Perché gli armeni sono fuggiti dal Nagorno Karabakh (Socialnews 03.07.24)
È ufficiale la dissoluzione della Repubblica del Nagorno Karabakh dal primo gennaio 2024, che, su una popolazione di circa 120.000 persone, ha portato 110.000 armeni residenti nella regione a fuggire in Armenia.
Il Nagorno Karabakh è una piccola regione montuosa del Caucaso meridionale situata tra l’Armenia ad ovest e l’Azerbaijan ad est. Nonostante si sia autoproclamato indipendente dall’Azerbaijan negli anni ‘90, fa formalmente parte del territorio azero – in cui vivono principalmente musulmani sciiti di lingua turca -, ma è abitato da popolazioni di etnia armena – quasi tutti cristiani. Chiamato anche Repubblica del Artsakh (in lingua armena), già dal XX secolo è conteso da Azerbaijan – che pedantemente vuole impossessarsi ed annettere questo territorio al proprio Stato – ed Armenia – che vuole mantenere la propria integrità territoriale e garantire l’autodeterminazione del proprio popolo.
Questi dissapori hanno causato per decenni scontri e violenze senza quasi mai raggiungere una tregua prolungata e proficua: uno dei primi conflitti risale al 1905, ma è con la caduta dell’Impero russo che gli scontri si fanno più aggressivi. In seguito all’indipendenza sia della Repubblica Democratica dell’Azerbaijan sia della Repubblica di Armenia nel 1918, entrambi gli stati rivendicano la regione del Nagorno Karabakh, che entra a far parte della Repubblica Federale Democratica Transcaucasica (Stato composto da Azerbaijan, Armenia e Georgia). Passano pochi anni e nel 1921 Stalin, in accordo con la Turchia, assegna il Nagorno Karabakh e Naxçıvan – entrambe armene – all’Azerbaijan.
Proseguono le dispute e i conflitti, ed è negli anni ’90 che la brutalità e la coercizione si fanno più acute. Dopo il crollo dell’URSS, nel 1992 scoppia la prima guerra del Nagorno Karabakh, che si protrae per ben due anni e miete più di 30.000 vittime. Vince l’Armenia due anni dopo e il Nagorno Karabakh diventa una repubblica de facto indipendente (la Repubblica del Artsakh), anche se non verrà mai formalmente riconosciuta dalla comunità internazionale e dall’Azerbaijan. Quest’ultimo perde il controllo di una parte del territorio, ma non si dà per vinto e nell’aprile del 2016 si scontra per quattro giorni contro gli armeni e si impossessa di alcuni territori a nord-est e a sud-est del Nagorno Karabakh. La sua netta superiorità tattica-militare si evince sia durante la seconda guerra del Nagorno Karabakh nel 2020 – con la quale occupò la parte meridionale della regione – sia alla fine del 2022, quando assedia l’Armenia: chiude il corridoio di Lachin – l’unica strada al confine che collega il Nagorno Karabakh alla Repubblica di Armenia – e di conseguenza blocca l’entrata di merci e beni anche di prima necessità.
La comunità internazionale assente, è del tutto silente. Nessuno interviene, nemmeno i peacekeeper russi insediati al confine. E non finisce qui. Il momento clou è l’offensiva azera del 19 e 20 settembre del 2023: in ventiquattro ore l’Azerbaijan, sostenuto dalla Turchia di Erdogan, lancia un’operazione militare lampo “antiterrorismo” nel Nagorno Karabakh. Dopo solo un giorno di combattimenti, gli armeni si arrendono, l’Azerbaijan vince e la Repubblica del Nagorno Karabakh si dissolve.
Dal primo gennaio 2024 il Nagorno Karabakh non è più uno Stato indipendente e gli armeni in pratica sono costretti a fuggire. Nessuno li ha obbligati, anzi il governo dell’Azerbaijan a parole si è dimostrato aperto ad accoglierli, ma nei fatti è un regime non così democratico e non così rispettoso delle libertà e dei diritti specialmente delle minoranze; si tratta piuttosto di uno Stato autoritario e repressivo nei confronti della popolazione armena. Si parla di esodo forzato quasi completo, di sfollamento di massa di migliaia di karabakhi che temono per la loro incolumità; addirittura l’UE lo definisce come una pulizia etnica nel Nagorno Karabakh da parte dell’Azerbaijan. Quasi la totalità dei karabakhi sono diventati profughi. Dei più dei 100.000 armeni fuggiti, più di 26.000 sono bambine e bambini, ovvero il 30% dei rifugiati. È ciò che riferisce Save the Children a fine 2023, che lancia l’allarme per un’adeguata assistenza umanitaria, sicurezza e protezione del futuro dei civili, in particolare dei più piccoli. Molti di loro si sono rifugiati nel campo profughi a Goris e a Kornidzor, in Armenia. Non c’è stato un vero e proprio tentativo di riconciliazione e un intervento repentino e sufficiente anche da parte di altri attori internazionali, la Russia in primis. A novembre si terrà la Cop29 (Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) a Baku, capitale dell’Azerbaijan. Circa 200 paesi parteciperanno. Chissà se ci sarà uno spiraglio per i negoziati e per un dialogo tra l’Azerbaijan e l’Armenia, e se in questi collaboreranno anche l’Unione Europea e la Russia.