LA GUERRA PER IL NAGORNO KARABAKH: INTERVISTA ALL’AUTORE
È appena uscito per Mattioli 1885 editore un nuovo libro che racconta la vicenda del Nagorno Karabakh (Artsakh) con l’aggiornamento fino agli ultimi drammatici giorni.
Non possiamo che rallegrarci per questa nuova uscita perché la sofferenza del popolo armeno dell’Artsakh non può essere dimenticata e bisogna mantenere accesi i riflettori su quanto accaduto e soprattutto su quello che potrebbe ancora succedere. Abbiamo rivolto alcune domande all’autore, Emanuele Aliprandi.
Un nuovo libro sulla guerra per il Nagorno Karabakh. Una storia senza fine …
Il libro è pubblicato nella collana “Archivio Storia”. Ma quanto narratovi non è ancora Storia, appartiene alla cronaca – tragica, angosciante, complicata – di questi ultimi tre anni che abbiamo vissuto da vicino, tra rabbia e rassegnazione, speranza e delusioni
Racconto le vicissitudini di un popolo alla disperata ricerca di una pace nella propria terra natale e che invece ha solo conosciuto il dramma di un esodo forzato tra guerre e tregue, interessi regionali e ipocriti attori internazionali, passando per nove mesi di assedio per fame fino agli ultimi drammatici giorni della repubblica di Artsakh, della fuga precipitosa di un intero popolo che abbandona ogni cosa per non cadere nelle mani del nemico.
Aliyev ha vinto la sua guerra per il Nagorno Karabakh, ci aspettiamo la pace?
I tempi per un definitivo accordo di pace non sembrano ancora maturi nonostante diversi attori internazionali, prima su tutti l’Unione europea, spingano per una firma.
Aliyev in gioventù era un giocatore d’azzardo, il padre Haidar fece chiudere tutti i casinò del Paese. Forse l’attuale presidente vuole ancora rischiare, sente la fortuna (e soprattutto la congiuntura internazionale) dalla sua parte.
Reclama le exclave di epoca sovietica in Armenia, vuole il Syunik (Zangezur) ovvero l’Armenia del sud, proclama come “terre storiche azerbaigiane” vaste porzioni del Paese confinante fino addirittura alla capitale Erevan. Potrebbe essere solleticato dal dare una nuova spallata al vicino… E poi c’è la questione interna.
Cioè?
Da vent’anni a questa parte, da quando è salito al potere succedendo al padre, e soprattutto negli ultimi anni, la politica azera è sempre ruotata intorno al concetto del “nemico” armeno. In un Paese agli ultimi posti al mondo per rispetto dei diritti civili e politici, questa narrazione è servita a compattare l’opinione pubblica specie nelle frange più popolari. Un domani che dovesse essere firmata la pace con l’Armenia il consenso (molto cresciuto dopo la vittoria del 2020) finirebbe inevitabilmente con l’esaurirsi e affiorerebbero i problemi di uno Stato corrotto dove la ricchezza è in mano a poche famiglie. Ecco perché Aliyev ha continuato ad attaccare l’Armenia e gli armeni, non si è accontentato del successo di tre anni fa, ha perseverato in una retorica di minaccia che continua anche ora che ha raggiunto il pieno obiettivo che si era prefisso.
La conquista del Nagorno Karabakh…
Di più. La conquista della regione senza armeni. Che, come spiego nel libro, avrebbero rappresentato un problema all’interno del regime azerbaigiano. Oltre centomila persone libere (teoricamente) di girare per tutto il Paese, con insormontabili problemi di inserimento (a partire dalla lingua). E non dimentichiamo il fatto che il Nagorno Karabakh-Artsakh è, era, Paese sostanzialmente libero e democratico: non semplice per la popolazione finire amministrata da un sistema con un indice di democrazia quasi nullo.
Quindi l’esodo in massa della popolazione armena è stato un errore?
Forse politicamente sì. Ma bisogna capire quella gente che in massa, in dieci giorni, ha abbandonato tutto. Il ricordo di cosa avevano fatto gli azeri ai soldati e ai civili armeni durante la guerra del 2020 era troppo fresco per rischiare di rimanere sul posto.
Però questa volta non ci sono state evidenze di massacri o atti di barbarie…
A parte il fatto che ventiquattro ore di combattimenti tra il 19 e il 20 settembre sono costati complessivamente un altro mezzo migliaio di morti…, va sottolineato come i comandi militari azeri in questa ultima azione di guerra abbiano imposto un divieto assoluto ai propri soldati di postare sui social. Eccezion fatta per qualche video dove si vedono gli azeri sparare su case e monumenti, non è apparso altro sulle piattaforme.
Però, a metà ottobre è uscito un rapporto dell’ombudsman dell’Armenia che evidenzia come su molti corpi di cittadini del Karabakh (resti trovati dalle squadre di ricerca della Croce Rossa e portati in Armenia) vi fossero evidenti segni di torture e mutilazioni.
Insomma, la gente è scappata da lì perché non si fidava a restare.
Il Nagorno Karabakh è dunque un capitolo chiuso?
Mai dire mai. E tutto dipende da quanto Aliyev vorrà azzardare. Il rischio che la guerra per il Nagorno Karabakh si trasferisca su un altro fronte è alto. Aliyev punta all’Armenia, ora. Ma la Storia ci ha insegnato che le fortune di certi autocrati presidenti possono virare bruscamente e da “dittatori utili” (citazione Draghi) si trasformano in un peso per le diplomazie mondiali.
Aliyev è stato abile nello sfruttare la situazione contingente creatasi con la guerra in Ucraina e il relativo intreccio di alleanze e interessi con Turchia e Russia. Però tutto finisce prima o poi (si spera) e allora l’utilità di certi personaggi potrebbe venire meno: quanto vorrà rischiare?