Il genocidio armeno tra storia e relazioni internazionali (Il Caffe Geopolitico 11.09.24)

Analisi – La Medz Yeghern (il “Grande Male” o la “Grande Catastrofe”) dimostra come la memoria storica possa essere suscettibile di strumentalizzazione politica. Il Genocidio armeno è tutt’ora una delle principali cause di tensione tra Ankara e Yerevan.

IL DRAMMA STORICO: LE RADICI DELLA GRANDE CATASTROFE

Il 24 aprile ricorre la Giornata dedicata al ricordo del genocidio armeno. In questa data, nel 1915, vengono arrestati 250 intellettuali e leader della comunità armena dalle Autorità ottomane. L’evento segna l’inizio di un massacro che porterà alla scomparsa di circa un milione e mezzo di armeni. I prodromi del genocidio si ritrovano nel periodo di crisi, che porterà poi alla caduta, dell’Impero ottomano. In questi territori la popolazione armena ha abitato per secoli, stanziati nella regione dell’Anatolia orientale, corrispondente all’attuale parte orientale della Turchia. Questa comunità, minoritaria e di religione cristiana, costituiva una dissonanza nel sistema sociale dell’Impero ottomano, dominato da una maggioranza musulmana sotto la guida del Sultano. I primi massacri, partiti dal basso e non ancora organizzati dai vertici, avvengono già negli anni Novanta del XIX secolo. Sarà però con l’avvento delle Guerre balcaniche, prima, e della Prima guerra mondiale dopo, che la comunità armena diventa vittima di una sistematica strategia di eliminazione. Alla guida dell’Impero ottomano c’è il gruppo dei Giovani Turchi, che nel 1908 sono stati i promotori di un colpo di Stato per destituire il Sultano Abdülhamid II. Il programma del nuovo Governo propone di riformare le Istituzioni turche in modo da modernizzare il sistema e instaurare una monarchia di stampo liberale. Inizialmente la comunità armena ripone fiducia nel gruppo rivoluzionario, ma il nuovo Governo assume sempre di più una piega autoritaria e nazionalista, e la comunità armena viene presto considerata un elemento di disturbo nel progetto di omogeneizzazione etnica dell’Impero, presente nei piani dei Giovani Turchi.
Le Guerre balcaniche accelerano il processo di disfacimento dell’Impero ottomano e inaspriscono ancora di più le tensioni tra cristiani e musulmani, questi ultimi ormai privati dei loro possedimenti in Europa. Tuttavia è durante la prima guerra mondiale che la situazione diventa drammatica. Gli armeni vengono accusati di essere la principale causa della disfatta nella battaglia di Sarıkamış contro i russi nella campagna del Caucaso. L’accusa di essere una quinta colonna della Russia sarà una buona motivazione per risolvere “la questione armena” e perseguire l’ideologia panturchista sostenuta dai Giovani Turchi. Il progetto di sterminio include massacri arbitrari e deportazioni contro uomini, donne e bambini. L’eredità del genocidio non ha lasciato solamente famiglie distrutte, ma ha alterato il corso della storia di un popolo. I beni confiscati, i monumenti, i siti storici, le case, le biblioteche distrutte per mano del Governo ottomano avevano il preciso scopo di cancellare un’impronta storica presente da 3mila anni.

Fig. 1 – Un gruppo di armeni massacrato durante il genocidio del 1915

UN SECOLO DI DIBATTITO TRA DIPLOMAZIA E INTERESSI POLITICI

Nel 2019 il Congresso degli Stati Uniti ha approvato con una maggioranza bipartisan una risoluzione in cui viene riconosciuto il genocidio contro gli armeni. Ma perché solamente a quasi cento anni dall’avvenimento? La questione del riconoscimento del genocidio armeno rientra nelle diverse strategie di politica estera che ogni Paese intende perseguire. La Turchia infatti tutt’ora non ha mai ammesso di aver compiuto un genocidio, ma sostiene che la tragedia che ha colpito la popolazione armena vada più ampiamente contestualizzata nel quadro di un Impero in declino e in guerra per garantire la propria sopravvivenza. Sarebbe mancata quindi una precisa volontà di sterminio di una popolazione. Gli Stati Uniti sotto la presidenza Trump, e con un Congresso a maggioranza repubblicana, decisero di approvare la risoluzione come strumento di pressione per far desistere la Turchia dall’intraprendere l’avanzata in Siria contro i curdi, in seguito al ritiro delle truppe statunitensi. Questo rappresentò un netto cambio di direzione, poiché fino al 2019 gli Stati Uniti avevano sempre evitato di riconoscere ufficialmente il genocidio armeno per non inimicarsi la Turchia, partner strategico sin dal suo ingresso nell’Alleanza Atlantica.
Attualmente solo 32 Paesi riconoscono il genocidio armeno. Un primo passo importante si è avuto nel 1987 con una risoluzione del Parlamento europeo in cui si parla di genocidio ai  sensi della convenzione adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 9 dicembre 1948. Ad oggi l’Europa, come in molte altre questioni di politica estera, non prosegue nella stessa direzione. Di ventisette Paesi, sedici riconoscono il genocidio. La Turchia intanto rimane in una fase di stallo nel percorso di adesione all’Unione Europea, e questo tema è uno, tra i tanti, dei motivi dell’impasse. Al contrario, l’Europa osserva sempre più con interesse la piccola Repubblica di Armenia, parte di quell’orbita attrattiva che sta spingendo l’Unione a guardare sempre di più verso il Caucaso.

Fig. 2 – Il premier armeno Nikol Pashinyan partecipa alle cerimonie della Giornata dedicata al ricordo del genocidio armeno, 24 aprile 2024

[ED]IMPLICAZIONI GEOPOLITICHE

Tuttavia, già dodici anni prima la risoluzione del Parlamento Europeo, la Camera dei rappresentanti della Repubblica di Cipro si era espressa su tale questione esprimendo la propria solidarietà verso la popolazione armena e ritenendo che l’obiettivo dei turchi fosse stato l’annientamento e lo sterminio degli armeni in Asia minore, aggiungendo poi che “Attualmente, Cipro sta soffrendo difficoltà simili, come una vera tragedia, a causa dell’invasione turca.”  Questa dichiarazione può quindi essere vista come un tentativo di strumentalizzazione per esortare la comunità internazionale a condannare l’invasione turca della parte settentrionale di Cipro.

Spostandosi invece nel continente asiatico, uno dei primi Paesi a esprimersi nettamente a riguardo fu la Russia. A pochi anni dall’indipendenza dell’Armenia la Duma ha ribadito la propria posizione di condanna nei confronti della Turchia e il sostegno russo verso la popolazione armena. Non c’è da stupirsi se si prende in considerazione la stretta alleanza che ha unito Mosca e Yerevan, almeno fino agli eventi più recenti legati alla guerra nel Nagorno-Karabakh che hanno allontanato l’Armenia dalla sfera russa, avvicinandola sempre di più verso l’Occidente.

Suscita perplessità invece il non riconoscimento da parte della Knesset israeliana. La reticenza di Israele nel parlare del genocidio ha a che fare con le dinamiche  geopolitiche in corso in Medio Oriente ed è strettamente legata al bisogno di salvaguardare i suoi rapporti con la Turchia e con l’Azerbaigian, alleati di lunga data. Mentre i rapporti tra Armenia e Israele non sono proprio rosei: il sostegno all’Azerbaigian nella guerra nel Nagorno-Karabakh e la persistente reticenza nel riconoscere il genocidio armeno (anche per motivazioni più profonde legate all’unicità della Shoah nella memoria collettiva israeliana) hanno contribuito al deterioramento dei rapporti. In questo contesto, si inserisce anche l’amicizia tra Armenia e Iran, principale nemico di Israele, che complica ulteriormente i già difficili rapporti tra i due Paesi. Tale situazione è stata ulteriormente aggravata dal recente riconoscimento dello Stato di Palestina da parte dell’Armenia, rendendo ancora più arduo ricucire le relazioni bilaterali.

Fig. 2 – Bandiere della Turchia e dell’Azerbaigian date alle fiamme durante una manifestazione popolare a Yerevan in ricordo del genocidio, 23 aprile 2023. I rapporti dell’Armenia con Ankara restano estremamente tesi e difficili, anche per via della questione del Nagorno-Karabakh

YEREVAN E ANKARA: UN RAPPORTO DIFFICILE DA RISANARE

Ad oggi i rapporti tra Armenia e Turchia rimangono congelati e uno dei principali punti di tensione rimane la ferita ancora non rimarginata del genocidio di inizio secolo e l’ostinazione del Governo turco nel negare che questo sia mai avvenuto. Ma alla base delle tensioni tra Yerevan e Ankara c’è anche una disputa territoriale che ha origine negli assetti formatisi a seguito della prima guerra mondiale. Il primo trattato che ridefinisce gli equilibri nell’area è stato quello di Sèvres del 1920. Mai accettato dai turchi, avrebbe allargato l’Armenia a occidente, espandendosi nell’Anatolia orientale reclamata dalla Turchia. Il successivo trattato di Kars del 1921 ha definito gli attuali confini tra Turchia e le Repubbliche sovietiche del Caucaso. Riacquisita l’Anatolia orientale, le rivendicazioni territoriali della Turchia sono state soddisfatte, mentre l’Armenia  continua a non riconoscere la suddivisione territoriale di Kars. Ad oggi i confini tra i due Paesi sono chiusi  e le relazioni diplomatiche sono interrotte dal 1993, in seguito all’avanzata armena nel Nagorno-Karabakh, altra questione estremamente delicata che continua a logorare le relazioni bilaterali tra i due Paesi. Tentativi di avvicinamento furono compiuti nel 2009 con la firma dei Protocolli a Zurigo, ma si risolsero con un nulla di fatto per l’opposizione dell’Azerbaigian.

In questo quadro c’è quindi un complesso di tensioni difficili da districare, tra questioni irrisolte di natura territoriale e controversie storiche. Fino a che la Turchia non riconosce il genocidio armeno si possono fare solo piccoli passi verso un miglioramento delle relazioni bilaterali, ma non di più. Attualmente la situazione rimane ancora congelata e le principali questioni di attrito non incontrano volontà di risoluzione, da nessuna parte.

Vai al sito