Alla Parata della vittoria la svolta pan-turca di Erdogan (Tempi.it 20.12.20)
Altro che il neo-ottomanesimo: l’ideologia su cui Recep Tayyip Erdogan ha deciso di imperniare la sua politica estera negli anni a venire è il pan-turchismo, e i paesi che devono sentirsi minacciati non sono tanto quelli dell’Unione Europea, quanto l’Iran e la Russia. È quello che emerge dal discorso tenuto dal presidente turco durante la Parata militare della vittoria organizzata dal presidente azero Ilham Aliyev a Baku il 10 dicembre scorso per celebrare la riconquista di molti territori da parte dell’Azerbaigian nella recente guerra del Nagorno Karabakh. Parata della quale Erdogan era ospite d’onore nonché unica personalità a condividere il palco presidenziale e a tenere un discorso pubblico dopo quello del capo dello Stato azero.
I riferimenti del presidente turco all’islam sono stati generici e quelli all’eredità ottomana nulli. Ha invocato il nome di Allah per chiedere l’eterno riposo per i “martiri” della guerra e futuri successi per i due popoli, con la tipica formula “inshAllah”, “se Dio vuole”: turchi e azeri sono musulmani, ma i primi sono sunniti mentre i secondi sono di tradizione sciita. Inoltre gli azeri sono etnicamente turchi, ma non hanno mai fatto parte dell’Impero Ottomano, lo hanno anzi combattuto: cagiari e safavidi, tribù turche dell’Azerbaigian, hanno governato l’impero persiano rivale di quello ottomano per più di quattro secoli, fino al 1925.
Guerra mondiale
Molto più significativo è stato il riferimento di Erdogan ai protagonisti degli ultimi giorni dell’Impero Ottomano, che tentarono di riorientare la politica dell’impero morente in direzione dell’unità dei popoli turchi: «Oggi», ha detto, «le anime di Nuri Pascià, di Enver Pascià e dei coraggiosi soldati dell’Esercito Islamico del Caucaso si rallegreranno». Enver Pascià, com’è noto, fu uno dei tre componenti del triumvirato che decise la partecipazione dell’Impero Ottomano alla Prima Guerra mondiale, che si concluse con la sua rovina. Insieme agli altri due, Mehmed Talat e Ahmed Cemal, è considerato anche responsabile del genocidio degli armeni, per il quale i tre furono condannati a morte in contumacia da un tribunale militare a Istanbul nel 1919. I triumviri avevano preso il controllo del Comitato per l’Unione e il Progresso (più tardi Partito dell’Unione e Progresso) e l’avevano trasformato in una forza politica che promuoveva il panturchismo. Enver, ministro della guerra, nel luglio 1918 ordinò la creazione dell’Esercito Islamico del Caucaso per conquistare i territori russi caucasici che erano rimasti sguarniti dopo il crollo dell’Impero zarista. Nel mese di settembre occupò Baku, ma fu costretto a deporre le armi dopo la resa dell’Impero Ottomano il 30 ottobre. Enver fu l’unico dei triumviri a sfuggire alla vendetta degli armeni – Talat fu ucciso a Berlino nel 1921 e Cemal a Tbilisi nel 1922 da agenti dell’Operazione Nemesi della Federazione rivoluzionaria armena – ma morì anche lui nel 1922 in Tagikistan, dove partecipava a una rivolta anti-sovietica della popolazione locale musulmana. Nuri Pascià, l’altro personaggio evocato da Erdogan, era fratellastro di Enver, da lui nominato a capo dell’Esercito Islamico del Caucaso. Sopravvisse alla guerra ma fu emarginato dopo l’ascesa al potere di Kemal Ataturk, che per realismo aveva rinunciato alle ambizioni pan-turche per concentrarsi sulla costruzione dello Stato turco in Anatolia. Nel 1941 Nuri, insieme ad altri ufficiali dell’esercito di orientamento pan-turco, incontrò l’ambasciatore Franz von Papen per convincere la Germania nazista ad appoggiare la loro causa. Il risultato più cospicuo fu la creazione della Legione turchestana, un’unità militare di 16 mila uomini turcofoni provenienti da varie regioni dell’Unione Sovietica che combatté al fianco della Wehrmacht in Francia e in Italia. Nuri poi si recò a Berlino per convincere i nazisti ad appoggiare l’indipendenza dell’Azerbaigian, ma senza successo.
Iran e Russia
I russi hanno tutti i motivi per preoccuparsi della retorica di Erdogan, perché oltre a rappresentare la maggioranza in cinque stati nati dallo scioglimento dell’Unione Sovietica (Azerbaigian, Kazakistan, Kirghizistan, Turkmenistan e Uzbekistan), popolazioni turcofone sono presenti in tredici repubbliche facenti parte della Federazione Russa: il progetto pan-turco è un attentato all’integrità territoriale della Russia. Discorso analogo vale per l’Iran. Nel corso del suo intervento Erdogan ha recitato una poesia irredentista del poeta azero Bakhtiyar Vahabzadeh che dice così: «Hanno diviso il fiume Aras e lo hanno riempito di sabbia. Non sarò separato da te. Ci hanno separato con la forza». Il fiume Aras (o Araz) segna il confine fra Armenia e Azerbaigian da una parte, Iran dall’altra, ma separa anche l’Azerbaigian persiano, appartenente alle Repubblica iraniana, dall’Azerbaigian propriamente azero. Non esistono statistiche ufficiali sul numero di azeri che vivono in Iran, che potrebbe oscillare fra i 12 e i 15 milioni. Il ministero degli Esteri iraniano ha reagito con durezza: «L’ambasciatore turco è stato informato che l’era delle rivendicazioni territoriali e dell’espansionismo imperiale è finita. L’Iran non permette a nessuno di interferire con la sua integrità territoriale», recita un comunicato sulla pagina web del ministero.
Una colonizzazione di fatto
Il progetto pan-turco spiega anche la miscela di lusinghe e minacce nei confronti dell’Armenia che ha caratterizzato gli interventi di Aliyev ed Erdogan alla Parata della vittoria e alla successiva conferenza stampa. Non che offrire il ramo di ulivo, nel suo discorso Aliyev ha rivendicato per l’Azerbaigian territori che si trovano nell’Armenia internazionalmente riconosciuta: «La politica aggressiva dell’Armenia è cominciata negli anni Ottanta. A quel tempo, 100 mila azeri che vivevano nell’attuale repubblica di Armenia furono espulsi dalle loro terre ancestrali. I distretti di Zangazur, Goycha e Iravan sono nostre terre storiche. La nostra gente ha vissuto in quelle terre per secoli, ma la leadership armena espulse 100 mila azeri dalle loro terre natìe a quel tempo». Erdogan, dopo aver evocato la figura di Enver che tutti gli armeni del mondo associano al genocidio del 1915, è invece passato alle lusinghe, assicurando che se il governo armeno riconosceva i suoi errori del passato, poteva iniziare una nuova era di rapporti: «Speriamo che i politici armeni analizzino bene tutto, e compiano passi coraggiosi per costruire un futuro basato sulla pace e la stabilità. (…) Se il popolo armeno impara una lezione da quello che ha sperimentato nel Karabakh, sarà l’inizio di un nuova era nella regione». Nella conferenza stampa successiva Aliyev ha esposto il suo progetto di un partenariato per la pace regionale aperto anche all’Armenia, una volta che questa abbia rinunciato ad ogni pretesa sul Nagorno Karabakh. Il presidente azero immagina un raggruppamento composto da Azerbaigian, Turchia, Iran, Russia, Georgia e Armenia. Erdogan ha manifestato il suo favore per il progetto, che comporterebbe la riapertura delle vie di terra della Turchia e dell’Azerbaigian con l’Armenia, chiuse da trent’anni: «Se l’Armenia si lascia alle spalle le sue irrazionali ambizioni, un giorno potrà essere parte delle nostre alleanze regionali. Abbiamo distrutto il loro esercito, ma facciamo appello perché l’Armenia collabori con noi». In realtà la condizionata apertura agli armeni è perfettamente funzionale al progetto pan-turco: l’Armenia rappresenta l’unica interruzione della continuità territoriale fra stati turcofoni che va dalla Turchia fino ai confini di Kazakistan e Kirghizistan con la Cina. Tentare di annientarla causerebbe reazioni internazionali; meglio annunciare obiettivi, come quello del ritorno di 100 mila azeri nelle province dell’Armenia e la costruzione di nuove strade che partendo dalla Turchia attraversino l’Armenia e l’Azerbaigian, che comporterebbero una colonizzazione di fatto del territorio armeno da parte dei più numerosi e più economicamente sviluppati vicini turcofoni. A quel punto la strada per l’integrazione politica dei popoli turchi da Istanbul ad Alma Ata sarebbe spianata.