Letture, il destino degli armeni perseguitati in Turchia (AciStampa 25.11.22)
E’ una bella giornata di primavera del 1915, nella “piccola città armena” dell’Anatolia. Dalla veranda inondata di sole di una grande casa esce con passo leggero una bella e giovane ragazza, Aghavnì, esce di casa con il marito e i due figli piccoli, Vogliono fare una passeggiata, andare a trovare una delle tante zie che fanno parte delle loro grandi famiglie.
Pochi passi, nel sole, mentre i bimbi saltellano felici. I due giovani genitori respirano la stessa aria leggera, ma un’inquietudine profonda li segue come una nube nera. Si parla, sottovoce, del ritorno di tempi cupi per gli armeni, che però in generale non possono credere che si prepari una minaccia contro di loro, che ormai fanno parte del grande apparato dell’Impero ottomano, fanno parte dell’intellighenzia, sono professori, scrittori, giornalisti, artisti apprezzati. Sono commercianti e artigiani benestanti, ricchi e rispettati. Dunque perché mai dovrebbero essere perseguitati? Impossibile…Aghavnì e Alfred, e i loro bei figli, Zabel e Garò, da quella passeggiata non faranno mai più ritorno.
Sono stati uccisi? O sono stati rapiti? I parenti si tormentano, fanno ricerche, non si rassegnano. Però pochi giorni dopo sarà messo in atto il terribile piano del genocidio degli armeni e nell’imperversare dei terribili eventi, dopo tante ricerche, anche il loro ricordo svanisce. Non per Antonia Arslan che nel suo nuovo libro, ‘Il destino di Aghavnì’ , che esce per le edizioni Ares, ricompone, come i frammenti di una fotografia antica, il volto e la storia di questa giovane donna e della sua famiglia. Una storia che comincia nel sole e nell’azzurro della primavera e si conclude nel freddo e nel gelo di un Natale strano, davanti un presepio messo insieme in modo quasi furtivo, che invece riesce a sciogliere il dolore e la violenza, la morte e la rinascita.
La Arslan, scrittrice, traduttrice, saggista, autrice del bestseller ‘La Masseria delle allodole’ (2004), diventato un film dei fratelli Taviani, è stata ispirata nel raccontare il destino da Aghavnì proprio grazie da una vecchia fotografia di famiglia, ritrovata a casa di un cugino in America. Ha scoperto così la vicenda perduta di questa ragazza scomparsa e da qui è venuto fuori questo racconto poetico e doloroso.
“Questa storia non è ‘vera’, ma è molto verosimile”, ha spiegato l’autrice. Qualche anno ha anni fa era in visita ad cugino che vive a Manchester, New Hampshire. Il quale ha mostrato carte e foto di famiglia, fra cui una foto – del 1912 – di tre sorelle di suo nonno, sorridenti e con vestiti uguali. Due l’Arslan le conosceva, della terza il cugino dice: “Questa è Aghavnì’, la sorella scomparsa”.
La scrittrice non aveva mai saputo della sua esistenza. Ma quella foto non ha mai smesso di ritornare nei suoi pensieri e a suscitare domande, ipotesi, suggestioni, finchè, qualche mese fa, non ha deciso di rendere concrete queste idee, le figure hanno preso forme precise e ne è nato questo racconto lungo, o romanzo breve. Una storia terribile e insieme capace di infondere coraggio, così bene incarnato nello spirito indomito delle donne armene, simboli vivente di questa capacità di resistere, nonostante la solitudine, il dolore che spacca il cuore e il corpo, finite in famiglie turche, curde, arabe, e a questi tutte viene imposto di non ricordare più nulla del loro passato, della proprie radici, della loro identità. Cancellare la memoria, era l’intento. Ma hanno saputo resistere e quella memoria non solo l’hanno conservata ma sono riuscite a tramandarla. La tragedia del genocidio del popolo armeno si intreccia con quella di tante vite spezzate come quella della perduta zia di Antonia Arslan.
Per Aghavni’ il destino si compie davanti a una piccola capanna fatta di brandelli di stoffa colorata e di statuine di metallo, per rievocare la nascita del Bambino e la storia della salvezza per l’umanità intera. Davanti a quel presepio cresciuto di giorno in giorno, di nascosto, perché la giovane madre si trova ormai da mesi in prigionia, con tutta la famiglia, presso un villaggio nelle montagne, ridotta a fare la serva, lei che viveva come una piccola principessa, in una specie di nuvola dorata. Ora, vestita di abiti informi e vecchi, con le mani rese rosse e screpolate dai duri lavori domestici, con un fazzoletto che nasconde i capelli una volta lucidi e folti, la donna riversa nel presepio tutta la tenerezza, la gioia di vivere, le speranze che un tempo il suo cuore generava liberamente e che ora ha imparato a trattenere, a nascondere. Ma la fede, l’amore, la speranza, la volontà di rinascere sono più forti dell’odio, del rancore, del desiderio di vendetta. La vita non è un sentiero diritto e privo di ostacoli. Ad una svolta tutto può cambiare. Ma affidandosi ad un Amore più grande si può camminare anche nella valle più oscura. E cercare la luce.