Alla scoperta dell’Armenia: tra kyufte, ortaggi e viti infinite, ai piedi dell’Ararat (Repubbica 17.06.24)
I colori della sua bandiera sono tre: il rosso del sangue versato, il blu di una pace sempre auspicata e il color albicocca, quella nuance tra l’arancione e il rosa con le sfumature del frutto nazionale, anche se è la pianta del melograno, fertile e prosperosa, a rappresentare il simbolo del paese. Una terra, l’Armenia, percorsa da vicende che l’hanno messa a dura prova, a partire dal terribile genocidio del 1915 a opera del governo dei ‘Giovani Turchi’ durante l’impero ottomano, fino ai settant’anni di dominio sovietico che ne ha frenato le libertà, ripartite di slancio dopo il crollo.
Eppure, nell’affrontare le difficoltà, un popolo che definire resiliente è un eufemismo, ha saputo trasmettere – e propaga tuttora – a questa meravigliosa area del Caucaso Meridionale una linfa vitale di sorprendente e inesauribile energia. Sarà per il fascino struggente dei suoi paesaggi e dei suoi magnifici monasteri, circondati ovunque da rilievi imponenti e spesso dominati dalle inconfondibili sagome delle due cime dell’Ararat, montagna sacra ora in Turchia ma storicamente parte del territorio armeno; oppure per la sua cultura musicale, tra dolcezza e malinconia.
Le lingue del mondo
L’arte della scrittura armena con il suo lungo alfabeto, dall’aspetto tanto incomprensibile quanto leggiadro, è patrimonio intangibile Unesco. Se ne trovano esempi di inestimabile valore all’istituto Matenadaran a Yerevan, tra codici miniati e testi antichi di materie scientifiche e umanistiche: sono più di 17.000 i manoscritti in diverse lingue, con documenti che risalgono al V secolo. C’è tanta bellezza, in Armenia, a partire dalla capitale Yerevan, città con più di 2800 anni di storia in cui vive circa metà della popolazione, poco meno di 2,8 milioni di persone in tutto. È una città molto vivace e ricca di luoghi interessanti, a partire dall’enorme Piazza della Repubblica, dove si affacciano alcuni palazzi del governo, il Museo di Storia e la Galleria d’Arte Nazionale. Sontuosa la scalinata monumentale della Cascade, al cui interno si cela il Cafesjian Center for the Arts, galleria d’arte contemporanea di artisti internazionali e armeni; arrivati in cima grazie alle comode scale mobili (ma si può salire anche a piedi), si possono ammirare tutta la città e il monte Ararat sullo sfondo. Per una sosta che mescola cultura e gola, vale la pena spingersi in periferia fino alla casa-museo dedicata a Lusik Aguletsi, scomparsa nel 2018: pittrice, scrittrice, collezionista e persona fuori dal comune, fu l’unica donna a indossare e preservare i tradizionali abiti taraz.
Proprio qui, nello spazio adibito a ristorante, si inizia ad apprezzare una caratteristica comune della gastronomia armena che prevede la condivisione tra commensali di piatti a base di verdure, ortaggi di stagione e formaggi (in genere poco stagionati e molto sapidi), con un’importante presenza di spezie in tante preparazioni. Nella cucina locale si trova una summa di piatti tipici delle civiltà del Mediterraneo, ma soprattutto del Medio Oriente e dell’area caucasica, che hanno toccato il territorio armeno. Molto diffuso il dolma, foglia di vite ripiena di riso o carne, le kyufte sorta di polpette e naturalmente l’ottimo hummus di ceci. In accompagnamento, il delizioso matsun, uno yogurt particolarmente denso, così come il jajik, salsa mediorientale composta di yogurt, cetrioli e aglio. Da provare anche il lahmajun, specialità che somiglia a una pizza, servito con manzo o di agnello, oppure con basturma, carne marinata con spezie ed essiccata. Da assaggiare i khorovats, spiedini grigliati a base di maiale, manzo o pollo e la khashlama, stufato di agnello, manzo o vitello. Tipico piatto invernale del Caucaso meridionale è il khash, a base di stinco di maiale stracotto in brodo in cui si inzuppa il pane lavash secco.
In Armenia si consuma poco pesce, fatta eccezione per l’eccellente trota salmonata del lago Sevan: a 1900 metri sul livello del mare, è uno dei bacini d’alta quota più grandi del mondo. Questa trota, semplicemente cotta alla brace, (ishkan khorovats) è buonissima. Una volta sul lago, non si può perdere la visita al complesso monastico Sevanavank che lo domina dall’alto della penisola rocciosa sulla costa a nord-ovest: il panorama, da qui, è davvero stupendo.
In tema di dolcezza, la frutta, soprattutto dalla piana dell’Ararat, come pere, prugne, fichi, ciliegie, pesche e albicocche, oltre naturalmente a uve di differenti varietà, viene utilizzata essiccata, sciroppata o trasformata in ottime confetture. Nei dolci si usano molto anche le noci: eccellenti a questo proposito il bakhlava, la nkuyzi muraba, in cui vengono sciroppate, e infine una bomba calorica che si trova in tutte le bancarelle dei mercati come il sujuk, sorta di salsiccia dolce in cui alle noci si unisce il succo d’uva essiccato.
Incontreremo il pane lavash, patrimonio culturale immateriale dell’umanità per l’Unesco, su ogni tavola armena che si rispetti. Assistere alla sua preparazione, un vero e proprio rituale celebrato solo da donne, è uno spettacolo ipnotico: una di loro, accovacciata, stende una sfoglia di pasta non lievitata larga e sottile, passandola, una volta pronta, a chi la adagerà delicatamente su un supporto, prima di appoggiarla sulle pareti roventi del tonir, tradizionale forno cilindrico d’argilla interrato. Appena cotto si presenta morbidissimo e di spessore minimo, tanto da poterlo piegare come fosse un fazzoletto. È irresistibile e, una volta seccato, si può rigenerarne la morbidezza inumidendolo e riscaldandolo: può durare anche diverse settimane.
L’unicità del vino
Dall’11 al 13 settembre prossimi in Armenia si terrà l’ottava edizione della Conferenza mondiale sul turismo del vino di UN Tourism, organizzazione delle Nazioni Unite: sono quasi duecento, i vitigni coltivati sul territorio armeno; da alcuni di essi si producono ottimi vini che rappresentano la rinascita di una tradizione antichissima, ripresa con grande vitalità negli ultimi vent’anni. Di certo il più noto è l’Areni, a bacca rossa, che prende il nome dall’omonima località nella regione del Vayots Dzor: proprio nel notevole sito archeologico delle grotte di Areni, individuato come probabile centro di scambi culturali e commerciali, sono stati ritrovati elementi che fanno pensare al più antico sistema di produzione di vino al mondo, risalente a 6100 anni fa: una vasca per la pigiatura dell’uva, un tino di stoccaggio, un torchio, recipienti per la fermentazione, oltre a vinaccioli e resti di uva pigiata. Da lì vale assolutamente la pena raggiungere il meraviglioso monastero di Noravank, incastonato tra le montagne alla fine di una stretta gola di roccia, datato XIII secolo ma parte di un complesso del IX, con chiese di epoche differenti.