Il potere delle diaspore (Città Nuova 09.03.24)
Armeni, curdi, fenici, ebrei: quattro popoli che vivono in sequenza geografica, da nord a sud, nella regione del pianeta che, dalla Seconda guerra mondiale, anzi, dall’inizio del XX secolo, conosce una notevole diaspora delle singole popolazioni (avrei potuto aggiungere anche il popolo palestinese, che però ha connotazioni spesso diverse da quelle che vedremo di seguito). Ognuno di questi quattro popoli ha una sua storia precisa e unica, ma nello stesso tempo vi sono diversi elementi che li accomunano.
In primo luogo, sono ponti tra il blocco asiatico e quello europeo; hanno poi uno spiccato senso degli affari, in quanto sono inseriti, chi più chi meno, negli ingranaggi dell’economia mondiale; in terzo luogo, sono stati e talvolta sono anche oggi perseguitati, se non hanno addirittura conosciuto veri genocidi; sono tra l’altro accomunati dall’esiguità dei loro territori; hanno poi una fortissima identità nazionale mantenuta nei secoli limitando al massimo il “meticciato” per alleanze matrimoniali; infine, la maggioranza di questi popoli vive in diaspora, in altri Paesi, con percentuali che variano, ma che superano per tutti e quattro i popoli la metà della popolazione. Sono diaspore che vanno indietro nei secoli e che sempre e comunque rimangono legate a doppia mandata al loro popolo e al loro territorio.
La diaspora ha solitamente ragioni molteplici: ad esempio, quella che ha colpito l’Italia nella seconda metà del XIX secolo e nella prima metà del XX aveva ragioni economiche – non c’era lavoro sufficiente – e politiche – i regimi totalitari e le varie guerre −, avendo come risultato la partenza di milioni di persone. Spesso, a tali ragioni economiche e politiche vi si aggiungono motivazioni ambientali e naturalistiche, oltre all’ingerenza negli affari interni di potenze straniere, che intervengono per fare incetta di risorse naturali e per occupare posizioni geostrategiche.
Dati questi elementi comuni alle diaspore che hanno colpito e colpiscono i quattro popoli scelti, viene da chiedersi quali influenze abbiano gli espatriati sulla porzione di popolo rimasto in patria. La più forte non è quella economica, come si sarebbe portati a credere, visto che tutti e quattro i popoli non riuscirebbero a sopravvivere senza l’apporto di denaro delle proprie diaspore sparse sul pianeta: esempio ne sia la crescita esponenziale, in un Libano senza praticamente più Stato e banche, in un sistema economico che potrebbe essere definito “senza leggi e in contante”, delle agenzie di trasferimento fondi; o, ancora, il contributo della diaspora ebraica alla guerra di Israele contro Hamas, con un incremento che si stima al 25% delle rimesse. Ma anche curdi e armeni non riuscirebbero a sopravvivere senza i cospicui contribuiti che arrivano dall’estero, in valuta (il dollaro, immancabilmente, molto più solido delle monete locali).
Dunque, l’aspetto economico e quello finanziario hanno il loro peso, ma ancor più importante, anche se non quantificabile, è la spinta identitaria. Gli emigrati, anche grazie agli strumenti digitali, sono ormai in contatto quotidiano con la madre patria, dove solitamente hanno lasciato genitori e nonni, i vecchi, perché naturalmente sono i più giovani che fanno il balzo verso l’estero, spesso e volentieri per mantenere la famiglia o per motivi di sicurezza. Non di rado, anzi molto frequentemente, questi espatriati mantengono o acquistano piccole o grandi proprietà in madre patria, dove tornano almeno una volta all’anno. Le campagne, in questi quattro Paesi, sono punteggiate da case in stile “eclettico”, spesso inguardabili, che rimangono vuote tutto l’anno, salvo nei periodi di vacanza. Il ritorno periodico serve a incoraggiare chi resta in patria a mantenere salda l’identità del popolo.
Corollario a tale motivazione identitaria è il sostegno che coloro che sono in diaspora danno nel caso dello scoppio di qualche conflittualità, latente o attuale. Sono stato ad esempio sorpreso dal sostegno della diaspora armena ai cittadini in patria nei tristi momenti (per loro, non per gli azeri) dell’ultima guerra-lampo per il Nagorno Karabakh, mentre è notorio l’appoggio materiale e morale della diaspora curda alle gravissime emergenze belliche nelle porzioni di territorio che ricadono su Siria, Iraq e Turchia: il popolo curdo, lo sappiamo, non ha una sua patria indipendente, a differenza degli altri tre popoli qui presi in considerazione.
Di più, le diaspore curda, armena, ebraica e libanese si manifestano quasi sempre più belligeranti della parte rimasta in patria. Non è un fenomeno sconosciuto a chi si occupa di storia e di geopolitica, ma è l’intensità nutrita dai social network a colpire. Cito i social perché è macroscopica la massa di informazioni false o unilaterali che giungono alle diaspore dai Paesi di origine, o prodotte dalle stesse diaspore e inviate in patria, che modificano la realtà per contrastare i nemici di turno. Impressionante il fake o deep fake che circola a proposito del 7 ottobre e della susseguente reazione israeliana.
Non abbiamo poi affrontato il tema dell’influsso delle credenze religiose sulle diaspore di questi quattro popoli, ma è indubbio che siano presenti, spesso creando un mix politico-religioso di effetto certo e, non raramente, tutt’altro che atto a favorire pace e riconciliazione.