Addio Russia, avanti Azerbaijan: da chi compra il gas adesso l’Europa (Wired 08.04.24)
Addio, Russia. Nel 2023 le importazioni di gas russo in Europa sono crollate: dal 42% del totale nel 2021 al 14% due anni più tardi. In Italia, si è passati da più di 30 miliardi di metri cubi di gas naturale l’anno a meno del 3 miliardi di metri cubi nel 2023, il valore più basso dal 1975. Non solo: l’Europa si avvicina alla fine della stagione del riscaldamento con un record storico delle riserve di gas stoccate. I depositi sono pieni al 59%. Queste condizioni, dicono diversi analisti potrebbero far scendere il prezzo in primavera. Insomma, per il secondo anno di guerra consecutivo in Ucraina gli europei non moriranno di freddo.
Stappiamo uno champagne? Non proprio. Bisogna fare un salto indietro nel tempo, al 2010, e vedere Al Bano Carrisi intonare Felicità nella città di Vank, allora parte della repubblica caucasica de facto autonoma di Artsakh, per capire a chi ci siamo vincolati come europei per sostituire Mosca. Il cantante si esibisce su un palco modesto, che aveva come sfondo le targhe di auto abbandonate. Sono dalla popolazione azera, sfollata durante la prima guerra del Nagorno-Karabakh (1992-1994) quando l’esercito armeno aveva occupato l’enclave all’interno dell’Azerbaijan tradizionalmente abitato dagli armeni.
Oggi la repubblica di Artsakh, detta anche territorio del Nagorno Karabakh, non esiste più, soppressa nel settembre scorso dall’Azerbaijan, in un’operazione di pulizia etnica in piena regola che ha portato all’espulsione di oltre 100mila armeni, proprio mentre le personalità più rilevanti della Commissione europea elevavano lo status dell’Azerbaijan a quello di “partner affidabile”. Baku invia armi all’Ucraina ed è diventata una fonte energetica cruciale per la diplomazia di Bruxelles, impegnata in un percorso di transizione verso fonti rinnovabili che sta portando in piazza i trattori reazionari, ma resta un regime oppressivo senza libertà d’espressione, tanto quanto la Russia del presidente Vladimir Putin.
Un alleato imbarazzante
Il bisogno di diversificazione dal gas russo e la ricerca frenetica di nuovi partner per l’import hanno reso il gas azero uno strumento diplomatico di enorme valore, scrive Francesco Sassi, ricercatore dell’Ispi (Istituto per gli studi di esperto in questioni energetiche e geopolitiche. Per l’Azerbaigian, il congelamento nei prossimi decenni del gas russo è un vera fortuna, che gli ha permesso di investire in notevoli attività di lobbying culturale anche in Italia, dove non mancano intellettuali ed editori disponibili a elogiare il riformismo dell’autoritario presidente azero Ilham Aliyev.
In questo contesto, Baku ha stabilito un rapporto sempre più intrecciato non solo con l’Italia, principale partner commerciale dell’Azerbaijan, ma anche con alcuni Paesi dell’Europa orientale, tra cui Bulgaria, Romania e Ungheria, nell’ottica di diversificazione degli approvvigionamenti russi.
Ma l’Azerbaijan resta una dittatura brutale dove numerosi gruppi politici e artistici hanno sospeso tutte le attività in seguito alle pressioni subite, come riportano gli studi di Cesare Figari Barberis, esperto di Azerbaijan e Georgia al Graduate Institute di Ginevra. L’obiettivo di Baku entro il 2027 è quello di raddoppiare le forniture all’Europa, aumentando i flussi del Southern Gas Corridor, e sostituendo al gas russo avvelenato quello azero, reso presentabile dalla postura geopolitica del suo presidente. Grazie a questa dinamicità diplomatica dell’Azerbaijan, la Cop29, la conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico dell’anno prossimo, si terrà a Baku, scelta dopo mesi di battibecchi e veti, in particolare dalla Russia. L’impasse è stata risolta grazie a un accordo tra Azerbaijan e Armenia, che fino a poco tempo fa erano rivali a causa del conflitto nel Nagorno Karabakh.
Il fronte euro-atlantico non sembra turbato né dall fatto che l’Azerbaijan sia un esportatore incallito di combustibili fossili (che costituiscono il 90% dell’export) né che abbia gravissime restrizioni sulla libertà d’espressione, come dimostrato dall’arresto di un ricercatore critico nei confronti dell’industria petrolifera locale. Vedere il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, che ha deriso la quinta vittoria alle presidenziali di Vladimir Putin a metà marzo, avere una cordiale conversazione telefonica con il presidente Ilham Aliyev per la sua ennesima vittoria in elezioni-farsa (certificate da quelli che delle ong hanno definito “fake observers”) e leggere il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, congratularsi con Aliyev nella stessa occasione, sono tutti duri colpi alla retorica sull'”ordine liberale“.
A preoccupare gli osservatori c’è piuttosto la minaccia, da parte di Baku, di complicare il processo di pace con l’Armenia e addirittura di impossessarsi di ulteriori porzioni di territorio armeno dove risiedono degli azeri. La logica vorrebbe che l’Azerbaijan non scherzi troppo col fuoco, considerato il buon momento del suo rapporto con l’Unione europea, che ha preso a cuore l’Armenia in chiave anti-russa. Tuttavia, l’appoggio a Baku della Turchia e il ruolo di mediatore della Russia, interessata a spingere il Caucaso lontano dall’Occidente, potrebbero rendere in futuro la posizione di Aliyev sempre più imprevedibile. Una forza regionale capace di ricattare l’Europa come una Turchia in miniatura?
Le ambizioni di Baku
L’Azerbaijan si sta godendo per ora il suo ruolo di alleato-chiave, approfittando di quella realpolitik che porta l’Unione europea a rivolgersi a chiunque le possa servire a riscaldarsi. Non va dimenticato come una quota rilevante di transito del gas russo verso l’Europa dell’est e centrale passi ancora attraverso l’Ucraina, a un ritmo di 35-40 milioni di metri cubi al giorno, anche se i volumi sono stati ridotti a circa un terzo dei livelli prebellici. Il mero fatto che questi flussi di transito persistano durante la guerra, e possano essere tagliati da Mosca come vendetta per gli attacchi ucraini alle raffinerie russe, costringe i leader europei a non dormire sugli allori.
Intanto gli introiti accresciuti regalano a Baku anche il lusso presentarsi come un Paese con ambizioni green: ha ratificato l’Accordo di Parigi nel 2016, impegnandosi a ridurre le emissioni del 30% entro il 2030, e sta investendo significativamente nelle energie rinnovabili, inclusi parchi eolici nel Caspio e idrogeno verde. Nel lungo termine, l’Azerbaijan ambisce a diventare un hub cruciale sia per le forniture di elettricità e gas naturale verso l’Unione europea, con progetti come la costruzione di un cavo sottomarino nel Mar Nero, supportato anche dalla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen. Se tutto questo sia compatibile con gli slogan su diritti umani e stato di diritto di cui si è riempita la bocca l’Europa negli ultimi due anni, sembra al momento secondario.