Benifei: “Sanzionare i fedelissimi di Erdogan per fermare la repressione in Turchia” (Gazzettadimantova 29.04.21)

«Erdogan utilizza la lotta al terrorismo come scusa per la repressione. Servono sanzioni mirate per spingere la Turchia a interrompere i processi politici e rispettare i diritti umani». Brando Benifei, capo delegazione Pd al Parlamento Ue, parla da Ankara, dove lunedì, insieme all’eurodeputata svedese di origine curda Evin Incir, ha assistito alla prima udienza del processo Kobane, il maxi caso giudiziario che ha portato alla sbarra 108 membri del partito filo-curdo Hdp, tra cui il leader storico Selahattin Demirtas.
Qual è la loro colpa?
«L’accusa ufficiale è di aver fomentato i disordini di ottobre 2014, quando i curdi protestarono contro l’inazione di Ankara di fronte all’avanzata dell’Isis a Kobane. In quei giorni ci furono 37 morti e 700 feriti. Per i giudici i responsabili sono i dirigenti dell’Hdp. Ma è evidente che si tratta di una farsa, l’obiettivo è estrometterli dal voto».

Un processo politico, insomma.
«Esatto. L’unica colpa che hanno gli imputati è di aver espresso solidarietà a Kobane. Sono processati per un tweet o una dichiarazione sbagliata. Per noi Kobane è sinonimo di resistenza, ma per Erdogan rappresenta una minaccia, il simbolo di quella voglia di autonomia curda che il presidente turco non tollera».
Pensa che il mondo abbia abbandonato i curdi?
«Sicuramente, soprattutto a partire dal presidente americano Donald Trump, che nel 2019 ha dato luce verde a Erdogan per invadere il nord-est della Siria. Con Biden spero che le cose cambino. Oggi l’Europa ha l’occasione per farsi sentire. Abbiamo sanzionato il cerchio magico di Putin per Navalny, forse è il caso di fare lo stesso con Erdogan. Non possiamo tollerare la violazione dei diritti umani e la dissoluzione dello stato di diritto».
Lunedì sono stati emessi 500 mandati di cattura nei confronti di militari. La repressione non riguarda solo i curdi, giusto?
«La messa in stato di accusa è utilizzata per rafforzare la catena di comando intorno a Erdogan, è una strategia volta a irrobustire il regime».
L’ultimo rapporto del Consiglio d’Europa indica la Turchia come uno dei Paesi con i più alti tassi di incarcerazione, 357 prigionieri ogni 100mila abitanti. Come si spiegano questi numeri?
«L’incarcerazione preventiva viene usata come forma di intimidazione, è per questo che le celle esplodono».
Erdogan è uscito dalla convenzione di Istanbul. Qual è la condizione delle donne?
«La società turca è mista, il presidente ha voluto spostare l’equilibrio verso la componente conservatrice. E’ anche per questo che odia i curdi, tra loro le donne godono di ampie libertà».
Biden ha riconosciuto il genocidio armeno. I rapporti tesi tra Usa-Turchia possono compromettere il futuro della Nato?
«Sicuramente c’è bisogno di un chiarimento da parte di Ankara, soprattutto dopo le ambiguità in Siria. Ma una crisi della Nato non fa comodo a nessuno. L’Europa ha l’occasione per giocare di sponda con Washington, però deve prima dotarsi di una politica estera unitaria».
Resta il nodo dei migranti, con il quale Erdogan ci ricatta.
«Sui migranti la penso come Letta, serve un “next generation migration”. Solo così potremo svincolarci dai ricatti della Turchia».
Dopo il sofagate, il rapporto dell’Europa con Ankara è cambiato?
«Il sofagate ha messo in evidenza le contraddizioni dell’Ue, Erdogan ne ha solo approfittato».
Però le parole di Draghi, che ha definito il leader turco un dittatore, hanno lasciato il segno. Le relazioni sono compromesse?
«Non credo. Italia e Turchia hanno legami storici, e non possono che migliorare se Ankara dimostra di fare passi avanti sui diritti umani».

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