Perché tenere la Turchia lontana dall’UE e fuori dalla NATO (Articolo21 03.05.18)
Lo strenuo baluardo militare alleato dell’Occidente, la Turchia, con le ultime condanne contro i giornalisti e i media che “hanno osato” criticare il sultano Erdogan, autocrate islamista, si è messo fuori dalla cerchia delle nazioni democratiche e in quanto tale non ha più nessun diritto al momento di proseguire i negoziati per entrare nell’Unione Europea.
Cosa devono ancora aspettare per indignarsi formalmente l’opinione pubblica, i mass-media, i partiti politici rappresentati nell’imbarazzato Parlamento di Bruxelles, i governi reticenti dei 27/28 paesi aderenti all’EU? Un altro “contro-golpe di stato” costruito ad arte? Altre decine di migliaia di arresti indiscriminati? Altri martiri torturati nelle squallide prigioni turche? O ulteriori stragi di Curdi e Siriani ai suoi confini, nell’ottusa politica espansionistica del sultano di Istambul, intento a ricreare il rimpianto Impero Ottomano?
E’ di questi giorni la vergognosa sentenza di condanne pesanti contro 18 tra giornalisti, collaboratori e dirigenti dello storico quotidiano di opposizione Cumhuriyet (che dal 1924 ha resistito a 5 golpe e ad innumerevoli arresti, processi, torture e anche assassini di suoi redattori). Antonella Napoli, rappresentante di Articolo 21, è stata testimone diretta delle ultime fasi del processo e ha portato la solidarietà di tutte le organizzazioni sindacali dei giornalisti e per la difesa dei diritti civili: “È stato un processo farsa, senza prove, basato solo sulla linea editoriale di Cumhuriyet. È apparso chiaro da subito che sotto accusa ci fosse la libertà di informazione. Le imputazioni di terrorismo erano, sono e restano ridicole”, ha commentato la Napoli, “Ma mai prima d’ora si era vista una così intensa volontà di eliminare completamente Cumhuriyet. L’attacco contro il più longevo giornale della Turchia è stato puramente politico, seppur per via giudiziaria, un assalto diretto alla libertà di stampa e al diritto, che nessun paese democratico può accettare”.
Da 30 anni la Turchia ha chiesto di far parte dell’Unione Europea e dal 2013 anche la Francia, la più riottosa, si è convinta a riprendere i negoziati, pur in presenza nel suo territorio di 750 mila profughi armeni, discendenti della grande Diaspora seguita all’Olocausto di oltre 1 milione e 600 mila cristiani armeni avvenuto tra il 1915 e il 1916.
Nonostante la feroce repressione contro gli oppositori democratici e laici, Erdogan prosegue nella sua politica di trasformare la debole democrazia turca in una autarchia sullo stile degli stati sunniti del Golfo, suoi alleati: ha indetto le elezioni anticipate, sicuro di stracciare anche la debole opposizione dei partiti di sinistra e dell’etnia curda, dopo aver modificato a suo favore la costituzione laica, erede di quella disegnata dal “padre della patria” Ataturk.
E sta proprio in questa volontà di rinnegare ogni memoria del passato tragico della sua storia moderna, che alberga in Erdogan, la sua forza e la sua debolezza. Si fa forte dell’appoggio strumentale e opportunistico della Russia del suo omologo autocrate Putin, interessato a estendere il suo dominio geopolitico fino a tutto il Medio Oriente e a controllare oleodotti e gasdotti, che trasportano energia verso l’Europa e fruttano miliardi di dollari. Il diktat di 3 mesi fa, ordito tramite la marina militare turca contro la piattaforma italo-cipriota della Saipem, che stava trivellando al largo delle acque territoriali, fa parte di questa sua strategia da “potenza imperialista regionale”. I media hanno dato poco risalto al gesto di sopraffazione turco, ma l’atto di pura pirateria è da ricondurre alle recenti scoperte di gas e petrolio sia nella terraferma della Siria, sia delle risorse energetiche al largo tra il Libano Cipro, che renderebbero questi due piccoli stati “cuscinetto” indipendenti dal ricatto russo/ turco per il petrolio e il gas, oltre che destinati ad arricchirsi sul mercato internazionale, attraverso altri accordi con la francese Total e l’americana Exxon.
Proprio per questi interessi, la Russia chiude anche gli occhi sulla politica di aggressione espansionistica delle forze armate turche contro i Curdi, i soli che sul terreno hanno sconfitto veramente i terroristi fondamentalisti sunniti dell’ISIS, e contro gli oppositori al dittatore siriano Assad.
L’ignavia dell’Unione Europea e della NATO nei confronti del regime autocratico di Istanbul si evidenzia anche con lo stendere una sorta di “sudario dell’oblio” sull’anniversario dello sterminio degli Armeni. Sono passati 103 anni e ancora le strade desertiche che portano ad Aleppo risuonano delle grida e grondano del sangue di oltre un milione di donne, bambini, vecchi e giovani cristiani armeni, costretti alle lunghe “marce della morte”, che facevano parte dell’aberrante strategia di annientamento.
La memoria storica a volte fa fatica a diventare anche “memoria ufficiale” degli stati. E’ già capitato con la Shoah ebraica, e stenta ad affermarsi per altri genocidi di comunità umane, diverse per religione, cultura e “radici razziali” in varie parti del mondo, per “resistenze” dovute ad opportunità diplomatiche, ad interessi economici, alla geopolitica.
Il “Medz Yeghern, il “grande crimine”, che tra il 1909 e il 1926 portò allo sterminio di oltre 2 milioni di cristiani armeni, segnò l’asse fondante su cui Ataturk e i suoi “giovani ufficiali” costruirono la Turchia moderna, tanto da vietarne ancora per legge (art. 301 del codice penale “Attentato alla turchicità dello stato”) la ricorrenza e il solo accenno, pena il carcere, l’esilio o persino l’attentato omicida. Solo 27 stati al mondo riconoscono l’Olocausto armeno e tra questi anche l’Italia. Addirittura la Francia e la Svizzera ritengono un crimine contro l’umanità il negazionismo e il revisionismo storico, come per la Shoah ebraica.
La strage degli Armeni fu una specie di “prova generale” delle tecniche di sterminio, cui si ispirò lo stesso Hitler. Da allora, nei libri di storia turchi è scritto solo di massacri di turchi ad opera degli armeni. Ancora oggi chi parla dello sterminio rischia di essere incarcerato, perseguitato, come lo scrittore Premio Nobel Orhan Pamuk, o addirittura ucciso, come successe a Istanbul il 19 gennaio del 2007, al giornalista armeno Hrant Dink, fondatore della rivista bilingue turco-armena Agos, per averne scritto in un articolo.
Ma perché la Turchia non vuole ancora riconoscere il genocidio armeno? La risposta l’ha data uno storico turco, Taner Akçam: “è il nazionalismo della Turchia a non permetterle di riconoscere il proprio passato. La Turchia di oggi, quella rifondata da Kemal Ataturk, non può e non vuole riconoscere che la fondazione del proprio stato sia sporcata da una così grande macchia di sangue… I turchi oggi imparano che sono stati gli armeni a massacrare i loro antenati”.
Ancora oltre si spinse l’ex-Presidente della Repubblica tedesca, Joachim Gauck, il 23 aprile 2015, quando ha riconobbe non solo il genocidio ma sottolineò la “corresponsabilità” tedesca. “Dobbiamo indagare nella nostra memoria”, disse Gauck, durante la cerimonia religiosa della comunità armena a Berlino per commemorare il centenario. E in merito ai consiglieri tedeschi che all’epoca aiutarono a pianificare le deportazioni, affermò: “La Germania ha avuto una responsabilità condivisa, forse anche una colpa condivisa, per il genocidio degli Armeni”.
A questo proposito, andrebbero ricordate le parole lucide e profetiche di Antonio Gramsci, che l’11 marzo del 1916, su “Il Grido del popolo” dedicò un articolo al genocidio: “…Perché un fatto ci interessi, ci commuova, diventi una parte della nostra vita interiore, è necessario che esso avvenga vicino a noi, presso genti di cui abbiamo sentito parlare e che sono perciò entro il cerchio della nostra umanità… Così l’Armenia non ebbe mai, nei suoi peggiori momenti, che qualche affermazione platonica di pietà per sé o di sdegno per i suoi carnefici…Sarebbe stato possibile costringere la Turchia, legata da tanti interessi a tutte le nazioni europee, a non straziare in tal modo chi non domandava altro, in fondo, che di essere lasciato in pace. La guerra europea ha messo di nuovo sul tappeto la questione armena. Ma senza molta convinzione…E così quanti sanno che gli ultimi tentativi di rinnovare la Turchia furono dovuti agli armeni e agli ebrei?”.
La Turchia, secondo gli oppositori ad Erdogan, avrebbe anche intrapreso un progetto di negazionismo, una sorta di “genocidio culturale e artistico”. Uno degli ultimi episodi riguarda “The Promise”, primo film hollywoodiano che tratta dell’Olocausto armeno, uscito nel 2016 negli Stati Uniti e scarsamente programmato in Europa. Nonostante finora abbia ricevuto consensi critici in festival minori, ha avuto molti giudizi negativi in Rete, a quanto pare grazie ad una campagna creata dai negazionisti turchi. Intanto, alcuni finanziatori turchi hanno appoggiato la produzione del film “The Ottoman Lieutenant”, ambientato nello stesso periodo di “The Promise”, pellicola bollata dai critici come “propaganda turca”.