Anche in Italia avanza il riconoscimento del genocidio dei Greci del Ponto (Il Messaggero 07.06.17)
Città del Vaticano «Anche l’Italia deve riconoscere il genocidio dei greci del Ponto». Una giornalista, nipote di una sopravvissuta, autrice di un romanzo storico, «La ragazza del Mar Nero» – che racconta la storia della nonna, Eratò, sopravvissuta al genocidio dei greci del Ponto, sterminati dai turchi tra il 1915 e il 1923, per un totale di 353 mila morti su 700 mila – si fa portavoce di una battaglia di giustizia. Maria Tatsos ripercorre le vicende familiari per dare voce a un capitolo storico rimasto silente ai più, imprigionato dalla realpolitik europea e turca. Si tratta di uno sterminio finito nel dimenticatoio per motivi diplomatici, per non compromettere equilibri politici. Il tema riaffiora dopo un secolo in un momento in cui Papa Francesco e il Patriarca ecumenico ortodosso Bartolomeo sono particolarmente vicini, portano avanti cause comuni, si battono per i profughi, per la cura dell’ambiente, affrontano viaggi assieme sono appena stati in Egitto insieme a sostegno della comunità copta perseguitata. Maria Tatsos fa notare che il genocidio si collega al tema della convivenza con chi è diverso, una questione di enorme attualità anche oggi in Europa: «allora i greci del Ponto furono colpiti perché cristiani, oggi c’è chi vorrebbe cacciare i musulmani dall’Europa».
In questi ultimi anni il numero dei riconoscimenti internazionali del genocidio dei greci del Ponto è in crescita.
In Italia non ci sono associazioni di greci del Ponto, ma singole persone sparse, nipoti di sopravvissuti, impossibili da quantificare. Le associazioni esistono dove la diaspora del Ponto ha avuto maggiore concentrazione, per esempio la Germania (zona di Stoccarda e Baden Wuerttemberg), Canada, Usa, Australia. Oltre che in Grecia, dove sono numerosissime e molto attive le associazioni nel preservare la memoria della lingua (il dialetto del Ponto di certe zone è vicinissimo al greco antico), delle tradizioni (musica, ballo, teatro) e della storia.
Del genocidio dei greci del Ponto in Grecia si è iniziato a parlare apertamente solo dagli anni Ottanta, dopo sessant’anni di silenzio. Perché? Dopo il 1923, il primo ministro greco Eleftherios Venizelos, amico di Mustafà Kemal, decise di fare prevalere la realpolitk, mettendo una pietra sopra a quanto era avvenuto. Poi arrivò la Seconda Guerra Mondiale seguita dalla guerra civile, con la Turchia che si trovò alleata della Grecia in funzione antisovietica. Solo con il ritorno della democrazia, i greci del Ponto poterono raccontare liberamente la loro tragedia agli altri connazionali, parlando finalmente anche dei loro luoghi d’origine, di un capitolo di storia brutalmente stroncato dai Giovani Turchi e poi da Kemal.
Il genocidio in questione è stato riconosciuto dalla IAGS – International Association of Genocide Scholars nel 2007. La Turchia però rifiuta di riconoscerlo, esattamente come non riconosce nemmeno il genocidio degli armeni. Per la storiografia turca, si tratta di vittime legate alla guerra. Peccato che dal 1915 fino al 1923 i greci del Ponto siano stati sradicati su base etnica e religiosa. Assassinati e deportati. Erano cristiani, considerati potenziali nemici e traditori, malgrado da secoli avessero dimostrato di essere ubbidienti sudditi ottomani. Qualche velleità indipendentista c’era stata, ma solo da parte di alcuni politici. La gente comune non stava organizzando la secessione del Ponto dall’Impero ottomano, tanto da giustificare il genocidio come vendetta. Tra le motivazioni dell’azione turca di sterminio, ci furono anche cause economiche: i greci del Ponto godevano di un discreto benessere; avevano scuole, associazioni, giornali, banche, attività economiche. A qualcuno faceva gola mettere le mani sui loro beni (esattamente come accadde per gli armeni).
Finora il genocidio dei greci del Ponto è stato riconosciuto da Cipro (dal 19 maggio 1994); dal Parlamento della Grecia (che ha istituito la giornata della memoria il 24 febbraio 1994); dalla Svezia (2010); dalla Armenia (2015); dalla Olanda (2015), Australia, Canada. E poi le città di New York, e gli stati americani del New Jersey, Columbia, South Carolina, Pennsylvania, Florida, Cleveland, Georgia, Rhode Island, Indiana, South Dakota, West Virginia.
Lo scorso anno, quando il Parlamento tedesco ha riconosciuto il genocidio degli armeni, fuori dal Bundestag c’erano bandiere armene e greche insieme. Il riconoscimento riguardava armeni e altre minoranze cristiane (greci del Ponto, assiri).
Il genocidio non fu solo umano, ma anche culturale. La Turchia distrusse chiese (spesso utilizzate successivamente come moschee), monumenti, cimiteri. Il nuovo stato, benché laico, doveva essere unito nella fede islamica. Per le minoranze, non c’era più spazio.