“A cavallo del vento – Fiabe di Armenia” raccontate da Sonya Orfalian (Saltinaria.it 24.12.17)

Torna dopo il successo forse insperato della prima edizione il racconto del mondo armeno, la memoria di una tradizione orale molto lontana da quella europea, affascinante e per certi aspetti disorientante. Scritti con grande capacità iconopoietica, le fiabe armene hanno il dono della sintesi pur in una trama molto articolata e rompono completamente lo schema del bene e del male e la corrispondenza bello, buono e felice, tipico della cultura europea. Fiabe che spalancano un mondo di trasformazioni, spiriti in un clima totalmente surreale, nel quale bisogna solo lasciarsi trasportare.

 

Dopo la prima edizione, già recensita su queste pagine, ho aperto, a tre anni di distanza, la seconda edizione, ampliata da un pugno di nuovi racconti e con un commento molto circostanziato di Corrado Bologna nella postfazione. Scritte con un stile fluido e con sipari testuali che si costruiscono come uno spettacolo teatrale, rivelano probabilmente che la loro narrazione era tenuta da cantastorie e legata a una condivisione pubblica piuttosto che destinata ad una lettura intima o comunque sussurrata. Le fiabe raccolte da Sonya Orfalian hanno innanzi tutto il merito di salvare la memoria di un popolo perseguitato e disperso dopo la diaspora che oltre tutto disponeva di una grande cultura, affidata soprattutto all’oralità e quindi più fragile dal punto di vista della conservazione. Come racconta l’autrice non era scontato il successo perché la sensibilità è molto diversa dalla fiaba europea e dalle novelle del pubblico italiano. Quasi sempre la narrazione inizia con la formula “c’era e non c’era una volta” che lascia in un clima di sospensione più forte del c’era una volta che semplicemente colloca in un tempo lontano l’azione. Qualcosa di simile però, fa nota re, Corrado Bologna, esiste anche nelle fiabe rumene e si ritrova in alcuni racconti del mondo islamico. Questo elemento di atemporalità che anche a livello spaziale trova una corrispondenza è enfatizzato da formule come “camminò o camminarono, tanto o poco”, luoghi poco definiti e distanze che si allungano e si accorciano intrecciandosi con una metamorfosi continua tra i vari essere viventi e inanimati che non sembrano avere barriere tra di loro. Al centro del racconto c’è sempre un viaggio e una serie di prove iniziatiche che sono sempre tre più una risolutiva.

La conclusione di solito è affidata ad un matrimonio che viene festeggiato per sette giorni e sette notti, al termine del quale si dice che gli sposi vissero a lungo felici, non già per sempre e che essendosi realizzati i desideri dei protagonisti si auspica che anche il lettore esaudirà i propri. In effetti rispetto alle “nostre” fiabe quelle armene hanno un’interattività tipicamente teatrale. Infine molti racconti si concludono con la formula “caddero tre pomi”, essendo le mele un dono prezioso per la cultura contadina: uno per chi ha narrato, uno per chi ha ascoltato e la terza per il mondo intero, o per chi ha chiesto la fiaba o per chi ha seguito la dottrina e così via.
Tra gli elementi tipici della cultura armena, oltre strumenti musicali e alcune pietanze, il vento, citato anche nel titolo, vero e proprio personaggio, quasi una colonna sonora, che si anima con i suoi mulinelli e vortici, oltre a una pletora di spiriti.

Uno degli elementi che mi ha colpito e che non è sottolineato nel commento è la frequente citazione di Dio e la non presenza della classica rispondenza tra bello, buono e vincitore, trionfatore; più spesso lo sconfitto è il nemico che non è necessariamente però il cattivo. Non solo, ma la fiaba sembra assecondare la possibilità dell’inganno, come se il fine giustificasse i mezzi. E’ certamente spiazzante anche per la quantità di simboli non facilmente decifrabili come nella fiaba in cui una figlia dovendosi allontanare per non rischiare di essere uccisa dalla casa materna bacia i seni scoperti della madre e le stacca un capezzolo. In effetti sono fiabe che sembrano destinata ad adulti e particolarmente violente in molti casi, nelle quali ad esempio torna spesso il mito della bella e la bestia ma stranamente il re della situazione non si meraviglia di concedere in matrimonio, generalmente la figlia, ad un mostro, che poi si rivelerà un bel giovane.

Credo che bisogna abbandonarsi ad un mondo completamente diverso dal nostro, uscire dallo schema della logica, entrare in quello della peripezia, del viaggio iniziatico, della dimensione magica del sogno che facilmente si rovescia in un incubo: è estremamente difficile fare un riassunto di questi racconti dove ci si smarrisce e talora si torna al punto di partenza che è però totalmente trasformato. D’altronde, come suggerisce il critico Bologna, la fiaba è fondante come mito proprio nel suo essere irrealtà.

Il tono è spesso ironico e anche beffardo e anche in questo stile si allontana un po’ dalla fiaba europea più ingenua ed edulcorata, fatte alcune eccezioni, in un clima decisamente surreale; mentre la novella spesso risponde alla logica della realtà anche se ha qualcosa di miracoloso.

A cavallo del vento
Fiabe di Armenia
Raccontate da Sonya Orfalian
Nuova edizione ampliata
ARGO
I edizione 2014
II edizione 2017
Postfazione di Corrado Bologna

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