«Qui comincia la nostra nuova vita» (La Sentinella di Canavese 13.11.17)
IVREA. Negtaria, 4 anni, ha due occhi che parlano da soli. Salta come un grillo sul divano di casa. Ha l’argento vivo addosso. Si diverte a guardare i cartoni animati in tv e non importa se non comprende la lingua, ma senz’altro non ci metterà molto. La madre si chiama Marina e ha 32 anni e il padre Karabed 44. Insieme formano la famiglia Kalajian. Siriana, da due settimane è ospite della grande comunità del Borghetto, dove vive.
Tutti e tre vogliono al più presto integrarsi nel tessuto sociale della città. Non è facile, ma con la forza di volontà e l’aiuto di tanti volontari bruceranno le tappe. Negtaria frequenta la scuola dell’infanzia Sant’Antonio di via San Giovanni Bosco. L’inserimento è già a buon punto e i compagni di scuola hanno accolto la nuova amica come una vera reginetta.
«Quando siamo entrati a scuola per la prima volta tutti i bambini hanno intonato una canzone di benvenuto – racconta la madre Marina -. Davvero una bella sorpresa». Invece, i genitori di Negtaria frequentano i corsi di lingua per imparare l’italiano più velocemente possibile.
Marina è un’insegnante di lingua e letteratura armena e lui è un tornitore meccanico, lavorava in officina.
La famiglia Kalajian, legata alla comunità armena, è fuggita da Aleppo nel 2014 quando la guerra ha iniziato a prendere una brutta piega, quando la situazione è peggiorata. Tra bombardamenti, morti, e sfollati la popolazione di Aleppo è scesa da 6 a 2 milioni di abitanti. La maggior parte degli sfollati ha trovato riparo in Libano e così anche la famiglia Kalajian, che ha vissuto negli ultimi tre anni a Beirut. Laggiù sono rimasti i nonni, i genitori di Marina che tanto l’hanno aiutata a crescere la bambina. Una sorella di Karabed è rimasta invece ad Aleppo. A Beirut, i genitori di Negtaria lavoravano e adesso, quanto prima, il desiderio è quello di trovare un’occupazione anche in Italia, ad Ivrea.
«È stato un trauma aver lasciato all’improvviso i miei genitori a Beirut – dice Marina -, la bambina è cresciuta con loro. Ma adesso inizia una nuova vita. Siamo felici di essere qui, attorno a noi ci sono persone splendide. L’importante è sentirsi al sicuro e qui lo siamo. Vogliamo guardare avanti, senza tornare indietro. Mai più ad Aleppo, mai più in Siria. In questi ultimi tre anni abbiamo provato tante volte a ricominciare a vivere, ma le speranze sono state sempre vane. Ora basta, guardiamo avanti, senza tornare più indietro». Cristiani ortodossi, i Kalajian hanno frequentato già la parrocchia di San Grato di don Duretto con la messa domenicale. «Le due religioni sono molto vicine – dicono – e non è difficile ritrovarsi».
Ma come è stato possibile ospitare questa famiglia di profughi siriani al Borghetto di Ivrea?
«Il progetto è nato come risposta alla sollecitazione di Papa Francesco, quando ha chiesto ad ogni parrocchia di accogliere un migrante. Noi abbiamo pensato di fare un passo in più, decidendo di accogliere una famiglia, consci che la “forza del Borghetto” ce lo avrebbe permesso – spiega Federico Bona -. Siamo quindi entrati in contatto con la Comunità di Sant’Egidio attraverso don Angelo Bianchi, responsabile diocesano della Pastorale per i migranti. Il secondo passo è stato valutare se c’erano le risorse per affrontare questa sfida: abbiamo sondato la disponibilità delle famiglie per sostenere economicamente il progetto e “fatto la conta” delle risorse disponibili per il lavoro concreto da portare avanti. Quando ci siamo resi conto che la base c’era, abbiamo dato il nostro ok e abbiamo aspettato che da Sant’Egidio ci comunicassero di aver trovato una famiglia per la nostra comunità. Questo è avvenuto a fine ottobre, dopo mesi nei quali abbiamo trovato l’alloggio, lo abbiamo sistemato, arredato e allestito».
«Tutto è stato realizzato grazie al volontariato – aggiunge Bona – chi si è impegnato nei lavori di sistemazione dell’appartamento, chi ha traslocato e sistemato gli arredi, chi ha seguito le pratiche burocratiche ed economiche. Venerdì 27 ottobre, finalmente, sono arrivati Marina, Karabed e Negtaria. Un momento di forte emozione per tutti noi, che ha dato il via alla parte più impegnativa e affascinante della sfida: accoglierli e aiutarli a ricostruire quella quotidianità che la guerra in Siria e la fuga in Libano avevano distrutto. Il valore aggiunto di questa iniziativa è, senza ombra di dubbio, don Giuseppe Duretto: il nostro parroco ha sostenuto con entusiasmo tutti i nostri passi, ci ha confortati nei momenti di difficoltà e ha condiviso con noi le gioie e le nostre emozioni. È il nostro garante, ha messo la sua faccia e il suo nome a disposizione del nostro lavoro dimostrandosi, una volta in più, il vero “pastore” della comunità del Borghetto».
Il progetto dei corridoi umanitari sottoscritto dalla Comunità di Sant’Egidio attraverso un protocollo d’intesa con i ministeri degli Affari esteri e dell’Interno prevede iniziative totalmente autofinanziate dalle organizzazioni che lo hanno promosso. Per avere informazioni sul progetto della comunità del Borghetto: accoglienza2017@gmail.com