviare le condizioni drammatiche dei deportati.
Quello fu l’inizio di un rapporto che, nota Sivazliyan, “è durato per decenni. La guerra civile”, dice il presidente della comunità armena in Italia, ha creato grandi sconvolgimenti: “già dieci anni fa questo numero si era dimezzato”, a poco tempo dallo scoppio del conflitto del 2011. Europa e Usa sono stati i principali luoghi di destinazione della comunità armena in fuga dalla Siria. L’avanzata dei militanti filo-turchi che ha travolto il regime di Assad ha portato con sé un aumento delle fughe di armeni dalle aree investite dall’offensiva: “Pensiamo ad Aleppo. Prima della guerra vi vivevano almeno 80mila armeni, ad oggi stando alle informazioni più recenti in nostro possesso non ne restano più di 15mila, e in totale in tutta la Siria saremo attorno ai 40mila“.
“A prescindere dal giudizio politico sul regime di Assad, che non è il centro della questione”, nota il docente, “sottolineiamo l’emersione di una profonda sfiducia da parte di molti armeni di fronte all’avanzata di forze legate a una potenza ingombrante come la Turchia, che al nostro popolo evoca tempi bui della storia, e la cui ingerenza in Siria si è fatta sempre più palese”. Del resto, Sivazliyan nota che “l’attenzione mediatica si è spostata sulla Siria nei giorni dell’offensiva, ma era mesi che il Paese si era surriscaldato e le forze turche e i loro alleati avevano iniziato una crescente pressione su comunità come quella dei curdi, e questo genera un sentimento di sfiducia”.
Un destino incerto
Insomma, “il destino degli armeni è incerto”, e lo è ad Aleppo, a Damasco o in località dove questa comunità è molto radicata, come l’area di Chessab vicino Latakia. Ad ora non si registrano vessazioni da parte dell’ex opposizione ora al governo. “I rappresentanti dei rivoltosi hanno avuto numerosi contatti con la comunità e la Chiesa armena dando ampissime rassicurazioni che non succederà nulla”, segnala Sivazliyan, ma l’attenzione è alta: “Se inizieranno ad imporre l’ideologia islamista, a segregare i ragazzi e le ragazze nelle scuole o a trattare gli armeni come cittadini di serie B, sarà un problema. Però capisco i miei connazionali che appena hanno visto la situazione, malgrado le garanzie date in questi giorni, sono andati via”, nota il presidente. Due anni fa Chessab è stata attaccata da gruppi filo-turchi che hanno colpito il patriarcato armeno, divelto diverse tombe nei cimiteri e “richiamato alla mente scene che pensavamo dimenticate”, nota l’accademico armeno.
L’ipotesi di trovarsi in una Siria filo-turca e legata alle volontà politiche di Recep Tayyip Erdogan ha spinto molti armeni a non sentire più il Paese come casa propria. E fresco è ancora, nota Sivazliyan, “il ricordo dell’esodo degli armeni dal Nagorno-Karabakh, che ha portato il nostro Paese, di meno di 3 milioni di abitanti, ad accogliere 120mila profughi scacciati dagli azeri, dopo le recenti guerre e la conseguente pulizia etnica, strategie avallate dalla Turchia di Erdogan, dalla regione che rappresenta una delle culle della nostra storia”, il tutto “nel silenzio del mondo e ignorate dalla stragrande maggioranza dei media occidentali”. Impossibile cancellare i traumi della storia, recente e remota, su un popolo: la sensazione che gli armeni possano non sentire più la Siria come casa propria emerge, ed è una delle problematiche a cui la nuova leadership dovrà dare risposta. Ammesso che abbia intenzione di farlo.