Sulla via della normalizzazione tra Armenia e Turchia (Treccani 11.02.22)
Turchia e Armenia provano a parlarsi, di nuovo. Vicini separati da un confine di oltre 300 km che resta chiuso da quasi 30 anni, Ankara e Yerevan hanno relazioni storicamente molto complicate ma recentemente la diplomazia ha cominciato a muovere piccoli passi e, per il momento, è l’ottimismo a prevalere. Il ministero degli Esteri turco ha definito «costruttivo e positivo» il primo incontro che si è svolto a Mosca, il 14 gennaio, tra un rappresentante nominato dalla Turchia e uno dall’Armenia per condurre un percorso di normalizzazione dei rapporti che, sempre secondo il comunicato del ministero, si svolgerà «senza precondizioni». Per guidare il processo, Ankara ha incaricato un diplomatico di lungo corso, l’ex ambasciatore turco a Washington, Tokyo e Beirut Serdar Kılıç, mentre Yerevan ha scelto il trentunenne Ruben Rubinyan, già presidente del Parlamento armeno e stretto consigliere del premier Nikol Pashinyan. Dopo il primo incontro a Mosca, si vedranno di nuovo il 24 febbraio, questa volta a Vienna, per tentare di ottenere una normalizzazione delle relazioni che in 30 anni si è soltanto intravista senza mai diventare una prospettiva reale.
Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, le repubbliche indipendenti di Armenia e Azerbaigian iniziarono un conflitto per il territorio conteso del Nagorno-Karabakh e Ankara si schierò dalla parte di Baku. L’appoggio della Turchia all’Azerbaigian provocò la chiusura del confine e la rottura dei rapporti con l’Armenia che dal 1993 ha mantenuto il controllo sulla regione disputata. Una nuova guerra tra settembre e novembre 2020 ha rovesciato la situazione e l’Azerbaigian, sostenuto militarmente da Ankara, è riuscito a prendere controllo di gran parte dei territori del Nagorno-Karabakh. In poco più di un anno dalla fine del conflitto, si sono visti sporadici scontri, mentre quasi 2.000 soldati russi pattugliano ancora la zona con l’obiettivo di mantenere il cessate il fuoco firmato da Armenia e Azerbaigian, con la mediazione di Mosca, a fine 2020. L’armistizio ha evidentemente segnato una traumatica sconfitta per Yerevan che dopo quasi 30 anni perde una vasta regione in parte formata dall’autoproclamata ed etnicamente armena Repubblica di Artsakh. A causa delle strette relazioni con l’Azerbaigian – che la Turchia considera un Paese vicino per affinità a livello linguistico, culturale e religioso – il controllo dell’Armenia sul Nagorno-Karabakh era anche il principale motivo per cui Ankara aveva interrotto le relazioni diplomatiche con Yerevan. In questo senso, la sconfitta sul campo di battaglia ha paradossalmente creato le condizioni affinché Armenia e Turchia possano tornare a dialogare. I precedenti tentativi di normalizzazione tra Ankara e Yerevan non funzionarono soprattutto a causa di pressioni azere sulla Turchia per la presenza armena nel territorio disputato. Ma da più di un anno Baku esercita solidamente il controllo su quelle aree, che precedentemente considerava occupate, e per questo motivo il processo di normalizzazione in corso potrebbe questa volta avere successo al contrario di alcuni tentativi nel passato che si rivelarono fallimentari.
I protocolli per la normalizzazione firmati il 10 ottobre 2009 a Zurigo dai ministri degli Esteri di Turchia e Armenia non furono però ratificati l’anno successivo dall’attuale presidente turco Recep Tayyip Erdoğan che all’epoca era primo ministro e, insieme all’ex capo di Stato Abdullah Gül, aveva negli anni precedenti dimostrato di essere il primo leader politico turco aperto a una normalizzazione con Yerevan. Dopo più di 10 anni, Erdoğan occupa ancora il vertice della politica turca e oggi, con una situazione sul campo di battaglia completamente diversa e un netto cambiamento nei rapporti di forza ora sbilanciati a favore di Baku, il leader turco ha chiarito che vuole tornare a dialogare con l’Armenia. Nei giorni del primo anniversario del conflitto in Nagorno-Karabakh del 2020 è stato lo stesso Erdoğan ad affermare che «la Turchia non ha alcun problema a normalizzare i rapporti con l’Armenia», aggiungendo che la distensione delle relazioni avrebbe potuto avvenire solo «se Yerevan mostrerà una volontà sincera a risolvere i suoi problemi con l’Azerbaigian». Poche settimane dopo, sono stati nominati rappresentanti diplomatici per guidare il processo di normalizzazione ed è stato annunciato che collegamenti aerei diretti tra Turchia e Armenia sarebbero ripresi dopo una pausa di oltre 2 anni. Il 2 febbraio c’è stato il primo volo tra Istanbul e Yerevan mentre Ankara ha invitato il ministro degli Esteri armeno Ararat Mirzoyan a un importante forum diplomatico internazionale che si svolgerà in Turchia, ad Antalya, tra l’11 e il 13 marzo. Yerevan sembra avere accolto l’invito positivamente e se la visita avrà davvero luogo potenzialmente sarà di grande importanza visto che all’Antalya Diplomacy Forum parteciperà anche il ministro degli Esteri azero e la Turchia potrebbe trovarsi ad ospitare un faccia a faccia tra i due dopo il conflitto del 2020. «Lasciamo che Armenia e Azerbaigian possano esprimersi qui» è stato il commento del ministro degli Esteri turco Mevlüt Ҫavuşoglu che ha sottolineato come un incontro tra autorità armene e azere in Turchia potrebbe rivelarsi un’occasione per sviluppare un rapporto di fiducia tra Baku e Yerevan.
Stabilire normali relazioni diplomatiche tra Turchia e Armenia porterebbe a una serie di prospettive vantaggiose per entrambi se si considerano potenziali cooperazioni dal punto di vista turistico e commerciale che potrebbero realizzarsi con l’apertura del confine. Le premesse per una buona riuscita oggi ci sono anche se non si dovrebbe confondere la normalizzazione delle relazioni diplomatiche con una riconciliazione tra i due Paesi a partire, ad esempio, dalla memoria storica che ancora non è condivisa tra il popolo turco e quello armeno. Lo spettro dei massacri di Armeni in epoca ottomana, che hanno avuto il loro apice nel 1915, incombe ancora sul presente, rappresenta un argomento a dir poco sensibile e Ankara continua a non accettare, e forse non accetterà mai, la definizione di “genocidio” per descrivere quel momento storico. Una normalizzazione dei rapporti diplomatici non potrebbe avere un effetto diretto sul delicato territorio del racconto di un passato macchiato da sanguinosi conflitti. Nello stesso tempo, considerate le circostanze, inaugurare rapporti diplomatici normali rappresenta forse il primo passo per gettare le basi di un riavvicinamento tra i due popoli che dovrebbe essere sviluppato a livello culturale, sociale, letterario e di memoria storica. Una riconciliazione che sarebbe molto gradita alla popolazione armena di Turchia, oggi ridotta a poco più di 50.000 persone ma custode della memoria di un patrimonio che si perde nei secoli presente a Istanbul, e in molte altre zone del territorio della Repubblica di Turchia, che non è stato completamente cancellato nemmeno dopo i drammi del XX secolo.