ROMA – 26 febbraio 2016 – “Azerbaigian: la repressione invisibile”
Federazione Nazionale della Stampa Italiana
“Azerbaigian: la repressione invisibile”, il 26 febbraio incontro in Fnsi con Amnesty International Italia
Venerdì 26 febbraio la sala “Tobagi” della Fnsi ospita l’incontro “Azerbaigian: la repressione invisibile”. Organizzato insieme ad Amnesty International Italia, alla manifestazione saranno presenti Dinara Yunus, foglia di due dei più famosi dissidenti del Paese, il presidente Giulietti, Elena Gerebizza (dell’associazione Re: Common), Simone Zoppellaro (giornalista dell’Osservatorio Balcani e Caucaso) e Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia. Appuntamento in corso Vittorio Emanuele II, 349, a Roma, a partire dalle 17.
Venerdì 26 febbraio a Roma, presso la sede della Federazione Nazionale Stampa Italiana (corso Vittorio Emanuele II 349, dalle 17 alle 19), si svolgerà l’incontro “Azerbaigian: la repressione invisibile”, con la testimonianza di Dinara Yunus, foglia di due dei più famosi dissidenti del Paese, Leyla e Arif Yunus, entrambi scarcerati per motivi di salute.
All’incontro prenderanno anche parte Giuseppe Giulietti (presidente della Federazione Nazionale Stampa Italiana), Elena Gerebizza (Energy campaigner dell’associazione Re: Common), Simone Zoppellaro (giornalista dell’Osservatorio Balcani e Caucaso) e Riccardo Noury (portavoce di Amnesty International Italia).
«Amnesty International – scrive il portavoce di Amnesty Italia, Riccardo Noury – da tempo è preoccupata per il mancato rispetto delle autorità azere del loro obbligo internazionale di proteggere i diritti di libertà di espressione, associazione e riunione. Le voci di dissenso nel paese sono spesso oggetto di accuse penali inventate, aggressioni fisiche, molestie, ricatti e altre rappresaglie da parte delle autorità e dei gruppi ad esse associati. Le forze dell’ordine utilizzano regolarmente ed impunemente la tortura e altri maltrattamenti contro gli attivisti della società civile detenuti».
Sono almeno 18 le persone in Azerbaigian che Amnesty International riconosce come “prigionieri di coscienza”, in carcere solo per aver pacificamente esercitato i loro diritti alla libertà di espressione.