Nagorno Karabakh. Nelle trincee in cui da 25 anni il Paese lotta per la sua indipendenza (La Stampa.it 17/09/15)
Marut racconta che nel ’45 il nonno ha combattuto i tedeschi, uno zio negli Anni 80 i taleban in Afghanistan, il padre nel ’92 gli azeri in Nagorno Karabakh, il suo Paese. E lui ora – la mimetica sbiadita, la baionetta nel cinturone e una laurea in tasca – da due anni è al fronte contro l’Azerbaigian. La storia di Marut è simile a quella di molti da queste parti. “Qui tutti hanno combattuto per difendere la nostra terra, le nostre montagne” spiega imbracciando un Kalashnikov così malconcio che sembra aver fatto tutte le guerre che racconta. Marut e i suoi compagni – soldati di leva poco più che ventenni, visi smagriti, capelli rasati, pelle cotta dal sole – sono all’ombra dei sacchi di sabbia. Si riparano dai cecchini e dal caldo asfissiante. E scacciano come possono gli insetti, la nostalgia di casa, il tempo che non passa mai. C’è anche chi chiude gli occhi e prega nella cappella improvvisata tra i reticolati, coperta di polvere, santini stropicciati, lumini spenti. I nemici sono invece là, a una manciata di metri dal filo spinato, oltre i campi minati, in fondo alla terra di nessuno. “Un paio di settimane fa hanno ucciso uno dei nostri” ricorda Marut indicando la feritoia sottile pochi centimetri in cui si è infilato il colpo mortale. Continua