L’Azerbaigian, con avallo turco, provoca l’Armenia (Il Manifesto 16.12.22)
Questa settimana si è aperto un nuovo round del braccio di ferro fra Azerbaigian ed Armenia per il controllo dell’enclave del Nagorno-Karabakh. Con l’ovvio supporto del governo di Baku, centinaia di attivisti di sedicenti organizzazioni ambientaliste azerbaigiane hanno bloccato i collegamenti fra Erevan e le comunità armene in territorio azero. Inoltre, gli azeri hanno bloccato le forniture di gas i cui condotti passano attraverso aree da loro controllate.
Dopo il crollo dell’Urss, la regione è rimasta per 26 anni separata de facto da Baku. Nel frattempo l’Azerbaigian è divenuto una potenza petrolifera in grado di esercitare una crescente pressione militare sui vicini, fino a debellarli decisamente a seguito di una guerra durata 44 giorni nell’autunno 2020.
LA PULIZIA ETNICA degli armeni del Karabakh è stata evitata dall’intervento della Russia che ha dispiegato in Karabakh una forza d’interposizione di 2000 uomini. Per trent’anni Mosca ha approfittato del conflitto armeno-azero per fare dell’Armenia la propria principale base in direzione del Medio Oriente. Dopo il dispiegamento del 2020, le posizioni russe sembravano destinate a rafforzarsi. Il conflitto in Ucraina ha però rimescolato le carte.
Con la Russia in difficoltà, l’Azerbaigian ha ripreso l’iniziativa. Dopo uno stillicidio di scontri, a metà settembre gli azeri hanno scatenato un’offensiva che li ha portati a conquistare parti del territorio armeno falciando oltre 200 militari nemici. Questa settimana si è aggiunta la nuova tattica delle «proteste civili» ad ostruire il cordone ombelicale che connette gli armeni del Karabakh alla madrepatria, il cosiddetto Corridoio di Lachin.
Con ogni evidenza, Baku vuole chiudere la partita del Karabakh forzando gli armeni a sottoscrivere un accordo di pace che sancisca la definitiva rinuncia ad ogni pretesa sulle terre riconquistate. In secondo luogo, l’Azerbaigian vuole che l’Armenia acconsenta all’apertura sul proprio territorio di un secondo corridoio che lo colleghi all’exclave del Nakichevan e tramite questa alla Turchia, alleata e nume tutelare del regime azero della famiglia Aliev.
IL TUTTO CREA una situazione estremamente pericolosa per gli interessi strategici russi nel Caucaso. Qui, come nelle altre marche di confine del defunto impero sovietico, la Russia veda la propria potenza erodersi in seguito all’avventata invasione dell’Ucraina.
La presenza della Turchia di Erdogan dietro gli azeri costringe i russi a subire le mosse del tandem dei due paesi turcofoni. Il comportamento del contingente russo in Karabakh, privo di regole d’ingaggio precise e quindi finora incapace a reagire ai gruppi civili azeri e a rimuovere il blocco, esemplifica l’impasse in cui Mosca si è venuta a trovare nella regione.
Priva di garanzie e con l’acqua alla gola (la popolazione armena è meno di un terzo di quella azera, il suo Pil, un decimo), Erevan è impegnata in una frenetica ricerca di alternative ai russi. In tale situazione cercano d’inserirsi statunitensi ed europei, il cui braccio di ferro con Mosca si allarga a tutte le repubbliche ex-sovietiche.
Bruxelles, che aveva vissuto come uno smacco l’adesione di Erevan all’Unione eurasiatica di Mosca nel 2013, moltiplica le iniziative di dialogo fra i due belligeranti ed ha dispiegato una missione di 40 osservatori dal lato armeno della linea del fronte. Tuttavia l’Europa è anche più che mai interessata al gas ed al petrolio dell’Azerbaigian e dunque è difficile che possa fare la differenza su questo teatro, al pari di tutte le altre iniziative Ue nello spazio post-sovietico.
ANCHE GLI IRANIANI, preoccupati come i russi dal consolidamento dell’asse turcco fra Turchia ed Azerbaigian, stanno cercando di rafforzare le proprie posizioni sulle incertezze armene. Al vertice dei paesi turcofoni di Samarcanda di novembre, il presidente Aliev ha accusato l’Iran di opprimere la sua popolazione azera (il 20% dei cittadini iraniani).
Dal canto suo, Baku persegue il clero pro-iraniano sciita, confessione a cui fa riferimento l’85% della popolazione dell’Azerbaigian. Un ulteriore elemento di tensione deriva dal fatto che, oltre che ai turchi, l’Azerbaigian ha permesso anche agli israeliani di dislocare infrastrutture militari sul proprio territorio.
La molteplicità delle linee d’attrito continua a fare del Caucaso un campo minato geopolitico.