Il genocidio degli armeni. Metz Yeghèrn, il grido inascolato di Abele (Salvatore Lazzara) (Faro di Roma 25.04.24)

Sono passati ormai 9 anni, da quando Papa Francesco alla presenza delle
massime autorità della Chiesa Armena, celebrò nel centenario del “grande
male”, il “genocidio degli armeni”, una solenne Santa Messa, durante la quale
condannò chiaramente il crimine mostruoso degli omicidi di massa degli
armeni. Sembra passato un secolo. Nessuno più ricorda il monito del Santo
Padre, e le condizioni del popolo armeno non sono certo migliorate. Lo spettro
della guerra e della pulizia etnica si aggira anche in quella zona. Gli armeni
vivono costantemente nella paura, tanti giovani non sono più tornati a casa,
perché uccisi nelle battaglie contro l’esercito azero. L’Armenia, prima nazione
cattolica della storia, non riesce a vivere in pace. Ecco, ci troviamo a vivere
dentro un altro segmento della “guerra mondiale combattuta a pezzi”. Una
guerra poco conosciuta, o meglio un conflitto che non riscuote una attenzione
paricolare da parte della comunità internazionale. Probabilmente insieme agli
ebrei, gli armeni, hanno avuto la storia più tormentata degli ultimi secoli. Una
storia segnata sin dagli inizi. Trasferendosi dalle steppe russe e dalle pianure del
basso Danubio, tra il nono e il settimo secolo avanti Cristo e attraversando il
Bosforo per raggiungere la Frigia, gli armeni finirono per stabilirsi esattamente
nel crocevia di ogni futura conquista e scorreria. Non ci fu invasione dall’Asia
verso l’ Europa e dall’ Europa verso l’Asia che non coinvolse la loro roccaforte
montuosa, ambita da tutti per la posizione dominante verso le grandi vie del
Tigri e dell’ Eufrate. Eppure la storia degli armeni non si può capire se non
partendo dalla loro fede. La tradizione attribuisce il primo annuncio cristiano in
terra armena agli apostoli Bartolomeo e Taddeo. La conversione dell’intero
popolo – primo al mondo – al cristianesimo avviene nel 303. Le vicende di
questo popolo sono una testimonianza straordinaria di fedeltà al messaggio
evangelico, pagata duramente, anche a costo della vita stessa.
Gli armeni resistettero con coraggio all’invasione arabo-musulmana. Crearono
tra IX e XI secolo un fiorente regno cristiano, entrarono in complesse relazioni
con Bisanzio e con i crociati, fondarono fra le montagne del Tauro e il golfo di
Alessandretta, vale a dire nella regione chiamata Cilicia, un regno della
cosiddetta “piccola Armenia” che si mantenne, con alterne vicende, fino al
Seicento. Fu allora che gran parte dell’ Armenia entrò a far parte dell’ Impero
Ottomano. Armena era Edessa (oggi Urfa in Turchia), la città del “mandylion”
della Veronica, armena è la grande montagna dell’Ararat (5156 metri) dove la
leggenda e alcuni archeologi contemporanei pongono i resti dell’Arca di Noè,
armeni erano i molti mercanti che, fieri della loro appartenenza alla fede
cristiana, commerciavano nel mondo allora conosciuto.

2023: l’anno della vergogna
Dopo l’imposizione di oltre nove mesi di isolamento da parte degli azeri, che
ridussero la popolazione armena locale allo stremo, le autorità dell’Azerbaigian
decisero di intervenire militarmente per porre fine all’Artsakh (Nagorno
Karabakh), un’entità de facto indipendente emersa con il crollo dell’Unione
Sovietica. A partire dalla propria posizione di superiorità militare, l’Azerbaigian
chiese e chiede alla comunità armena locale di arrendersi, dissolvendo tutte le
unità militari armene e i propri organi di amministrazione. Dopo un giorno di
combattimenti, la resa dei rappresentanti armeni è arrivata: si incontreranno il
21 settembre con una delegazione governativa dell’Azerbaigian, in sostanza, per
discutere i termini della capitolazione. Nessuna garanzia è stata ottenuta a
favore della comunità armena. Da parte di Baku, infatti, scarseggiano le
rassicurazioni di lungo periodo per i residenti della regione. Anche le poche
rassicurazioni che arrivano, come ad esempio l’offerta di corridoi umanitari per
evacuare i civili, sono stet effettivamente come una minaccia di pulizia etnica.
L’impotenza dell’Armenia in questo contesto è in parte dovuta alla sua stessa
vulnerabilità. L’Azerbaigian ha infatti preso iniziativa per far capire che in caso
di una nuova guerra a rischio non sarebbe solo la popolazione armena del
Nagorno Karabakh, ma anche l’Armenia stessa. Le minacce di Baku non si sono
limitate a dichiarazioni ufficiali revisioniste secondo cui il territorio dell’odierna
Armenia sarebbe in realtà storico territorio azero, ma si sono concretizzate in
estese azioni militari nell’autunno del 2022 che hanno coinvolto aree situate
all’interno dei confini internazionalmente riconosciuti dell’Armenia, ben
lontano dai territori contesi del Nagorno Karabakh. Quell’intervento ha
rafforzato le posizioni azere lungo il confine rendendo ancora più esplicita la
minaccia militare nei confronti dell’Armenia ed evidenziano ulteriormente
quanto sia del tutto concreta la possibilità da parte dell’Azerbaijan di avanzare
nella regione armena di Syunik fino a raggiungere l’exclave azera del
Nakhchivan. E proprio in questi giorni, alla vigilia dell’anniversario del
genocidio, molti armeni hanno protestato per la decisione governativa che
avrebbe “accettato” di cedere altri villaggi di confine, all’Azerbaigian. Gli
abitanti di Kirants, nella zona di Tavush, hanno bloccato la strada interstatale
Armenia-Georgia (Yerevan-Tbilisi). L’arcivescovo Bagrat Galstanyan, sta
cercando di mediare tra la popolazione e la polizia. La situazione rimane molto
tesa. Ma ora torniamo al 2015.

12 Aprile 2015: il Papa riconosce solennemente le violenze subite dal
popolo armeno

Il 12 aprile 2015, in occasione dell’anniversario del genocidio degli Armeni,
Papa Francesco, durante la solenne Celebrazione commemorativa alla presenza
delle più alte cariche ecclesiastiche e politiche dell’Armenia, pronunciò parole
molto forti sulle sofferenze subite da quella gente. Denunciò con coraggio le
violenze subite dal popolo armeno, per mano dell’Impero Ottomano. Bergoglio,
non esitò ad affermare che il “grande male” è stato il primo genocidio del XX
secolo. L’ira della Turchia, per i pronunciamenti del Papa, fu molto dura. Il
nunzio mons. Lucibello fu convocato immediatamente dal governo di Ankara,
che espresse “disappunto”, per le parole pronunciate dal Pontefice.
Successivamente, il governo richiamò il proprio ambasciatore dalla Santa Sede.
Il ministro degli esteri Cavuysoglu, definì “inaccettabili” le parole di
Francesco, scrivendo su twitter che “le dichiarazioni del Papa, che non sono
fondate su dati storici e legali, sono inaccettabili”. La Turchia nonostante le
inoppugnabili prove storiche, continua a negare che quello del 1915-16 sia stato
un genocidio e combatte una guerra diplomatica permanente per cercare di
impedire che sia riconosciuto all’estero da un numero crescente di stati. Anzi, è
stato il primo genocidio che ha preceduo la Shoah degli ebrei in Europa.
Nella delicata situazione geopolitica odierna, la Turchia occupa un posto
rilevante. Ai confini del suo territorio, bussa alla porta lo stato islamico, per
ottenere appoggi politici e militari e con il quale intrattiene rapporti ambigui e
destabilizzanti, che influiscono negativamente sulla presenza dei cristiani in
medioriente e l’avanzata del terrorismo islamico. Non possiamo dimenticare che
la Turchia è il Paese dove negli ultimi anni i cattolici hanno pagato un tributo di
sangue molto alto: don Andrea Santoro è stato ucciso a Trebisonda nel 2006, e il
vescovo Luigi Padovese è stato ucciso a Iskenderun nel 2010. Per non citare le
restrizioni in materia di libertà religiosa a cui sono sottoposte le varie
confessioni religiose di matrice cristiana. Il sangue degli innocenti continua a
gridare al cospetto di Dio. Esige giustizia.  La Chiesa Armena, dopo qualche
giorno dopo la solenne Messa in San Pietro, durante una solenne Celebrazione
canonizzò tutte le vittime del genocidio, riconoscendo il martirio di quanti
furono trucidati in nome della fede e dell’appartenenza etnica. E’ opportuno
riproporre l’impegno della Chiesa cattolica, nel riconoscere il genocidio
generato dalla follia dell’uomo nei confronti degli Armeni, a partire da
Benedetto XV Giacomo Della Chiesa, fino a Papa Francesco.

Benedetto XV e gli armeni
“V.S.Illma faccia, Nome Santo Padre, le più vive istanze presso cotesto
ministero Esteri…, affinché i poveri armeni siano rispettati dai turchi
rioccupanti territorio attribuito loro nel trattato pace con Russia”. Il 12 marzo
1918 il delegato apostolico di Costantinopoli mons. Dolci riceve questo
telegramma cifrato del segretario di Stato vaticano, il cardinale Gasparri, in cui,
appunto, si intravede l’attenzione, anzi l’ansia, della Santa Sede – e in questo
caso, del Papa Benedetto XV – rispetto alla sorte terribile a cui sono andate
incontro le popolazioni armene, ossia una vera e propria strategia di distruzione
sistematica degli armeni da parte del governo ottomano. In particolare, il
telegramma citato si riferisce alla situazione creatasi, dopo le vicende belliche
della Prima Guerra Mondiale e la Rivoluzione d’Ottobre in Russia, nonché la
creazione di una Repubblica Armena indipendente, che però subiva pressioni e
attacchi da parte dell’Impero ottomano e da parte delle autoproclamatesi
repubbliche azere e armene.
L’illusione degli Armeni di poter essere finalmente un Paese e una patria durò
davvero poco: dal 1918 al 1922, il tempo della Repubblica, poi spazzata via
inesorabilmente. La Santa Sede, in prima linea per far cessare i massacri, cercò
in questo lasso di tempo di appoggiare l’Armenia agendo, nei limiti del
possibile, presso le potenze occidentali e avviando i primi contatti in vista di
regolari rapporti diplomatici con il nuovo Stato. In ogni caso, Benedetto XV ha
compiuto passi significativi a sostegno degli armeni: la sua Nota alle potenze
belligeranti, inviata il 1° agosto 1917, al punto numero 5 invocava «l’assetto
dell’Armenia», alla pari di quanto si chiedeva per gli Stati balcanici e per la
Polonia. A chi potesse obiettare che, forse, l’appoggio all’Armenia, da parte del
soglio pontificio, non fosse del tutto disinteressato, c’è invece da rispondere,
che la Santa Sede aveva semplicemente a cuore le sorti di un popolo fiero e
nobile, orgoglioso del suo “primato” di nazione cristiana, perseguitato e
condannato a rischiare persino l’estinzione.

San Giovanni Paolo II e gli armeni
Il 9 novembre 2000 Papa Giovanni Paolo II e il Catholicos Karekin II, il capo
della Chiesa apostolica armena, firmavano a Roma un «comunicato congiunto»
nel quale si parlava esplicitamente del «genocidio armeno»: “I capi delle
nazioni non temevano più Dio né essi provavano vergogna di fronte al genere
umano. Il XX secolo è stato contrassegnato per noi da una estrema violenza. Il
genocidio armeno, all’inizio del secolo, ha costituito un prologo agli orrori che
sarebbero seguito. Due guerre mondiali, innumerevoli conflitti regionali e
campagne di sterminio deliberatamente organizzate che hanno tolto la vita a
milioni di fedeli”. L’iniziativa provocò una durissima reazione diplomatica della
Turchia. Mercoledì 26 settembre 2001 durante il viaggio in Armenia, San
Giovanni Paolo II e S.S. Karekin II si recarono al Memoriale di
Tzitzernakaberd, complesso architettonico costruito a Yerevan a ricordo delle
vittime armene cadute nel 1915 per mano dell’Impero Ottomano. Anche se Papa
Woytila, evitò di usare la parola “genocidio”, i riferimenti furono altrettanto
espliciti e senza ambiguità. Dopo aver pregato insieme per tutte le vittime della
nazione armena e per la pace nel mondo, il Papa recitò una preghiera, le cui parole
fanno riflettere:
“O Giudice dei vivi e dei morti, abbi pietà di noi!
Ascolta, o Signore, il lamento che si leva da questo luogo,
l’invocazione dei morti dagli abissi del Metz Yeghérn,
il grido del sangue innocente che implora come il sangue di Abele,
come Rachele che piange per i suoi figli perché non sono più.
Guarda al popolo di questa terra,
che da così lungo tempo ha posto in te la sua fiducia,
che è passato attraverso la grande tribolazione
e mai è venuto meno alla fedeltà verso di te.
Asciuga ogni lacrima dai suoi occhi
e fa che la sua agonia nel ventesimo secolo
lasci il posto ad una messe di vita che dura per sempre.
Profondamente turbati dalla terribile violenza inflitta al popolo armeno,
ci chiediamo con sgomento come il mondo possa ancora
conoscere aberrazioni tanto disumane.
Ma rinnovando la nostra speranza nella tua promessa, o Signore,
imploriamo riposo per i defunti nella pace che non ha fine,
e la guarigione, mediante la potenza del tuo amore, di ferite ancora aperte.
La nostra anima anela a te, Signore, più che la sentinella il mattino,
mentre attendiamo il compimento della redenzione conquistata sulla Croce,
la luce di Pasqua che è l’alba di una vita invincibile,
la gloria della nuova Gerusalemme dove la morte non sarà più.
O Giudice dei vivi e dei morti, abbi pietà di noi!
Signore pietà, Cristo pietà, Signore pietà (in Armeno)”.

Benedetto XVI e gli armeni
Benedetto XVI, ricevendo Nerses Bedros XIX Tarmouni, patriarca di Cilicia
degli armeni, il 20 Marzo 2006, accompagnato dai componenti del Sinodo
patriarcale, nel discorso pubblico affermò: “La Chiesa armena, che fa
riferimento al Patriarcato di Cilicia, è certamente partecipe a pieno titolo delle
vicende storiche vissute dal popolo armeno lungo i secoli e, in particolare, delle
sofferenze che esso ha patito in nome della fede cristiana negli anni della
terribile persecuzione che resta nella storia col nome tristemente significativo di
Metz Yeghèrn, il Grande Male”.

Papa Francesco e gli armeni
Papa Francesco alla presenza delle più alte cariche ecclesiali ed istituzionali
armene, nell’ormai famosa e storica Celebrazione di commemorazione,
affermò: “In diverse occasioni ho definito questo tempo un tempo di guerra,
una terza guerra mondiale ‘a pezzi’, in cui assistiamo quotidianamente a
crimini efferati, a massacri sanguinosi e alla follia della distruzione. Purtroppo
ancora oggi sentiamo il grido soffocato e trascurato di tanti nostri fratelli e
sorelle inermi, che a causa della loro fede in Cristo o della loro appartenenza
etnica vengono pubblicamente e atrocemente uccisi – decapitati, crocifissi,
bruciati vivi –, oppure costretti ad abbandonare la loro terra.
La nostra umanità ha vissuto nel secolo scorso tre grandi tragedie inaudite: la
prima, quella che generalmente viene considerata come «il primo genocidio del
XX secolo» (Giovanni Paolo II e Karekin II, Dichiarazione Comune,
Etchmiadzin, 27 settembre 2001); essa ha colpito il vostro popolo armeno –
prima nazione cristiana –, insieme ai siri cattolici e ortodossi, agli assiri, ai
caldei e ai greci. Furono uccisi vescovi, sacerdoti, religiosi, donne, uomini,
anziani e persino bambini e malati indifesi. Le altre due furono quelle
perpetrate dal nazismo e dallo stalinismo. E più recentemente altri stermini di
massa, come quelli in Cambogia, in Ruanda, in Burundi, in Bosnia. Eppure
sembra che l’umanità non riesca a cessare di versare sangue innocente. Sembra
che l’entusiasmo sorto alla fine della seconda guerra mondiale stia
scomparendo e dissolvendosi. Pare che la famiglia umana rifiuti di imparare
dai propri errori causati dalla legge del terrore; e così ancora oggi c’è chi
cerca di eliminare i propri simili, con l’aiuto di alcuni e con il silenzio complice
di altri che rimangono spettatori. Non abbiamo ancora imparato che “la guerra
è una follia, una inutile strage”.

Armenia ed Israele: un’amicizia mancata

Il genocidio degli armeni è culminato nel 1915-1917 nell’Impero ottomano è
riconosciuto a livello internazionale dalla Chiesa cattolica, da una trentina di
Stati e numerose istituzioni locali. In questo numero di Paesi non rientra però
Israele. Nonostante una certa simpatia per l’Armenia, lo Stato ebraico ha
continuato a condurre la sua politica nel Caucaso secondo linee della
Realpolitik. Nello scontro ormai decennale tra azeri e armeni, l’Azerbaigian è
risultato utile a Israele nel suo confronto con l’Iran. Non c’è memoria condivisa
che tenga: Israele sostiene Baku. Oggi però questa fragilissima “intesa”, è
appesa ad un filo. Gli azeri sono strettissimi alleati della Turchia di Erdogan,
con i quali i rapporti diplomatici si sono deteriorati a causa dell’appoggio che il
governo turco ha dimostrato nei confronti di Hamas, dopo l’attacco del gruppo
terroristico ad Israele, il 07 ottobre 2023. Altresì, la piccola comunità amena
presente a Gerusalemme, è coinvolta in una crisi senza precendenti con le
autorità politiche di Gerusalemme e con i coloni israeliani, che vogliono
occupare alcuni zone di prorietà armena. Durnate il mese e mezzo della prima
guerra nel Nagorno Karabakh combattuta tra il 27 settembre e 10 novembre
2020, in cui gli azeri riconquistarono buona parte dei territori che aveva perso a
vantaggio dell’Armenia negli anni Novanta, emerse con chiarezza chi erano gli
alleati degli azeri. Il conflitto provocò almeno cinquemila morti e si interruppe
con l’armistizio imposto dalla Russia agli armeni, militarmente sconfitti. Un
gran numero di armeni fuggì dalle zone conquistate dagli azeri e da quelle
passate sotto il controllo della stessa Russia, che dispiegò duemila uomini come
forza di interposizione. L’Azerbaigian ebbe il sopravvento nell’offensiva perché
sostenuto dalla Turchia, sua stretta alleata, che lo avrebbe rifornito sia di forze
mercenarie provenienti dalla Siria, sia di tecnologie avanzate, come i droni.
Ma anche Israele fu indirettamente coinvolto nel conflitto. Questo appoggio
però, segnò ulteriolmente una profonda frattura con il popolo armeno. Secondo
il Sipri di Stoccolma, il principale centro di ricerca sugli armamenti, nel periodo
2014-2018, Israele è stato l’ottavo esportatore mondiale di armi, con il 3,1 per
cento del giro d’affari mondiale, e, dopo l’India, il principale acquirente di armi
israeliane è stato proprio l’Azerbaigian, che rifornisce una quota considerevole
dei consumi israeliani di gas e petrolio. Questo Paese, che fino al 1992 era parte
dell’Urss, è di lingua e cultura appartenente all’area turca, e in maggioranza è
musulmano sciita. Ma, come scriveva il Times of Israel nel marzo 2019:
“L’Azerbaigian è visto come un importante alleato dello Stato ebraico, poiché
condivide un confine con la nemesi di Israele, l’Iran”. Dunque, le relazioni
diplomatiche fra Armenia e Israele non sono semplici. I rapporti diplomatici tra
Tel Aviv e Yerevan (indipendente dal 1992), infatti, non si sono consolidati
come si potrebbe immaginare e lo Stato ebraico ha mantenuto relazioni di basso
profilo. Ma ad aumentare la delusione degli armeni, desiderosi di vedere
riconosciuto a livello internazionale il loro tragico passato storico, vi è anche il
rifiuto dello Stato ebraico di compiere questo passo, anche se le forze di
opposizione nella Knesset hanno più volte cercato di far approvare
ufficialmente il riconoscimento. Come abbiamo potuto notare, le guerre che
insagiunano il Medio Oriene e la vicina Asia, sono collegate tra di loro. I fuochi
da spegnere sono tantissimi. E come ha ripetuto il Patriarca Pizzaballa, per
giungere alla pace, per donare ai popoli violentati e offesi la serenità e
necessario partire dal basso, affinchè si possano spegnere le divisioni e
finalmente camminare insieme uniti nella fraternità.

Salvatore Lazzzara

Vai al sito