Antonia Arslan, un libro sulla sua storia famigliare di sopravvissuti al genocidio armeno (Il Messaggero 18.04.23)
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Dalla fotografia di questa bimbetta, sorella di suo nonno, ritrovata a casa di un cugino che oggi vive in America la Arslan ne ha tratto uno spaccato storico ricco di colpi di scena ma pieno di poesia, dove il dolore che affiora dalle pagine si mescola alla speranza, il coraggio si avvicina alla rinascita e al riscatto del cuore.
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Sopravvivere non è mai facile specie se il peso della memoria si trascina nel silenzio fino a immaginare il resto degli eventi. Aghavnì aveva 23 anni quando uscì di casa con i suoi bambini e da allora nessuno seppe più nulla di lei. Eppure l’amore di chi è sopravvissuto allo sterminio ha attraversato oltre un secolo fino a farla rivivere in un immaginario presepe, nel giorno di Natale. «E fu così che il Bambino arrivò, atteso e festeggiato anche nel solitario villaggio sulla montagna». Arslan si concede un resoconto fiabesco a riprova che l’amore per la vita prevale sul buio della notte del cuore e traccia sovente disegni impensabili.
L’ultima pagina del romanzo storico è incorniciata in un fotografia nella quale appare una coppia di benestanti signori ottocenteschi. Lui ha un paio di vistosi baffoni, veste un completo austero mentre lei indossa un elegante modello di sartoria lungo fino ai piedi e chiuso al collo, secondo la moda di quel periodo. Sotto appare la scritta: Noemi e Levon Arslanian, fratello minore di Aghavnì. 1912.