Gli armeni del Nagorno Karabakh rivendicano la propria sovranità (Asianews 03.01.22)
Mosca (AsiaNews) – L’Assemblea nazionale della repubblica (non riconosciuta) del Nagorno-Karabakh ha approvato una mozione in cui dichiara il proprio disaccordo con le posizioni del primo ministro di Erevan, Nikol Pašinyan, riguardo alle conseguenze del conflitto con l’Azerbaigian dello scorso anno. A ciò si aggiunge la durissima dichiarazione di Araik Arutjunyan, presidente del Karabakh, che suona come una presa di distanza della repubblica separatista dall’Armenia.
La piccola repubblica, chiamata “Artsakh” in lingua armena, conta circa 150mila abitanti e un territorio di circa 3000 km2. Di fatto è una enclave nel territorio dell’Azerbaigian, controllata almeno parzialmente dagli armeni locali; può comunicare con la patria attraverso lo stretto corridoio montano di Laҫin, di tre chilometri di lunghezza e nove metri di larghezza, protetto dalle forze di pace della Federazione Russa.
La partecipazione di Pašinyan al summit dei leader della Comunità degli Stati indipendenti a San Pietroburgo il 28 dicembre ha provocato la reazione degli armeni del Karabakh. Il giorno prima, durante una conferenza stampa, il premier armeno aveva scaricato sui suoi predecessori le colpe per la sconfitta nel territorio separatista. La posizione di Pašinyan è stata criticata anche a Erevan dalle opposizioni, soprattutto dall’ex presidente Robert Kočaryan, che il 29 dicembre ha accusato in modo aperto il primo ministro di tradimento nei confronti degli interessi nazionali.
Anche un altro ex presidente, Serž Sargsyan, ha annunciato un incontro pubblico in gennaio sulla questione, che con ogni probabilità sarà altrettanto impietoso nei confronti di Pašinyan. In tutto questo Arutjunyan ha voluto ribadire che “solo le autorità dell’Artsakh hanno il diritto di parlare a nome della popolazione locale”.
Arutjunyan ha sottolineato che lo scopo principale da raggiungere è il riconoscimento internazionale dell’indipendenza dell’Artsakh, e che non sarà accettabile nessuna forma di autonomia all’interno dell’Azerbaigian, come quelle a cui sembra lasciare spazio di trattativa il premier armeno. Secondo gli armeni del Karabakh non esiste possibilità di convivenza pacifica con gli azeri, e il loro territorio va riportato ai confini del 1991, quando ha avuto inizio il conflitto con Baku per la zona montuosa. Per Arutjunyan, le truppe russe schierate nella zona dovrebbero favorire la costituzione di un esercito locale dell’Artsakh, rimanendo finché sarà necessario, e questo dovrebbe essere l’obiettivo di Pašinyan nelle trattative con Putin.
Il Parlamento di Stepanakert – la capitale della repubblica separatista – ha ribadito le posizioni del suo presidente, dichiarando inammissibili i pronunciamenti di qualunque politico e partito che metta in dubbio il futuro armeno dell’Artsakh, soprattutto scagliandosi contro le dichiarazioni di Pašinyan, giudicandole troppo ambigue e pericolose. Il premier aveva assicurato che lo status del Nagorno Karabakh sarebbe rimasto sul tavolo delle trattative, e che “le basi giuridiche e politiche dell’indipendenza armena della zona non sono in contraddizione con le posizioni dei mediatori e delle strutture internazionali che si occupano della vicenda”.
Gli armeni del Karabakh temono di essere vittime dei giochi diplomatici, e non vogliono rinunciare alla propria sovranità anche a costo di andare contro Erevan. Lo speaker del Parlamento di Stepanakert, Ašot Gulyan, ha paragonato le parole di Pašinyan allo “stile del 1937”, quando Stalin aveva annesso per la prima volta il Karabakh all’Azerbaigian, dando inizio alla faida montana dei due popoli caucasici, da sempre divisi per lingua, cultura e religione.