Aliyev, chi è il dittatore azero (alleato dell’Italia) reso più forte dalla guerra in Ucraina (Today.it 30.09.22)
In Europa c’è un Paese che forse più di tutti stra traendo enorme vantaggio dalla guerra in Ucraina. È l’Azerbaijan di Ilham Aliyev, che dallo scoppio del conflitto da una parte sta aumentando le sue vendite di gas all’Europa, e dall’altra, sfruttando il disimpegno della Russia di Vladimir Putin nella regione, sta approfittando per serrare la sua morsa sul Nagorno-Karabakh e alzare il livello dello scontro con l’Armenia sempre più abbandonata a se stessa.
Quest’estate l’Unione europea ha siglato un’intesa con Baku che permetterà di raddoppiare in poco tempi i flussi di gas che dal Paese asiatico arrivano in Europa attraverso il Corridoio meridionale, che arriva in Italia dalla Puglia, tramite la Tap, la Trans Adriatic pipeline. Dopo solo un mese, ad agosto, violando i patti sottoscritti nel novembre del 2020, il Paese ha rotto il cessate il fuoco con Yerevan per riappropriarsi della regione di Lachin, dove si trova il corridoio che collega l’Armenia con il territorio popolato da armeni e che dal 1992 si è proclamato indipendente dall’Azerbaigian, costituendosi nella Repubblica dell’Artsakh.
Così Europa e Italia finanziano la nuova guerra tra Azerbaigian e Armenia
A inizio settembre Aliyev è poi volato in Italia, dove è stato ricevuto in pompa magna dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e da quello del Consiglio, Mario Draghi. Lo scopo della visita era rafforzare il Partenariato strategico tra le due nazioni, partenariato che comprende diversi campi, dall’economia all’istruzione e naturalmente all’energia, visto che lo Stivale importa dal Paese ex sovietico oltre il 13% del suo gas e che l’Azerbaigian, insieme all’Iraq, è il nostro maggior fornitore di greggio, con circa 5,5 miliardi di euro di media nell’ultimo decennio. L’Italia è da diversi anni il primo partner commerciale al mondo del Paese, con le nostre importazioni che sono in continua crescita, e sono passate dai 2,9 miliardi di euro del 2016 ai circa 5 miliardi a fine 2019, a fronte di esportazioni pari a circa 300 milioni di euro ed un valore di commesse vinte da aziende italiane intorno ai 7 miliardi negli ultimi 15 anni.
La visita in Italia di Aliyevè stata anche l’occasione per inaugurare la nuova ambasciata del Paese a Roma, in uno sfarzoso edificio a sei piani vicino VIlla Torlonia. E a breve sarà inaugurata anche l’Università Italia-Azerbaigian di Baku, una realtà che coinvolge cinque dei principali atenei italiani: Luiss, Sapienza, Politecnico di Milano, Politecnico di Torino, Università di Bologna, in partnership con L’Ada University. Il prestigio che Aliyev gode nel nostro Paese è stato dimostrato anche dal fatto che il presidente azero è stato anche uno degli ospiti d’eccellenza del Forum internazionale di Cernobbio.
L’Azerbaigian è formalmente una democrazia ma di fatto è nelle mani della dinastia Aliyev dalla dissoluzione dell’Unione sovietica, di cui faceva parte. E anche da prima. Heydar Aliyev, padre dell’attuale presidente, è stato a capo del partito comunista al governo nella nazione prima di diventare presidente dell’Azerbaigian nel 1993, dopo l’indipendenza da Mosca. Da allora ha governato ininterrottamente fino alla sua morte nel 2003. In quell’anno il potere è passato nelle mani di suo figlio, che da allora guida la nazione con fare autoritario. Nelle quattro elezioni che si sono succedute dalla morte del padre, tutte tacciate di brogli dall’opposizione e da diversi organismi internazionali, Ilham Aliyev è stato eletto con percentuali stratosferiche: 76, 87, 85 e 86 percento.
L’Assemblea nazionale è saldamente nelle mani del suo Partito del Nuovo Azerbaigian (Yap) e i pochi seggi occupati da altre formazioni fanno un’opposizione fittizia. Un referendum del 2009 ha abolito il limite di mandato per la presidenza, permettendo di fatto ad Aliyev di restare in carica quanto gli pare, cosa possibile in Europa solo nella Bielorussia di Alexander Lukashenko. La gestione dello Stato è talmente familiare che nel 2017 il leader azero ha scelto come vice presidente sua moglie, Mehriban Aliyeva.
La sua famiglia si è arricchita grazie agli stretti legami con le imprese statali, e possiederebbe quote significative di diverse importanti banche azere, imprese di costruzione e di telecomunicazioni, oltre a parte delle le industrie del petrolio e del gas del Paese, la vera ricchezza della nazione, rappresentando circa il 40 % del suo prodotto interno lordo e oltre il 90% delle sue esportazioni di merci nel 2019. I Pandora Papers del 2021 hanno mostrato che gran parte della ricchezza di Aliyev è nascosta in una vasta rete di società offshore create per nascondere il suo denaro.
L’Azerbaigian ha legami linguistici e culturali con la Turchia, che si riflettono nella formula “una nazione, due Stati” usata da Aliyev, e la Turchia di Recep Tayyip Erdogan è un suo potente alleato, soprattutto nel conflitto per il Nagorno-Karabakh. I legami economici sono altrettanto forti: l’Azerbaigian ha costruito una serie di oleodotti che collegano l’Asia centrale alla Turchia, e che poi arrivano appunto in Europa e in Italia. La nazione, islamica ma laica, è una delle più stabili della regione e questo, insieme alla necessità di acquistare i suoi idrocarburi, ha sempre fatto chiudere un occhio da parte dell’Occidente su questioni come il rispetto dei diritti umani.
Secondo il Democracy index dell’Economist, quello di Baku è un regime autoritario che si piazza al 141esimo posto su 167 Paesi analizzati per lo stato delle democrazia. La Russia, per fare un confronto, è 121esima . Amnesty International ha denunciato nel suo ultimo report, tra le altre cose, che “le proteste pacifiche su questioni politiche e sociali vengono continuamente interrotte dalla polizia con un uso non necessario ed eccessivo della forza, con manifestanti che hanno dovuto affrontare accuse amministrative e penali arbitrarie”, e che “restrizioni eccessive sia nella legge che nella pratica continuano a ostacolare il lavoro dei difensori dei diritti umani e delle Ong”. L’opposizione politica è repressa, con figure chiave che finiscono regolarmente in prigione. Tra gli esempi più eclatanti quello del giornalista Afgan Mukhtarli, critico verso il regimen che nel 2017 fu rapito dalla sua residenza in Georgia, dove era scappato per sfuggire dalle persecuzioni, per poi riapparire in una prigione azera.
Anche il Parlamento europeo ha condannato nel corso degli anni in diverse risoluzione le violazioni dei diritti umani nel Paese e Human Rights Watch ha denunciato casi di tortura e maltrattamenti da parte della polizia, attuati per estorcere confessioni, negando ai detenuti l’accesso alla famiglia, ad avvocati indipendenti o a cure mediche autonome.