“Aderiamo alla Corte Penale Internazionale”: schiaffo dell’Armenia alla Russia (Il Giornale 14.09.23)
L’Armenia prosegue il suo distacco dalla sfera d’influenza della Russia con l’annuncio della ratifica dello statuto della Corte Penale Internazionale (Cpi) sui crimini di guerra internazionali che il premier Nikol Pashinyan ha anticipato parlando all’Assemblea Nazionale, il parlamento di Erevan. L’Armenia ha firmato lo Statuto di Roma che istituiva il Cpi nel luglio 1998 ma non l’ha ancora ratificato. Ora, entrandovi, Erevan dovrà adeguare la sua giurisprudenza ai dettami della Cpi, ivi compresa la questione della gestione dei ricercati internazionali. Nella cui lista compare anche il presidente russo Vladimir Putin che, da ora in avanti, qualora si recasse in Armenia, rischierebbe l’arresto.
La svolta dell’Armenia sulla Cpi
Una mossa simbolica di grande rilevanza politica, con cui l’Armenia coglie due piccioni con una fava: Pashinyan marca il distacco crescente dalla Russia, Paese al cui eccessivo affidamento ha imputato molti dei guai politici di Erevan negli ultimi decenni, e prepara il terreno perché in caso di nuova aggressione militare azera i militari e i dirigenti del regime di Baku possano essere chiamati alla responsabilità di fronte alla giustizia internazionale.
Sul primo fronte, lo ricordiamo, l’Armenia da tempo prepara il decoupling dalla Russia sul fronte politico e securitario. L’obiettivo: non apparire come un piccolo, indifeso Paese “filorusso” in caso di nuovo attacco di Baku nel Nagorno-Karabakh e segnalare a Mosca il deterioramento delle prospettive securitarie garantite dalla Russia stessa con gli accordi triangolari con l’Azerbaijan stesso. Un’ennesima componente della destrutturazione dello spazio geopolitico ex sovietico di cui sia il Nagorno-Karabakh che l’offensiva russa in Ucraina sono parti integranti.
Gli schiaffi di Erevan a Mosca
Nelle scorse settimane Pashinyan ha marcato il distacco da Mosca esplicitamente in un’intervista a Repubblica che ha fatto il giro del mondo, ha organizzato una piccola ma simbolica esercitazione militare con le truppe statunitensi che ha portato la bandiera a stelle e strisce a pochi chilometri dal confine meridionale russo e ha annunciato il ritiro dell’ambasciatore armeno presso l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (Csto), l’alleanza militare dei Paesi ex sovietici che la Russia guida e di cui fanno parte anche Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan. In mezzo a tutto ciò, l’invio di aiuti umanitari all’Ucraina tramite una missione semiufficiale con a capo la moglie del primo ministro armeno, Anna Hakobyan. Una mossa tesa a voler prendere le distanze da Mosca anche sulla guerra. Fumo negli occhi per la Russia, che venerdì ha convocato al Ministero degli Esteri l’ambasciatore di Erevan a Mosca per comunicare che il Cremlino considera “passi ostili” quelli del piccolo Paese caucasico.
La situazione dell’Armenia, la cui economia peraltro dipende attivamente dalla triangolazione con cui i prodotti sanzionati nel commercio tra Occidente e Russia passano dal suo territorio (fonte di crescita e sviluppo nell’ultimo anno), è precaria. Ma le mosse sul distacco da Mosca sono tese al più grande obiettivo di non trovarsi isolati qualora l’Azerbaijan accelerasse per una nuova guerra d’aggressione nel territorio conteso del Nagorno-Karabakh (Artsakh per gli armeni) ove da tempo perpetra il blocco del corridoio di Lachin e fa entrare, col contagocce, gli aiuti nella parte della regione che resta sotto il controllo armeno.
L’Armenia si prepara all’aggressione azera?
L’esperto di Caucaso Mariano Giustino ha scritto su Huffington Post che Erevan “prende le distanze dal suo alleato di lunga data, la Russia, a causa del tradimento subito per la indifferenza davanti all’aggressività di Baku” in una fase in cui il patrono dell’Azerbaijan, la Turchia associata dagli Armeni al genocidio del 1915, è indispensabile per la Russia come ponte politico, diplomatico ed economico.
L’Armenia nello Statuto di Roma o fuori dalla Csto punta ad avere una voce internazionale più rumorosa qualora l’esercito di Baku tornasse all’offensiva. E si perpetrassero nuovi crimini dopo quelli commessi tre anni fa nel conflitto in cui le preponderanti forze azere hanno avuto la meglio. A partire dalla pulizia etnica contro i cristiani dell’Artsakh: ““Dovrebbero essere più diffuse le immagini dei cristiani che lasciano per sempre le proprie terre dopo aver caricato sulle macchine le loro poche cose, bruciato le abitazioni e portato addirittura con sé i propri morti abbandonando i cimiteri“, ricordava nel 2020 parlando con InsideOver l’onorevole leghista Paolo Formentini, oggi vicepresidente della Commissione Esteri di Montecitorio, a proposito della persecuzione anticristiana. Human Rights Watch ha denunciato torture e soprusi contro civili e militari armeni in Nagorno-Karabakh sia durante la guerra del 2020 che in occasione dei nuovi scontri del 2022. E anche il blocco di Lachin affama e mette sotto pressione una terra contesa. Tutte queste tematiche sono esplose senza alcun vero intervento della Russia, scatenando la rabbia di Erevan. Che ora prova a tutelarsi. E in futuro nuovi crimini di guerra azeri potranno subire la censura dello Statuto di Roma, col rischio di portare alla sbarra il dittatore di Baku Ilham Aliyev. Nella ricerca di sicurezza armena, considerare in questo passaggio Putin un ricercato internazionale appare come un passaggio puramente formale.