Nuova costituzione per l’Armenia? L’opposizione dice no (Osservatorio Balcani e Caucaso 15.02.24)
Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha in mente di cambiare la costituzione del paese. Secondo alcuni la nuova costituzione è funzionale ad un potenziale accordo di pace con l’Azerbaijan. L’opposizione però fa muro e grida allo scandalo
Nelle ultime settimane, a Yerevan corrono voci secondo cui il primo ministro armeno Nikol Pashinyan starebbe puntando a importanti modifiche costituzionali in vista di un potenziale accordo per normalizzare le relazioni con l’Azerbaijan.
Sebbene la riforma costituzionale sia un leitmotiv di tutti i governi, il 19 gennaio, durante la visita al ministero della Giustizia, Pashinyan ha chiarito che i cambiamenti che ha in mente vanno ben oltre una riforma.
“[…] la Repubblica d’Armenia ha bisogno di una nuova Costituzione”, ha affermato. “Non emendamenti costituzionali, ma una nuova Costituzione”.
Il 23 gennaio, il ministero della Giustizia ha presentato un piano di riforma in cui raccomandava di trasformare l’attuale sistema di governo “stabile” o “maggioritario” in un modello minoritario per rendere meno probabile che un partito monopolizzi il potere. In particolare, però, la Costituzione “dovrebbe rendere il Paese più competitivo nel nuovo contesto geopolitico”.
L’opposizione armena ha reagito duramente, interpretando queste parole come una conferma che Yerevan è pronta a fare ulteriori concessioni a Baku per firmare il tanto atteso accordo di pace. In particolare, i critici ritengono che il governo intenda rimuovere un controverso preambolo della Costituzione attuale che fa riferimento alla Dichiarazione di Indipendenza del 1990.
La dichiarazione menziona una decisione congiunta del 1989 sulla “riunificazione della Repubblica socialista sovietica armena e della regione montuosa del Karabakh”. Nell’agosto dello scorso anno, Pashinyan aveva già alimentato tali speculazioni sottolineando che la dichiarazione conteneva una “narrazione conflittuale con l’ambiente regionale che ci ha tenuti in costante conflitto con i nostri vicini”.
Parlando il 24 gennaio scorso, il ministro degli Esteri armeno Ararat Mirzoyan ha confermato che Baku aveva sollevato preoccupazioni riguardo al preambolo della costituzione e riguardo altre leggi. La discussione probabilmente farà parte dei colloqui, ha confessato, ma il primo febbraio il presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev ha avvertito che il mancato cambiamento della costituzione potrebbe impedire qualsiasi accordo.
Yerevan si affretta a sottolineare che la riforma costituzionale è pianificata da tempo. Pashinyan ha ottenuto il potere nel 2018, quando Serzh Sargsyan aveva tentato di mantenerlo oltre i due mandati presidenziali, diventando primo ministro in base ad una costituzione riformata tre anni prima. Pashinyan ha tentato di riformare la costituzione nell’aprile 2020, ma la pandemia, la guerra dei 44 giorni e le successive elezioni anticipate gli hanno impedito di farlo.
Dall’anno scorso, però, l’opposizione accusa Pashinyan anche di voler inaugurare una “quarta repubblica” per prendere le distanze dalla terza, la repubblica post-sovietica dell’Armenia formatasi nel 1991. Il primo febbraio, in un’intervista ad Armenian Public Radio, non ha negato tali affermazioni. Secondo i critici, ciò potrebbe estendersi al cambiamento dei simboli di stato.
L’anno scorso, ad esempio, Pashinyan si è opposto ad alcuni dei simboli attuali presenti sullo stemma del paese, e in particolare alla raffigurazione del Monte Ararat, situato nella vicina Turchia. Quest’anno, anche il presidente dell’Assemblea nazionale Alen Simonyan ha suggerito di cambiare l’inno, cosa che sostiene dal 2019, quasi un anno dopo la Rivoluzione di velluto del 2018 di Pashinyan.
Nel 2004, la Georgia aveva cambiato i suoi simboli (bandiera, stemma e inno nazionale) di stato in seguito alla Rivoluzione delle Rose del 2003.
L’opposizione sostiene che l’elettorato rifiuterebbe tali cambiamenti, soprattutto se credesse che dietro di loro ci sia la pressione di Baku, e forse anche di Ankara. Ci sono anche altri potenziali ostacoli. Affinché un referendum passi, non solo dovrebbe essere d’accordo oltre il 50% degli elettori, e non dovrebbero essere inferiori al 25% dell’elettorato totale.
Anche se gli armeni accettassero i cambiamenti, data la bassa affluenza alle urne alle elezioni municipali di Yerevan dello scorso anno ciò potrebbe rivelarsi un’impresa ardua. Secondo altri, tra cui l’alleato di Pashinyan Aram Sargsyan (fratello del defunto primo ministro e ministro della Difesa assassinato nella sparatoria parlamentare del 27 ottobre 1999), indire un referendum in concomitanza con le elezioni anticipate potrebbe essere una possibile soluzione.
Ciò è in linea con altre voci che suggeriscono nuove elezioni parlamentari anticipate dato il calo del gradimento di Pashinyan. Sebbene l’opposizione non sia molto popolare, il sostegno del governo potrebbe scendere ancora entro il 2026, quando saranno previste le prossime elezioni.
“Per quanto ho capito […], il referendum si terrà al più tardi quest’autunno, e non ho dubbi che si terrà lo stesso giorno delle nuove elezioni parlamentari”, ha detto Sargsyan al Servizio Armenia di RFE/RL la settimana scorsa . “Penso che non dispiacerebbe […] farlo questa primavera [ma] organizzare un referendum costituzionale richiede molto tempo”.