La storia di Giorgio e Armen Petrosyan, campioni di Kickboxing: “Le notti in strada a Milano: poi un sacerdote ci ha cambiato la vita” (Il Riformista 19.11.23)

Giorgio e Armen Petrosyan sono due campioni di Kickboxing, immigrati dall’Armenia oggi cittadini italiani. Giorgio combatte da sempre con la bandiera italiana, è considerato il più grande kick boxer di tutti i tempi. Oltre ad essere due atleti sono due imprenditori e vivono a Milano.

Come state?
Giorgio: «Bene, ci stiamo preparando per la terza edizione del Petrosyan Mania Gold Edition il 25 novembre a Milano».
Dove per la prima volta tu Giorgio sarai sotto il ring e Armen tu sfiderai il campione in carica Sanchez.
Armen: «Si e mi preparo da mesi».
Come?
Armen: «Con la disciplina. Due ore di allenamento la mattina, due il pomeriggio, dieta e niente uscite la sera».
Cosa pensate prima di salire sul ring?
Giorgio: «A vincere».
E quando non si vince?
Giorgio: «Meglio che non ci penso».

La sconfitta fa parte della vita dei campioni…
Armen: «Si certo, si dice ma poi non è così, la kickboxing non è come il calcio che dopo una partita ne hai un’altra, noi con un match ci giochiamo tutto, abbiamo solo quella possibilità e ci prepariamo per mesi per un titolo mondiale, possiamo solo salire sul ring, combattere bene e vincere».
Nel vostro team avete un mental coach?
Giorgio: «No, per la testa sei tu contro i tuoi demoni».
La vostra è una storia di rivalsa, siete immigrati dall’Armenia nel 1999 e tu Giorgio sei arrivato per primo con tuo papà e un fratello più grande, avevi 13 anni…
Giorgio: «Si siamo scappati dall’Armenia nascosti in un camion e non sapevamo dove saremmo arrivati, volevamo solo venire in Europa e dopo 15 giorni di viaggio siamo scesi a Milano, l’autista ci ha lasciati alla stazione centrale ed è tornato indietro. La stazione è diventata la nostra casa, abbiamo dormito per terra, al freddo, era inverno».
Per quanto tempo?
Giorgio: «Mesi, andavamo dalla polizia a dire che non avevamo documenti ma non ci davano retta e per questo eravamo obbligati a vivere per strada, senza documenti non puoi fare niente».
Cosa provavi?
Giorgio: «Mi dispiaceva vedere mio padre soffrire per noi, per lui sì che era difficile, ci aveva portati via dall’Armenia per darci una vita migliore e si ritrovava per la strada. Io mi ammalavo spesso con febbre a 40 e tonsilliti, lui non poteva fare nulla e si sentiva responsabile».

Dopo Milano siete andati a Torino, poi a Gorizia, tuo padre ce l’ha fatta a togliervi dalla strada.
Giorgio: «Si, a Gorizia abbiamo vissuto quasi 5 mesi alla Caritas, avevamo chiesto asilo politico ma non ce lo hanno concesso, in cambio ci hanno mandato un foglio di via dove dicevano che in 15 giorni avremmo dovuto lasciare l’Italia. Per fortuna un sacerdote ci ha aiutati, si chiamava Don Ruggero, ci ha fatto da garante e mio padre ha ottenuto un documento provvisorio che gli permetteva di lavorare. Da lì le cose sono andate sempre meglio».
Come arriva la kickboxing nella vostra vita?
Giorgio: «Io mi sono sempre allenato, a 11 anni in Armenia andavo a correre alle 6 del mattino e poi andavo a scuola, avevo già le idee chiare e mio padre mi seguiva, mi portava in palestra e diceva ai suoi amici: “Mio figlio un giorno diventerà il numero uno, diventerà un campione”. Gli devo tutto, è grazie a lui se sono qui, se ho fatto questa carriera, lui mi ha motivato e messo sulla strada giusta, mi ha sempre detto di non preoccuparmi, di allenarmi seriamente e che un giorno sarei diventato il più forte di tutti. Lui era la testa, io ascoltavo e facevo tutto quello che mi diceva di fare».

Quando sei arrivato a Milano e ti sei trovato a vivere per strada hai mai provato rabbia?
Giorgio: «No mai, la mia rabbia era la determinazione, la fame mi ha dato la grinta di voler arrivare, la mia ossessione è diventata una passione e mi sono allenato ogni giorno per arrivare dove volevo. Alla fine ci sono riuscito».
Negli ultimi anni è esplosa la violenza tra i più giovani, poi anche esibita sui social, perché secondo voi?
Giorgio: «Insegno in palestra e vedo la differenza tra noi e i ragazzi di oggi che non hanno nessun rispetto per gli adulti, i social network poi sono la vera rovina, noi giocavamo tutto il giorno per strada con il pallone, oggi stanno davanti ad un schermo da soli».
Armen: «La cosa più sbagliata è che quando un bambino va male a scuola il genitore per punizione gli toglie lo sport, ma lascia il telefono».
Giorgio: «Dovrebbero fare il contrario, togliere telefono e uscite e fargli fare più sport, perché lo sport e ancor di più il nostro ti porta via dalle strade che sono piene di droga e violenza, con lo sport impari il rispetto, usi la testa».
Armen: «Hai regole, una disciplina che devi rispettare, i genitori non capiscono che uno sport come il nostro ti può servire nella vita per avere degli obiettivi veri».

Spesso però gli sport da combattimento sono associati alla violenza.
Giorgio: «Questo è vero, ma non è così, la kickboxing non la fai per usare la violenza, violenza vuol dire violare le regole, nel nostro sport ci sono regole, noi combattiamo finisce il match e ci abbracciamo».
Armen: «C’è più violenza nel calcio, dove il tifo è violento, si menano distruggono tutto».
Neanche un mese fa un fatto di cronaca con al centro il rapper Shiva, e due lottatori di Mma.
Giorgio: «Non chiamiamoli sportivi, sono due scappati di casa, quelli prima di fare i lottatori hanno avuto problemi con la giustizia, non fanno parte del nostro giro. I rapper poi non danno un bell’esempio, parlano di soldi, orologi e pistole, i ragazzini non capiscono che si tratta di un mondo finto e li vogliono solo imitare».
Armen: «I ragazzi oggi non hanno obiettivi in cui credere e per i quali faticare. Sono abituati ad avere tutto facile, bisogna credere nei sogni e non mollare al primo ostacolo».
Ora siete cittadini italiani, ne siete orgogliosi?
Giorgio: «Si molto perché ho sempre combattuto per l’Italia, ho combattuto il torneo Gloria a Roma e ho ricevuto la lettera dal Presidente Napolitano. Sono orgoglioso di essere un campione italiano, di portare la bandiera italiana. Io e mio fratello abbiamo preso la cittadinanza per meriti sportivi è una cosa unica».
La vostra è una storia di integrazione, cosa pensate del problema dell’immigrazione in Italia?
Giorgio: «Non siamo tutti uguali, anche tra gli immigrati ci sono persone perbene e quelle che non lo sono, che spacciano, violentano e fanno del male per questo dovrebbero esserci delle regole severe. Chi sbaglia deve pagare, deve essere punito. In Italia mancano le regole. Guarda quello che sta succedendo a Milano, dove è diventato pericoloso anche andare in giro in pieno giorno in centro, la sera una ragazza sola non può più girare. Queste cose in Armenia non potrebbero succedere, una donna non si tocca, lì può andare in giro anche alle tre di notte da sola e stare tranquilla. A Milano tutto è permesso, chi delinque viene arrestato e il giorno dopo è fuori. I politici poi non fanno niente, promettono e basta».

Vi sentite più italiani o più armeni oggi?
Giorgio: «Il sangue è armeno ma noi ci sentiamo italiani».
Armen: «Già da piccolo il mio sogno era vivere in Italia, ero tifoso della Juve».
Quanto siete fieri di tutto quello che avete costruito?
Armen: «Tanto, nessuno ci ha regalato niente, tutto quello che abbiamo lo abbiamo costruito con sudore e sacrificio, ne siamo contenti e andiamo avanti lavorando e insegnando, questo sport ci ha salvato la vita, ci ha tolto dalla strada».
Vi dico delle parole e mi rispondete di getto, amicizia: «Fratelli», amore: «Famiglia e lavoro», Passione: «Sport», ultimo film che avete visto? Giorgio: «Il ladro di Parigi, molto interessante», Armen: «Oppenheimer», ultimo libro letto? Giorgio: «Agassi, anche lui armeno», Armen: «Io non leggo quasi mai e l’ultimo è stato quello di mio fratello», ultimo viaggio che avete fatto? Giorgio: «Siamo stati in vacanza in Armenia insieme e abbiamo visto posti che non conoscevamo», se aveste solo un desiderio quale sarebbe? «Di avere sempre nuovi obiettivi».

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