Antonia Arslan: “L’Europa non si nasconda ma apra il dialogo con Putin”. (La Stampa 06.03.2022)

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«Ci sono rifugiati di serie A e di serie C. Nessuno che voglia essere onesto può negarlo. Non ho sentito nessuna solidarietà quando è scoppiata la guerra nel Nagorno Karabakh, alla quale ho dedicato una ballata. Centocinquantamila persone contro milioni di altre che avevano i più sofisticati strumenti di morte, capaci di individuare gli obiettivi tramite il calore. Quindi, sì, certo ci sono rifugiati, profughi e guerre di serie A e di serie C. Questo non toglie nulla al fatto che sono contenta che oggi, finalmente, si faccia qualcosa».
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MARIA BERLINGUER
Antonia Arslan, docente di letteratura italiana, saggista e autrice de La masseria delle allodole, nel quale racconta la tragedia del popolo armeno, il cui eccidio ha ispirato Hitler nella pianificazione dello sterminio degli ebrei, è scossa dalle notizie che arrivano dall’Ucraina e dalle immagini di donne, vecchi e bambini in fuga.
«È l’immagine della guerra. Con la sua umanità dolente. Non è una sorpresa per me, perché da bambina ho visto la fine della Seconda guerra mondiale e, quindi, mi ricordo benissimo degli sfollati. Con mia madre siamo scappate a un mitragliamento,buttandoci in un fosso con altre donne e bambini. Per me non è una sorpresa, è il ripetersi della guerra come realtà che accompagna l’uomo da sempre. Sono cose terribili, che andrebbero evitate a tutti i costi, però sono un po’ stupita dalla sorpresa che sembra manifestarsi per questa guerra, come se non ce ne fossero state altre anche in Europa. Nell’ex Jugoslavia, che è molto più vicina a noi, sono accadute atrocità incredibili pochi anni fa. Abbiamo come sempre la memoria corta»
Nel 2021 abbiamo lasciato i profughi che Lukashenko ammassava ai confini della Polonia al freddo,scalzi. C’erano bambini e donne, famiglie di afghani e siriani in fuga dalla guerra. Ma non c’è statala solidarietà e la mobilitazione di oggi. Perché?
«Ci sono rifugiati di serie A e di serie C. Nessuno che voglia essere onesto può negarlo. Non ho sentito nessuna solidarietà quando è scoppiata la guerra nel Nagorno Karabakh, alla quale ho dedicato una ballata. Centocinquantamila persone contro milioni di altre che avevano i più sofisticati strumenti di morte,capaci di individuare gli obiettivi tramite il calore. Quindi, sì, certo ci sono rifugiati, profughi e guerre di serie A e di serie C. Questo non toglie nulla al fatto che sono contenta che oggi, finalmente, si faccia qualcosa».
Pensa che l’aver applicato la Convenzione 55 per i rifugiati ucraini aiuterà anche i rifugiati di altre guerre?
«È così che succede nella storia: a un certo punto i fatti impongono una lettura diversa e tante costruzioni egoistiche si frantumano. Forse non sentiremo più frasi come “aiutiamoli a casa loro”. Potrebbe essere uno spartiacque. Almeno lo spero». Il genocidio degli armeni è stato rimosso per decenni. Noi invece abbiamo già dimenticato la tragedia dell’Afghanistan della Siria. Guerre ancora in corso.
«La memoria va alimentata, perché le tragedie non si ripetano. È un aspetto fondamentale ricordare. Ma sono sempre più convinta che non servano a tanto i giorni della memoria. Io tengo moltissimo a che si renda omaggio alla Shoah e, prima, allo sterminio degli armeni, ma questo deve essere spalmato come coscienza personale. Nelle scuole quello che è importantissimo non è portare gli studenti alla celebrazione del Giorno della memoria, che diventa un rituale, ma che i ragazzi siano coinvolti. Devono introiettare una visione della realtà per la quale ciascuno di loro, come ognuno di noi, potrebbe diventare profugo. O seguire il dittatore di turno. In ciascuno di noi c’è il massimo del bene, ma anche il massimo del male. Cito l’esempio di Monaco di Baviera che aveva il campo di concentramento a 20 chilometri. È impossibile che gli abitanti di Monaco non sapessero, ma si fidavano del governo. I governi possono suscitare l’avidità nell’uomo, fargli capire che possono impossessarsi dei beni degli altri. Come è successo con gli armeni. Gli esseri umani si odiano, si ammazzano. Arrivano a farlo». Facciamo bene a spedire armi in Ucraina? Non c’è il rischio di armare milizie che, domani, potremmo ritrovarci di fronte? «Penso che l’Ue dovrebbe applicarsi con tutte le sue forze, e ne ha tante, per cercare una tregua e trovare un accordo. Penso, invece, che distribuire armi che non sai dove finiscono sia sbagliato. È già successo in Afghanistan, dove l’Occidente, l’America soprattutto, ha distribuito armi che sono servite a tutt’altro scopo. Provo vergogna per quei discorsi retorici sulle donne. Abbiamo lasciato l’Afghanistan peggio di come lo abbiamo trovato e c’è la responsabilità del presidente degli Usa. Certamente la bruttissima figura di Biden in Afghanistan avrà inciso nel disegno di Putin e l’ha spinto a tentare il colpo gobbo: la guerra lampo. Però la guerra lampo può funzionare con un piccolo popolo e un territorio che lo è altrettanto. Non può funzionare in un territorio vasto come l’Ucraina».
Come ne usciremo? L’Europa si dovrebbe dotare di un esercito per garantire la pace?
«Certamente. L’Ue è una cosa importante. Noi da ragazze sognavamo l’Unione europea e ci troviamo con un mastodonte che spesso si occupa di frivolezze, della grandezza delle zucchine o dei pesci, e che non si dota di un ministero degli Esteri. Le pare possibile? Non un commissario, ma un ministro degli Esteri, magari eletto, che sia donna o uomo non importa. L’importante è che sia bravo. Invece abbiamo a che fare con personalità come Ursula Von der Leyen. Ma le pare possibile che si sia fatta trattare in quel modo da Erdogan senza avere un moto di ribellione, senza alzarsi e lasciare la sala? Non ha sentito che in quel momento rappresentava 480 milioni di persone? L’Europa è una realtà potente, non può nascondersi dietro un dito e lasciar fare tutto a potenze come gli Usa, la Cina o persino la Turchia».
Cosa pensa del caso di Paolo Nori e della censura, poi rientrata con una toppa peggio del buco, Dostoevskij?
«C’è da vergognarsi. Qualche funzionario si deve vergognare anche solo di aver pensato una censura del genere. Che figura fa l’Italia nel mondo? Durante la guerra non è che gli autori tedeschi venivano censurati. E stiamo parlando di Dostoevskij, uno che oggi sarebbe nelle patrie galere di Putin. Siamo al delirio». È preoccupata che la guerra possa coinvolgere altri Paesi? «Più passa il tempo è più si sentono toni pazzeschi. Voglio essere ottimista. C’è già tanto pessimismo in giro ma, certo, la situazione è drammatica. Speravo che potessero fermarsi come è successo con la crisi di Cuba. Qui si è andati troppo oltre. Ma voglio continuare a sperare e a vedere il bicchiere mezzo pieno. Qualche anno fa ero a Washington per la presentare l’edizione americana de La masseria delle allodole. C’era l’ambasciatore ucraino. Ci siamo messi a parlare, mi ha chiesto se conoscevo la storia delle deportazioni staliniane degli Anni 30 dei contadini. Gli ho risposto che non solo la conoscevo, ma che c’è un libro a me carissimo che la racconta, Tutto scorre di Vasilij Grossman. L’odio per i russi è profondo e nasce da lì».