In vista della Cop29, in Azerbaijan cresce la repressione di voci critiche e pacifisti (Lavialibera 04 .10.24)
Era il pomeriggio del 21 agosto quando si sono perse le tracce di Bahruz Samadov, ricercatore e attivista per la pace originario dell’Azerbaigian. Samadov, dottorando all’università Charles di Praga, era tornato in Azerbaigian per le vacanze estive quando è scomparso poco prima di un incontro con un amico. Dopo due giorni di silenzio, è arrivata la conferma ufficiale: Samadov era stato arrestato dalle autorità azere con l’accusa di tradimento. Se dichiarato colpevole, potrebbe affrontare una pena compresa tra 12 e 20 anni di carcere o, in casi estremi, l’ergastolo.
Giornalisti critici a rischio
Sebbene non fosse ufficialmente collegato ai principali gruppi di opposizione del Paese, Samadov scriveva regolarmente per diverse pubblicazioni e media internazionali e regionali sull’autoritarismo in Azerbaigian. Inoltre, era stato un critico acceso della Seconda guerra del Nagorno-Karabakh del 2020, durante la quale l’Azerbaigian ha ristabilito il controllo sulla regione contesa al confine con l’Armenia.
“Prima del suo arresto, Bahruz aveva ricevuto numerosi messaggi minatori sui social media, come ‘un giorno il governo te la farà pagare’ e ‘sarai chiamato a rispondere per quello che scrivi’. In Azerbaigian, tutti i giornalisti indipendenti, esperti e studiosi rischiano di essere arrestati. Chi critica il governo diventa un bersaglio”, racconta Turxan Karimov, giornalista azero in esilio.
Azerbaijan: nella terra del fuoco protettore
Secondo i dati dell’agenzia azera Turan, attualmente sono 303 i prigionieri politici in Azerbaigian, tra cui risultano otto leader della ex Repubblica de-facto del Nagorno-Karabakh, ora parte dell’ Azerbaigian. Human Rights Watch riporta che solo tra il 2023 e il 2024, le autorità azere hanno arrestato oltre 30 persone tra giornalisti indipendenti, attivisti della società civile e accademici con accuse penali infondate, come contrabbando di denaro, imprenditoria illegale, riciclaggio di denaro ed evasione fiscale.
Dopo l’arresto di Samadov, anche Samad Shikhi e Javid Agha, attivisti per la pace e collaboratori di OC Media, una testata indipendente con sede a Tbilisi, Georgia sono stati fermati dalle autorità azere mentre cercavano di lasciare il Paese. Entrambi sono stati rilasciati poco dopo dichiarando di essere stati trattenuti per fornire testimonianze su Samadov. Ad Agha, tuttavia, è stato imposto un divieto di viaggio a tempo indeterminato. A luglio, anche un altro ricercatore, Igbal Abilov, è finito in carcere con l’accusa di tradimento. Come Bahruz Samadov, Abilov è stato posto in custodia cautelare per quattro mesi e rischia fino a 20 anni di reclusione.
“A questo punto cosa è rimasto da reprimere? Nel 2014-2015 hanno arrestato e represso le ong, quindi la società civile organizzata. Nel 2023 i gruppi informali e gli ultimi media indipendenti come Abzas media. Adesso non ne esistono più. Nel 2024 sono rimasti solo singoli individui come Bahruz Samadov” afferma Cesare Figari Barberis, ricercatore del Graduate Institute di Ginevra specializzato in Georgia e Azerbaijan, che ricorda come anni di repressione hanno portato al quasi totale esaurimento delle voci di opposizione nel paese.
Armeni in fuga dal Nagorno-Karabach
In vista della Cop29, un momento critico per Baku
Armenia e Azerbaigian potrebbero firmare un “accordo estremamente superficiale” prima della Cop29, un’intesa puramente simbolica che non risolverebbe alcun problema reale, nonostante Baku abbia annunciato l’intenzione di ospitare una “Cop di pace”
Gli arresti arrivano in un momento critico per l’Azerbaigian: meno di due mesi prima del vertice Cop29 di novembre a Baku e parallelamente ai colloqui di pace con l’Armenia che proseguono sullo sfondo di accuse di violazione del cessate il fuoco. Mentre da un lato alcuni ipotizzano che questa nuova ondata repressiva nei confronti di giornalisti, politici e sostenitori della pace possa preludere a una nuova escalation, altri ritengono che non sarebbe nell’interesse dell’Azerbaigian istigare un conflitto armato con l’Armenia prima del vertice delle Nazioni Unite sul clima.
“Credo che in questo caso non ci sia una vera e propria causa, ma un’autocrazia che tende ad essere sempre più autocratica. Potevano reprimere ancora di più e l’hanno fatto. Perché? Perché tanto non hanno nessun tipo di condanna internazionale, oppure anche se c’è, è molto debole”, afferma Barberis.
Secondo Laurence Broers, ricercatore del think tank britannico Chatham House, Armenia e Azerbaigian potrebbero firmare un “accordo estremamente superficiale” prima della Cop29, un’intesa puramente simbolica che non risolverebbe alcun problema reale, nonostante Baku abbia annunciato l’intenzione di ospitare una “Cop di pace“. “Come possiamo considerare seriamente questa iniziativa, quando osserviamo che le ultime voci indipendenti che esprimevano opinioni critiche sulla pace vengono arrestate?” si domanda Broers. “Chi avrà voglia di partecipare agli incontri di dialogo, sapendo che tali interazioni potrebbero essere utilizzate contro di lui come prova di tradimento?”.
Broers aggiunge che l’Azerbaigian sembra “molto riluttante” a lasciar perdere il conflitto con l’Armenia, nonostante le sue dichiarazioni contrarie, a causa delle “opportunità” che il conflitto offre. Secondo il ricercato del think tank britannico, oltre a fornire una questione centrale attorno alla quale mobilitare la popolazione, il conflitto è stato visto da alcuni come la prima vittoria militare ottenuta dall’Azerbaigian “come Stato nazionale”, il che ha portato a una “riluttanza” a muoversi completamente verso la pace.
Anche Bahruz, in un’intervista concessa alla lavialibera l’anno passato, esprimeva scetticismo riguardo alla possibilità che l’Azerbaigian interrompesse le proprie attività militari nei confronti dell’Armenia dopo aver ripristinato il controllo sul territorio conteso del Nagorno-Karabakh.
“L’armenofobia ha legittimato il regime di Ilham Aliyev per decenni perché l’immagine del nemico esterno è ciò che crea unità e neutralizza le contraddizioni interne, oltre a funzionare come strumento argomentativo. Se qualcuno si oppone al regime, è facile additarlo come pro Armenia”, aveva affermato Samadov, secondo il quale non sarà possibile raggiungere una pace duratura con gli armeni “fino a quando non saranno smontati i miti vendicativi che costituiscono la nostra identità nazionale e non sarà rifiutato il nazionalismo violento”.
Armenia: il cappellano militare è sempre pronto
Speranze al minimo
Nel frattempo, a Baku l’incertezza riguardo a chi potrebbe essere il prossimo bersaglio delle autorità pesa sulle poche voci critiche rimaste nel Paese. “So che c’è molto panico e un po’ di senso di disperazione perché chi è rimasto non sa più che fare. Non c’è molto supporto interno e pochissimo esterno. Cosa rimane da reprimere? Quasi niente ormai”, afferma Barberis.
Senza una pressione internazionale sul regime di Ilham Aliyev affinché liberi coloro che sono stati ingiustamente incarcerati, le speranze per i detenuti nelle carceri azere rimangono ridotte al minimo. “I paesi e le organizzazioni occidentali devono sollecitare il governo a rilasciare tutti i prigionieri politici. Hanno il potere di chiedere all’Azerbaigian di rispettare i diritti umani”, afferma il giornalista Turxan Karimov.