Ararat, il brandy simbolo dell’Armenia nel mondo.
ARARAT, IL BRANDY SIMBOLO DELL’ARMENIA NEL MONDO: INVECCHIA A YEREVAN, NELLA CANTINA-FORTEZZA CHE È PURE MUSEO DEL GUSTO
Giovanni Bosi, Yerevan / Armenia
Le albicocche sono indiscutibilmente il simbolo dell’Armenia, basti pensare che alcuni semi di questo frutto sono stati rinvenuti nella zona dell’antico tempio di Garni e già gli antichi romani lo avevano chiamato “mela armena”, connotazione geografica che oggi si ritrova ancora in botanica. Eppure – quasi inaspettatamente – c’è anche un altro simbolo di questo Paese, di cui gli stessi armeni vanno orgogliosi e che si richiama al monte sacro: l’ArArAt, il brandy.
(TurismoItaliaNews) Beh, in fondo è comprensibile se si tiene conto che l’Ararat, la montagna associata all’Arca di Noè, “luogo di Dio”, pur ricadendo oggi in territorio turco costituisce una componente irrinunciabile della storia armena. E così si dice, a proposito dell’omonimo brandy, che sia molto di più di una bevanda da sorseggiare, magari per meditare: piuttosto un’opportunità per immergersi nella cultura armena.
“Ararat è un simbolo dell’inizio di una nuova vita, un simbolo di persone aperte e nobili, un simbolo di un paese libero e ospitale: l’Armenia” ci spiegano. E allora per capirne di più, siamo andati a Yerevan per vedere direttamente nel cuore di questo simbolo, dove nasce e invecchia questo leggendario brandy: il possente stabilimento-cantina in Admiral Isakov Ave. è stato costruito al posto della fortezza Hin Erivan nel 1887 dal mercante e filantropo Nerses Tairyan per la Yerevan Brandy Company, e poi comprato nel 1899 da “Shustov & Sons”, famosa azienda vinicola russa del grande industriale Nikolay Sciustov, che già l’anno successivo otteneva il “Gran premio” all’Esposizione Universale di Parigi. Dal 1998 fa parte del gruppo francese Pernod Ricard.
Qui non solo si produce impiegando uve autoctone, coltivate nell’Ararat Valley e nelle regioni di Tavush e Nagorno, ma opportunamente è stato allestito anche un suggestivo percorso museale che consente di conoscere da vicino la tradizione del brandy in Armenia e scoprirne i segreti produttivi, visto che poi tutto i sensi diventano protagonisti, compresi gusto e olfatto grazie alle degustazioni assicurate.
Leggendario si diceva: è proprio così, perché giustamente l’ ArArAt è considerato l’orgoglio di molte generazioni e un simbolo globale del Paese. “L’Armenia è l’erede di un’antica civiltà e la culla della viticoltura e della vinificazione – ci spiegano mentre visitiamo il Museo – ha un patrimonio culturale meravigliosamente ricco, natura fertile, forza e tradizioni spirituali e persone di talento piene di carattere. È stato qui che l’unione di naturale generosità ed energia creativa ha dato nuova vita al business del brandy”.
A ben guardare lo stabilimento sembra esso stesso una fortezza con le sue mura monumentali, sulla riva destra del fiume Hrazdan. La visita della capitale Yerevan – sia che si tratti di delegazioni ufficiali piuttosto che di artisti – parte inevitabilmente dalle botti in cui invecchia il brandy con tour giornalieri pensati anche per i turisti, per immergersi nella storia secolare di questa nobile bevanda e dei segreti della produzione moderna. Del resto, già nel 1887 l’aspetto della produzione classica di brandy aveva rappresentato una svolta tecnologica e proprio grazie all’alta qualità della produzione Sciustov aveva ottenuto l’autorizzazione per scrivere sulle bottiglie “cognac” anzichè “brandy”, arrivando addirittura a diventare fornitore della Corte imperiale della Russia.
Il segreto di questo brandy? “Sta nel sole, nella terra e nell’acqua dell’Armenia” risponde senza esitazione la nostra guida nella visita al Museo. “ArArAt è un simbolo dell’inizio di una nuova vita, un simbolo di persone generose aperte e di un paese libero e ospitale. Come erede delle antiche civiltà e culla della viticoltura e della vinificazione, l’Armenia cattura l’immaginazione con il suo ricco patrimonio culturale, il potere spirituale delle tradizioni e il talento di persone appassionate. E’ stato qui nella terra dell’Ararat che generosità ed energia creativa si sono fuse per rilanciare la produzione di brandy”. C’è dunque un pressante tocco di nazionalità a sostenere la popolarità di questo prodotto. A proposito: inutile dire che la raccomandazione “bevi con moderazione” vale anche qui…
Durante la visita c’è la possibilità di vedere la cantina della maturazione (il sistema è quello della doppia distallazione), conoscere le condizioni in cui il brandy viene conservato (il periodo minimo di invecchiamento è di tre anni in legno di rovere del Caucaso, “caucasian oak”), annusare l’aroma unica della cantina (ogni botte di quercia ha la sua storia…) e scoprire addirittura che all’interno dello stabilimento alcune celebrità hanno una propria botte con tanto di nomi. Fino ad arrivare al momento più atteso, la degustazione, per la quale la regola è fissa: deve essere effettuata tassivatamente con un bicchiere di vetro trasparente per apprezzare il colore del brandy.
Tra i dettagli particolarmente curati c’è anche l’imbottigliamento, che si conclude con l’apposizione del tappo sul quale c’è, in rilievo, la Fenice simbolo di qualità dell’azienda. Le tipologie di brandy sono diverse, tra le quali il Vaspurakan 15 Years Old (intenso color ambra, tocco di oro antico; aroma strutturato e complesso, sentori di spezie, legno affumicato e frutta secca, tipico della botte di quercia caucasica), il Nairi 20 Years Old (profumo armonioso con fragranza balsamica arricchita da toni citrici di cedro e pompelmo rosa; note più speziate di legno, miele e cannella), l’Erebuni 30 Years Old e il famoso Dvin Collection Reserve (invecchiato 10 anni in botti di quercia, gradazione 50°, ricco colore ambrato, sfumature intense di mogano).
E non mancano gli aneddoti. Uno di questi (non suffragato però da documenti storici) racconta che durante la Conferenza di Yalta, Winston Churchill rimase talmente colpito dal gusto del brandy armeno che chiese a Stalin, che glielo aeva offerto, di inviargliene diverse bottiglie. Cosa che si sarebbe avverata, con la spedizione al premier britannico ogni anno di 400 bottiglie di brandy Dvin (etichetta che celebra l’antica capitale Dvin, prodotto per la prima volta nel 1943). Una storia che si è ripetuta nel 2013 quando il presidente russo Vladimir Putinm incontrando David Cameron nella sua villa a Sochi, ha donato al primo ministro britannico una bottiglia di brandy armeno ricordando l’offerta di Stalin a Churchill nel 1945.
Abbiamo iniziato parlando delle albicocche, che pure sono utilizzate – in particolare con la qualità Shalakh – per la preparazione di distillati. In Armenia sono infatti diverse le varietà locali, alcune delle quali si trovano soltano in specifiche regioni come le stesse Shalakh, le Novrast Krasnyj, le Khosrovshay, le Tabarza, le Karmir Nakhidhevani, le Bedem-Erik, le Abutalini, le Spitak ed altre. Proprio la varietà Shalakh – chiamata anche Yerevani, che in armeno vuol dire “di Yerevan” ma anche ‘ananas’ – è il simbolo del Paese.
Per saperne di più
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www.araratbrandy.com
Giovanni Bosi, giornalista, ha effettuato reportages da numerosi Paesi del mondo. Da Libia e Siria, a Cina e India, dai diversi Paesi del Sud America agli Stati Uniti, fino alle diverse nazioni europee e all’Africa nelle sue mille sfaccettature. Ama particolarmente il tema dell’archeologia e dei beni culturali. Dai suoi articoli emerge una lettura appassionata dei luoghi che visita, di cui racconta le esperienze lì vissute. Come testimone che non si limita a guardare e riferire: i moti del cuore sono sempre in prima linea. E’ autore di libri e pubblicazioni.
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