«A 5 anni sapevo indossare un elmetto»: la guerra sconosciuta dei 20enni armeni in Nagorno-Karabakh (Corriere della Sera 24.04.24)

«E se dovessi descriverlo con una parola?»

«Calore. Ma non come quello del sole, o di una coperta. Calore come quello che senti passando da una stanza fredda ad una stanza calda, come quello di un tè quando hai freddo, di un abbraccio quando sei triste». Hrant parla del suo paese di origine con la delicatezza di un adulto, ma di anni ne ha 23. Le sopracciglia sono scure e spesse, le ciglia lunghe e corpose; gli occhi, del colore della terra che evoca, sembrano mancare proprio di quel calore: il suo sguardo è un racconto di nostalgie che non commuovono più.

I tratti del volto sono quelli tipici del suo popolo, gli armeni. Lui è nato e cresciuto in Nagorno-Karabakh, letteralmente «nero giardino dei monti», una regione separatista, autoproclamatasi Stato, situata tra Armenia e Azerbaijan. Azera di fatto, armena di composizione, ricca di giacimenti d’oro. Anche se quasi sconosciuta, è vicina: si trova alle porte d’Europa, in quella terra di mezzo che è il Caucaso, un Caronte geografico che traghetta merci e persone tra Oriente e Occidente. Dai tempi di Stalin, il Nagorno trascina con sé una storia infausta e complicata: nel 1923, nonostante una base demografica a stragrande maggioranza armena, venne incluso dal dittatore nei confini dell’Azerbaijan, un tentativo di aumentare le tensioni etniche e di evitare la coalizzazione contro il regime sovietico centrale. I risultati sono quelli desiderati e tra i due Stati anno dopo anno è un crescendo di episodi di violenza, fino ad arrivare allo scoppio di una prima guerra nel 1992, vinta dall’Armenia con un bilancio di 30 mila vittime, e di un’altra nel 2020, in cui prevale la parte azera: i morti sono oltre 5 mila.

«Io sono la mia guerra»

Hrant, nella seconda, indossava la divisa: esile e sbarbato, ha un’aria fragile e un sorriso timido; sembra un bambino che ha giocato a travestirsi da soldato. Partito da Chartar, il suo villaggio, ha passato 44 giorni con un berretto mimetico calcato in testa, la visiera ad ombreggiargli il volto. Arruolato volontario: perché, Hrant? Solleva gli occhi pensieroso. «Per rispetto. Non c’è una sola famiglia in Artsakh (nome armeno del Nagorno-Karabakh, ndr) che non sia collegata alla guerra. Tutti hanno perso qualcuno, è loro diritto continuare a vivere dove sono nati». Di fatto, non è così: a partire dal 19 settembre 2023 gli abitanti del Nagorno, 120.000 persone, sono fuggiti per rifugiarsi in Armenia. Dopo aver isolato e affamato l’area per mesi bloccando il corridoio di Lachin, unica via di accesso, gli azeri hanno sferrato un violento attacco durato un solo giorno, che ha causato un esodo di massa e fatto lanciare dall’Onu appelli di aiuto alla comunità internazionale.

«Perdere la tua terra di origine è come perdere qualcuno che ami. Ѐ lì che risiedono tutti i tuoi ricordi, è lì che hai passato l’infanzia: l’essenza delle cose sta nella loro memoria, ma anche quella svanisce. Per questo provo un dolore impossibile da curare». La ferita aperta in Nagorno non si è mai cicatrizzata: da quattro generazioni l’odio etnico concima il terreno del giardino, quasi il nero del nome fosse un presagio: «Le persone vivono la guerra, sono parte di essa. E così i loro figli: i bambini di cinque anni sanno indossare un elmetto, un’uniforme. E il brindisi degli anziani è “Ai nostri ragazzi, che non vedano mai quello che abbiamo visto noi”». Quando Hrant termina di parlare, ha gli occhi che si sono mantenuti asciutti. «I miei sentimenti sono congelati. Non provo più emozioni, non sono né triste né felice, non riesco a ridere o piangere come prima. Ma non voglio impietosire nessuno: desidero solo che si parli di questa situazione».

«A 5 anni sapevo indossare un elmetto. Ora non ho più sentimenti»: la guerra sconosciuta dei 20enni armeni

Anahit, prigioniera del Giardino

Anahit concorda: per questo ha scelto di studiare giornalismo. Ha 21 anni e anche lei è nata in Nagorno, a Togh. «Ora vivo a Yerevan, mi sono trasferita con l’aiuto della Croce Rossa a settembre. Penso spesso al mio villaggio; ricordo il grande gelso in giardino, le gare con mia sorella per scalarlo». Forse, lì accanto spiccava anche il colore vivace delle albicocche armene, così rappresentative del paese che gli azeri hanno boicottato i container destinati all’esportazione. A quell’arancio brillante si è sostituito il marrone slavato degli scatoloni di aiuti umanitari, al succo dolce che colava tra le dita, appiccicoso tra i polpastrelli, il sapore incolore del pane distribuito durante i razionamenti: Anahit era prigioniera del suo stesso Paese, un giardino all’ombra d’Europa, perennemente nascosto, invisibile ai vicini. Durante le ore in coda per approvvigionarsi, in piedi, seguiva le lezioni on-line: «Ogni volta speravo di tornare a casa avendo imparato qualcosa di nuovo, e con del cibo. Ma la connessione era terribile, sentivo a malapena il professore, e spesso quando arrivava il mio turno avevano esaurito gli alimenti».

Oggi, i villaggi di Hrant e Anahit sono irraggiungibili: dal primo gennaio 2024, il Nagorno-Karabakh ha cessato ufficialmente di esistere ed è pienamente sotto il controllo azero. Svuotato, come un albero preso di peso con le sue radici e trapiantato. In Artsakh, non c’è più nessuno. La terra è inanimata, cristallizzata in una memoria collettiva sospesa: vera solo per coloro che ci hanno vissuto, aleggia nei ricordi di chi su quell’erba si è rotolato da bambino, di chi su quegli alberi si è arrampicato. Come sul grande gelso nel giardino di Anahit: «A volte — dice lei — lo vedo ancora nei miei sogni».

Il conflitto in breve: le tappe

  • 1923: Stalin dichiara il Nagorno-Karabakh un oblast (provincia) autonomo dell’Azerbaijan, nonostante sia abitato al 94% da popolazione armena. Divide et impera: iniziano le tensioni etniche tra armeni e azeri
  • Gennaio 1992-marzo 1994: prima guerra del Nagorno-Karabakh, terminata con la vittoria armena. Lo scontro causa 30mila morti
  • Settembre-novembre 2020: la seconda guerra del Nagorno-Karabakh, detta «dei 44 giorni», si conclude a favore degli azeri. Il bilancio è di oltre 5mila vittime
  • 12 dicembre 2022: presunti attivisti ambientali azeri bloccano il corridoio di Lachin, unica strada che collega il Nagorno all’Armenia. La regione è isolata: chiudono le scuole, il cibo è razionato, i medicinali sono irreperibili
  • 19 settembre 2023: Baku lancia un’offensiva militare «antiterroristica» per annientare il «regime illegale» armeno. Stepanakert, la capitale, viene bombardata: inizia l’esodo di massa dei civili, presidenti e primi ministri vengono arrestati e deportati nelle carceri di Baku

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