Amal Clooney per il riconoscimento del genocidio degli Armeni del 1915. Panorama e altri

Guardano tutti lei, Amal Clooney, nel giorno del debutto della moglie dell’attore americano sul palcoscenico della Corte per i diritti umani di Strasburgo, nel ruolo professionale di avvocato del governo armeno che chiede il riconoscimento del genocidio del 1915.

Mrs Clooney appare nella sala d’udienza della Corte indossando una toga nera, una pettorina bianca, tacchi a spillo, orecchini di brillanti e un anello a ciascun anulare.

La Svizzera ha condannato un cittadino turco che negava il genocidio
Impossibile avvicinarla mentre si dirige al tavolo posto al centro della sala da cui perorerà la causa degli armeni – la Corte di Strasburgo deve riconoscere che la Svizzera ha avuto ragione nel condannare un cittadino turco per aver negato l’esistenza del genocidio armeno.

La nota avvocatessa dei diritti umani è attorniata dalla sicurezza organizzata dalla Corte e protetta dalla sua guardia del corpo. “Abbiamo dovuto assicurarle che non sarebbe stata importunata prima o durante l’udienza da giornalisti o da altri” spiegano alla Corte. “Ma la sicurezza non è stata rinforzata solo per lei ma anche perche’ la questione che si dibatte è politicamente molto delicata”.

La prova è lo schieramento di almeno 10 camionette della polizia davanti alla Corte. Schierate in mezzo alla strada separano gli armeni, dai curdi, e dai numerosi turchi, venuti a manifestare pro e contro il riconoscimento del genocidio.

E mentre i manifestanti brandiscono slogan e sventolano le bandiere dei loro Paesi, dentro la Corte inizia l’udienza della Grande Camera sul ricorso che Dogu Perincek, giurista e uomo politico turco, ha presentato contro la Svizzera. Il presidente della Corte, Dean Spielmann, stabilisce l’ordine degli interventi. Mrs Clooney sara’ l’ultima a prendere la parola.

Libertà d’espressione: “Fu un massacro, non un genocidio”
Il primo a intervenire è proprio Perincek che difende il suo diritto alla libertà d’espressione, e quindi a dire che non esiste un genocidio armeno, perché “genocidio è un termine legale che non si può applicare a questo caso”. “Ma io ho sempre riconosciuto che gli armeni sono stati massacrati e deportati” sottolinea.

I suoi avvocati seguono la stessa linea. Poi tocca ai legali svizzeri. Loro vogliono solo che i giudici ribaltino la sentenza di condanna che una Camera della Corte pronunciò nel dicembre del 2013, ritenendo i tribunali svizzeri colpevoli di non aver fatto bene il loro lavoro.

Poi parla il legale del governo turco, che come quello armeno ha chiesto di intervenire come terza parte.

Avvocato Clooney: “nel 1915 fu genocidio”
Infine arriva la volta dei rappresentanti legali degli armeni. Parlano in 3, e Mrs Clooney è l’ultima. Parla in inglese. Nel suo discorso elenca fatti che provano che nel 1915 è stato compiuto un genocidio e accusa la Corte di aver fatto “un passo nella direzione sbagliata e un torto alle vittime e alle loro famiglie”. Il suo intervento dura meno di 8 minuti.

Il presidente della Corte la interrompe, “Mrs Clooney il tempo a sua disposizione è terminato”. Prima di lasciare l’aula la moglie di George si concede una sessione di foto in compagnia di funzionari e parlamentari armeni.


La moglie di Clooney debutta nel processo a Strasburgo sul genocidio armeno. Il Giornale 28.01.2015

 

Amal Alamuddin rappresenta il governo armeno, costituitosi parte civile nel processo contro un cittadino turco, che in Svizzera ha negato l’esistenza del genocidio armeno

Orlando Sacchelli

Amal Alamuddin, moglie di George Clooney, debutta alla Corte di Strasburgo. Nota avvocato dei diritti umani, rappresenta il governo armeno che si è costituito parte civile nel processo che vede imputato un politico turco,Dogu Perincek, che durante un viaggio in Svizzera negò il genocidio armeno. Perincek fu multato per le sue affermazioni, ma presentò appello alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, sostenendo che la Svizzera aveva violato il suo diritto alla libera espressione.

Oggi è iniziato il processo di appello. La sede della Corte era assediata dalla stampa. Oltre ai numerosi giornalisti e fotografi presenti circa 200 armeni che chiedono il riconoscimento del genocidio del 1915.

Il genocidio armeno

Gli armeni erano già finiti al centro di una dura repressione da parte del sultano ottomano Abdul Hamid II, tra il 1894 e il 1896. Per genocidio, tuttavia, si intende quello avvenuto tra il 1915 e il 1916. Gli armeni lo commemorano ogni anno il 24 aprile. Nella notte tra il 24 e il 25 aprile 1915, infatti, furono compiuti numerosi arresti e deportazioni di armeni, inizialmente contro l’élite intellettuale di Costantinopoli: più di mille tra giornalisti, scrittori e persino parlamentari armeni furono deportati in Anatolia, e molti di essi neanche vi arrivarono perché uccise (o lasciate morire di stenti) nelle lunghe “marce della morte”. Da qualche anno nell’impero ottomano si era affermato il governo dei “Giovani Turchi”, formazione costituitasi alla fine del XIX secolo per trasformare l’impero in una moderna monarchia costituzionale, con un esercito ben addestrato. I giovani turchi temevano che gli armeni potessero allearsi coi russi, di cui erano acerrimi nemici. E in effetti alcuni battaglioni armeni dell’esercito russo nel 1915 si misero a reclutare armeni che prima avevano fatto parte dell’esercito ottomano. Anche i francesi, con il loro esercito, forniva soldi e armi agli armeni, spingendoli alla rivolta contro il movimento che, nel 1923, avrebbe dato vita alla repubblica. Furono anche (qualcuno dirà soprattutto) ragioni politiche e di alleanze, dunque, a causare i massacri.

Ancora oggi la Turchia rifiuta di riconoscere il genocidio compiuto a danno degli armeni. E nel modo più assoluto Ankara nega che il massacro fu pianificato e messo in atto così come, anni dopo, fecero i nazisti in Germania contro gli ebrei. Uno storico turco, che negli anni Settanta affrontò il tema spingendosi a ipotizzare che vi fosse stato un genocidio, fu incarcerato e condannato a dieci anni di prigione.

Gallerie fotografiche correlate

Amal Alamuddin Clooney difende gli armeni

Oggi Taner Akçam vive e lavora negli Stati Uniti. La Turchia tuttora punisce con una pena fino a tre anni chiunque in pubblico citi l’esistenza del genocidio degli armeni: viene considerato un gesto anti-patriottico. Questo negazionismo ha creato moltissime frizioni tra Turchia e Unione Europea, in relazion al negoziato per l’adesione di Ankara nell’Ue. Eppure le foto di Armin T. Wegner testimoniano quel massacro.


Amal Clooney a Strasburgo
per difendere l’Armenia

 

L’avvocato Amal Alamuddin Clooney – più famosa, suo malgrado, come moglie della star di Hollywood George – è al lavoro in uno dei processi più impegnativi della sua carriera. Rappresenta, infatti, l’Armenia (qui con il collega Geoffrey Robertson) al processo di appello sul caso Perincek, di fronte alla Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo. La vicenda risale al 2008. Durante una visita in Svizzera Il politico turco Dogu Perincek, del Partito dei lavoratori turchi, aveva negato che il genocidio del 1915 – nel quale un milione e mezzo di armeni hanno perso la vita – avesse mai avuto luogo. Perincek è stato multato per queste affermazioni da un tribunale in Svizzera, ha fatto appello alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, che ha stabilito nel dicembre 2013 che la Svizzera aveva violato il suo diritto alla libera espressione. Adesso, inizia il processo di appello (Reuters)


L’Armenia difesa dalla signora Clooney

Amal Alamuddin sosterrà il punto di vista dello stato caucasico nel caso Perinçek

 

STRASBURGO – Per difendere il punto di vista armeno nel caso Perinçek che sarà trattato a Strasburgo, le autorità dello stato caucasico hanno chiesto l’assistenza del celebre avvocato australiano Geoffrey Robertson, che si presenterà in compagnia di Amal Alamuddin Clooney. Anch’essa specialista delle questioni legate ai diritti umani, la moglie dell’attore statunitense George Clooney è lontana parente del missionario appenzellese Jakob Künzler, deceduto in Libano nel 1949.

Nata in questo paese nel 1978 da un padre druso e da una madre sunnita, Amal Alamuddin lavora dal 2010 nel celebre studio legale londinese Doughty Streets Chambers. Legami di parentela la uniscono al missionario elvetico Jakob Künzler (Hundwil, 8 marzo 1871 – Ghazir, 15 gennaio 1949), soprannominato “il padre degli orfani armeni”. Basati a Urfa (sud-est della Turchia), Künzler e la moglie hanno tratto in salvo migliaia di bimbi armeni durante e dopo la Prima Guerra Mondiale.

La figlia dei Künzler, Ida, ha sposato Najib Alamuddin, il cugino del nonno di Amal Alamuddin Clooney, indicano fonti armene. Nel 1970, Ida Künzler ha pubblicato un libro sul padre e la sua azione umanitaria, intitolato “Papà Künzler e gli Armeni”.

Lo stesso Künzler ha redatto nel 1921 “Nella terra del sangue e delle lacrime, la Mesopotamia durante la Grande Guerra (14-18)”, considerato dagli armeni come una testimonianza capitale dell’esistenza del genocidio.

ats ansa


AMAL CONTRO I NEGAZIONISTI DEL GENOCIDIO ARMENO: LADY CLOONEY LOTTA DI FRONTE ALLA CORTE EUROPEA CONTRO IL POLITICO TURCO CHE DEFINÌ LA MORTE DI 1,5 MILIONI DI ARMENI “UNA BUGIA” (VIDEO) –

La vicenda risale al 2008. Durante una visita in Svizzera il politico turco Dogu Perincek, del Partito dei lavoratori turchi, aveva negato che il genocidio del 1915 – nel quale un milione e mezzo di armeni hanno perso la vita – avesse mai avuto luogo…

VIDEO – AMAL RAPPRESENTA L’ARMENIA IN CORTE EUROPEA

Da http://www.corriere.it

 

L’avvocato Amal Alamuddin Clooney – più famosa, suo malgrado, come moglie della star di Hollywood George – è al lavoro in uno dei processi più impegnativi della sua carriera.

Rappresenta, infatti, l’Armenia (qui con il collega Geoffrey Robertson) al processo di appello sul caso Perincek, di fronte alla Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo. La vicenda risale al 2008. Durante una visita in Svizzera il politico turco Dogu Perincek, del Partito dei lavoratori turchi, aveva negato che il genocidio del 1915 – nel quale un milione e mezzo di armeni hanno perso la vita – avesse mai avuto luogo.

Perincek è stato multato per queste affermazioni da un tribunale in Svizzera, ha fatto appello alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, che ha stabilito nel dicembre 2013 che la Svizzera aveva violato il suo diritto alla libera espressione. Adesso, inizia il processo di appello.


http://www.2duerighe.com/autori/26-01-2015-corte-europea-per-i-diritti-umani-un-seconda-possibilita-sul-caso-perincek

Corte Europea per i Diritti Umani, una seconda possibilità sul caso Perinçek

Con una sentenza che ha fatto molto discutere, la Corte Europea per i Diritti Umani ha scagionato, il 17 Dicembre del 2013, Dogu Perincek, sconosciuto ai più nel nostro Paese, ma tristemente noto nel mondo della diaspora Armena (e non) per essere un convinto negazionista del genocidio armeno. Poche settimane fa l’importante organo ha deciso di riesaminare il caso, e il nazionalista turco sarà nuovamente sotto i riflettori il prossimo 28 Gennaio, avendo accettato i giudici di Strasburgo il ricorso avanzato dalla Svizzera. Ripercorriamo i fatti.

Questa storia comincia nel 2005, quando, durante una serie di conferenze tenute un giro per la Svizzera, il Presidente del Partito dei Lavoratori turco (gruppo nazionalista di sinistra) Dogu Perinçek parla più volte del genocidio armeno definendolo “menzogna internazionale”. Nel 2007 la giustizia elvetica lo condanna in quanto le sue allocuzioni erano “animate da un movente razzista, negato a più riprese il genocidio armeno” considerando ancche che i discorsi di Perinçek non erano motivati e dalla volontà di aprire un dibattito storico ma da un’evidente volontà negazionista. Il nazionalista viene riconosciuto colpevole per aver violato l’articolo 261 bis del Codice penale, che sanziona nello specifico chiunque neghi, minimizzi grossolanamente o cerchi di giustificare un genocidio. La pena inflitta dal Tribunale di Losanna fu di 90 giorni, ammenda con aggravante per discriminazione razziale e 3000 franchi di multa, per aver negato pubblicamente l’esistenza del genocidio armeno. Nel 2013 il colpo di scena. Il Presidente del Partito dei Lavoratori turchi, che aveva portato il caso davanti alla Corte Europea per i Diritti Umani, ottiene quello che vuole: per cinque voti favorevoli e due contrari, la Corte giudica che la sua condanna da parte del tribunale elvetico violava l’articolo 10 della Convenzione Europea per i Diritti Umani. Si afferma che le motivazioni avanzate dalla magistratura svizzera per giustificare la condanna di Dogu Perinçek non fossero tutte pertinenti, per non dire che fossero addirittura insufficienti. Secondo la Corte, le istanze svizzere non avevano dimostrato che la condanna del nazionalista turco rispondeva ad una “necessità sociale impellente” in una società democratica, né che fosse necessaria per proteggere l’onore e i sentimenti dei discendenti delle vittime che avevano subito delle atrocità dal 1915 in poi.

La Svizzera reagisce con forte emozione a questa sentenza e fa ricorso. Questo viene accettato e la Corte invia il caso Perinçek alla Grande Camera della Corte Europea. Questa decisione è stata accolta con sollievo dall’Associazione Svizzera-Armenia (ASA), il suo Presidente onorario, Sarkis Shahinian, afferma rendersi conto della “complessità” del procedimento innescato. Ma la Svizzera non è più sola nel perorare questa causa; l’appoggio dell’Armenia e della Francia come alte parti contraenti, danno nuovo spessore a questo caso. La Svizzera può oggi contare anche del sostegno de Licra (Lega Internazionale contro il razzismo e l’antisemitismo), la FIDH (International Federation for Human Rights), la Lega per i Diritti Umani turca, la ASA (Association Suisses d’Armenie) e l’associazione tedesca per la difesa dei popoli minacciati di Thessa Hofman che compaiono come parti terze. Oltre ad Amal Alamuddin Clooney, l’accusa verrà rappresentata anche da Geoffrey Robertsons, avvocato di reputazione internazionale e autore del libro “Un genocidio che disturba: Chi si ricorda oramai degli Armeni?”.

Ricordiamo che Dogu Perinçek non solo è stato processato da Ankara, incarcerato a vita nell’Agosto 2013 e miracolosamente rilasciato lo scorso Marzo per, aver preso parte al movimento estremista Ergenekon, accusato complottare contro Erdogan e volere la sua destituzione, ma è anche membro del Comitato Talaat. Questo Comitato prende il nome da uno dei tre architetti del genocidio armeno ed opera in Europa con il fine di diffondere azioni negazioniste e manifestazioni pubbliche di stampo negazionista. Nel 2012 in Francia sono riusciti a radunare 30mila persone che hanno sfilato sotto l’egida del Comitato Talaat Pacha, scandendo slogan anti armeni dai toni più che offensivi, toni che rivelavano più un desiderio di odio, intimidazione e provocazione che libertà di parola. Sicuramente la Corte Europea per i Diritti Umani dovrà tener conto anche di questo. Negare un genocidio vuol dire uccidere due volte, e questo non c’entra nulla con la libertà di espressione.

di Jacqueline Rastrelli


http://it.blastingnews.com/cronaca/2015/01/in-memoria-di-un-genocidio-dimenticato-00250829.html

In memoria di un genocidio dimenticato

Amal Clooney difende il ricordo del genocidio armeno contro il Negazionismo turco.

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Amal Alamuddin finalmente dimostra di essere ben più che semplicemente la moglie del finora scapolo impenitente George Clooney, cioè un brillante avvocato. Il suo primo grande caso da quando è Mrs. Clooneyriguarda un evento tragico ma dimenticato della storia mondiale: il genocidio armeno del 1915-1916. Un cittadino turco, come d’altronde l’intero popolo turco, nega che vi sia stato un vero e proprio genocidio nei confronti degli armeni, popolazione cristiana che sin dal VII secolo a. C. ha vissuto la dominanza di Parti, Medi, Persiani, Macedoni e Ottomani.

La loro storia è appunto costellata di rivalse e ingiustizie, ritorsioni e inferiorità, da ogni punto di vista: è entrata, purtroppo, nella storia, l’orrenda battuta che Adolf Hitler pronunciò nel 1939 riguardo alla questione ebraica: “Chi oggi si ricorda degli armeni?”. I turchi hanno fatto del loro meglio per nascondere la morte, avvenuta nelle terribili marce della morte, di circa 2 milioni di persone. Eppure, luoghi come il Mussa Dagh, nomi di carnefici come dottor Nazim, Enver, Talat e Cemal Paça, fino all’eroico tedesco Armin T. Wegner, che fotografò e testimoniò l’intero massacro che, oltrepassando ogni tipo di divieto, riuscì ad osservare da vicino, non possono e non devono essere scordati.

Certo, gli armeni non se ne sono mai dimenticati e combattono tuttora affinché il mondo riconosca che, accanto agli Ebrei e ai Tutsi (anzi, cronologicamente è stato il primo genocidio del ‘900 propriamente detto), anche loro hanno sofferto le stesse, terribili, disumane atrocità. Davanti alla Corte riunita per discutere e giudicare il caso, si sono posti oltre 200 armeni. Tale giudizio deve essere una resa dei conti non tanto, e non solo, con quest’uomo che siede in tribunale, bensì una presa di coscienza dell’ennesimo tremendo atto di violenza dell’uomo contro se stesso; in altre parole, un altro corso e ricorso della Storia.

Il Giorno della Memoria non dovrebbe limitarsi alla trasmissione di film, fiction e documentari sull’argomento o alla pubblicazione in massa di libri perlopiù inventati e che mirano più a strappare le lacrime con bambini coraggiosi che a riportare un fatto storicamente avvenuto, ma dovrebbe essere dentro di noi, o meglio nella nostra anima e nel nostro lato più umano. Quotidianamente ci viene chiesta una presa di posizione circa massacri e guerre che si svolgono lontano dalle nostre case, eppure sotto i nostri occhi che fissano il televisore e tutti gli schermi della nostra vita: dall’Africa al Medio Oriente, fino alle nostre coste o nelle nostre strade di città. Ieri le vittime sono stati gli ebrei, gli omosessuali, i dissidenti politici, i disabili e gli zingari, oggi i tibetani, i palestinesi, gli emarginati di ogni genere.

E non si deve trattare di una questione religiosa, dal momento che l’Islam è sempre al centro delle polemiche: se alcuni hanno visto nel genocidio armeno un jihad, oggi è il caso di Charlie Hebdo a far discutere di più. La vera questione non è chi siano le vittime e chi i carnefici, perché di giorno in giorno cambiano volto, luogo, lingua, ideali, ma quale diritto sia dato all’uomo perché questo accada. Se viene citato Darwin, come di solito capita, si può benissimo controbattere che gli animali non fanno ciò che l’uomo ha fatto in tutti questi secoli in cui è la specie dominante. Lo fanno le bestie, che purtroppo non vengono mai a mancare.