«La negazione di un genocidio è un trauma per le persone colpite» (Swissinfo 06.01.17)
Basandosi su una sentenza della Corte europea dei diritti umani, il nazionalista turco Doğu Perinçek ha chiesto alla Svizzera di non più punire penalmente chi nega il genocidio armeno. Ma perché si dovrebbe avere il diritto di negare questo genocidio e non l’Olocausto? Lo abbiamo chiesto a Gerhard Fiolka, professore di diritto penale internazionale all’Università di Friburgo.
Alcuni anni fa, il Tribunale federale, la più alta istanza giuridica della Svizzera, condannò il politico turco Doğu Perinçek per aver definito il genocidio degli armeni una «menzogna imperialista». Un verdetto ribaltato però nel 2015, quando la Corte europea dei diritti umani (CEDU) giunse alla conclusione che la Svizzera aveva violato la libertà di espressione. Malgrado la decisione del Tribunale federale di annullare la condanna nei confronti di Perinçek, la Svizzera non intende stralciare la negazione di un genocidio dalla norma antirazzismo del Codice penale.
Martedì, durante una conferenza stampa al consolato turco di Zurigo, Perinçek ha gettato ulteriore benzina sul fuoco chiedendo alla Svizzera di revocare il riconoscimento del genocidio armeno. Ha inoltre salutato l’iniziativa parlamentare del deputato Yves Nidegger, che chiede di stralciare la nozione di genocidio dall’articolo 261 bis del Codice penale.
Gerhard Fiolka, professore di diritto penale internazionale all’Università di Friburgo, ha risposto alle domande scritte di swissinfo.ch.
swissinfo.ch: Cosa ne pensa della sentenza della CEDU, secondo cui la negazione del genocidio armeno rientra nella libertà di espressione?
Gerhard Fiolka: La decisione della CEDU, per altro sostenuta da una maggioranza molto risicata, non convince né nella motivazione né nel verdetto. La Grande Camera della CEDU è giunta alla conclusione che, in una società democratica, non è necessario punire la negazione del genocidio armeno siccome non esiste alcun legame particolare tra la Svizzera e questo genocidio e siccome gli eventi risalgono a molto tempo fa.
Con questa decisione, la CEDU restringe di parecchio il margine di discrezionalità degli Stati. Finora, la CEDU aveva lasciato un ampio margine di manovra di fronte a dichiarazioni immorali o che criticavano la religione. Riteneva infatti che le autorità statali fossero quelle meglio posizionate per valutare i limiti da porre alla libertà di espressione. Secondo la concezione europea, la libertà di espressione non è affatto illimitata e gli ordinamenti giuridici prevedono diverse restrizioni a tale diritto.
swissinfo.ch: Per quale motivo la CEDU ritiene che sia possibile negare il genocidio degli armeni, ma non l’Olocausto?
G. F.: La Grande Camera è dell’opinione che la negazione della Shoa sia l’espressione di un’ideologia antidemocratica e antisemita e che sia dunque pericolosa. Una motivazione che però non mi convince. Così facendo, sulla base di mere asserzioni, si fa una distinzione tra la Shoa e altri genocidi che oggettivamente non può essere condivisa e che, una volta di più, presenta gli ebrei come un caso speciale.
swissinfo.ch: Perché la Svizzera non ha modificato la sua norma antirazzismo in seguito alla sentenza della CEDU?
G. F.: Le decisioni della CEDU concernono sempre una violazione dei diritti fondamentali in singoli casi concreti. Una condanna non permette quindi necessariamente di trarre conclusioni per altri casi o per le norme penali. In questo senso, è plausibile che un’interpretazione più restrittiva dei testi di leggi permetterà in futuro di evitare le violazioni della libertà di espressione.
A mio avviso, non è necessario modificare le disposizioni penali. Il 3 marzo 2016, il Consiglio nazionale [Camera del Popolo] ha respinto una mozione che chiedeva di abrogare la norma contro il razzismo. Ciò dimostra che al momento non esiste un ampio consenso politico per l’abrogazione o la modifica di questo articolo.
swissinfo.ch: Cosa ne pensa dell’iniziativa parlamentare di Yves Nidegger, che chiede di stralciare la nozione di genocidio dal Codice penale o di precisarla come segue: «… un genocidio accertato da un tribunale internazionale competente…»?
G. F.: Penso che tale modifica sia sbagliata. La negazione di un genocidio è un trauma per le persone colpite. In Svizzera, si può punire qualcuno che afferma che una macchina da cucire di un certo produttore non è tecnologicamente all’avanguardia. Non riesco però a capire perché la negazione di un genocidio debba invece restare impunita.
Genocidio armeno
Nell’impero Ottomano, tra il 1915 e il 1917, dai 300’000 agli 1,5 milioni di armeni, a seconda delle stime, sono stati massacrati o sono deceduti durante le lunghe marce della morte. I massacri di uomini, donne e bambini sono bene documentati e costituiscono, secondo gli storici e i giuristi, il primo genocidio del XX secolo. In Svizzera, la negazione di questo genocidio è punita dalla legge.
Limitandoci ai genocidi riconosciuti da tribunali internazionali competenti, la cerchia dei possibili genocidi si restringe di parecchio. Per i genocidi in Ruanda o a Srebrenica, ad esempio, esistono sentenze di tribunali internazionali. Per la Shoa, invece, non ci sono sentenze simili. I processi di Norimberga non giudicarono la Shoa, bensì i responsabili di una guerra di aggressione e di crimini di guerra.
Inoltre, la nozione di genocidio è contenuta non soltanto nel Codice penale svizzero, ma pure nei trattati internazionali. Un giudice elvetico è quindi nella posizione di poter decidere se un determinato evento storico sia stato o meno un genocidio. La questione non è di sapere se qualcuno – ad esempio un parlamento, un tribunale, un oracolo o una maggioranza di telespettatori – “riconosce” un genocidio, ma di determinare se questo è stato effettivamente commesso ai sensi della legge.
swissinfo.ch: Quanto è difficile provare l’esistenza di un genocidio?
G. F.: Il giudice deve valutare le prove a disposizione e giungere alla conclusione che gli eventi storici rappresentano un genocidio o un crimine contro l’umanità. La Shoa e il genocidio armeno sono entrambi bene documentati. Per parlare di genocidio, bisogna in particolare dimostrare che i responsabili avevano l’intenzione di eliminare un determinato gruppo etnico. Nel caso degli armeni, tale intenzione viene a volta messa in discussione, sostenendo invece che le persone sono morte a causa di eventi bellici. Qui però lo si deve dire chiaramente: chi deporta migliaia di individui di un determinato gruppo etnico, compresi donne e bambini, e li costringe a lunghe marce attraverso deserti inospitali, non deve sorprendersi di ritrovarsi sul banco degli imputati per aver voluto eliminarli.
swissinfo.ch: Perché dovremmo avere il diritto di mentire, ma non quello di negare un genocidio? In altre parole: qual è lo scopo della norma antirazzismo?
G. F.: Negando un genocidio, i gruppi colpiti si sentono vittime e sono traumatizzati una seconda volta. Spesso, la negazione è anche un modo d’insinuare che le “presunte” vittime cercano di trarre profitto da un genocidio immaginario, ciò che influisce direttamente sull’immagine del loro gruppo. I genocidi e i crimini contro l’umanità sono reati talmente gravi che danneggiano non solo i singoli individui, ma l’intera umanità.