Jean Jaurès, Discorso alla Camera dei Deputati francese, 1897
Le letture fondamentali sul conflitto tra armeni e azeri in Nagorno-Karabakh
“Nel momento stesso in cui stiamo parlando, i massacri dell’Armenia ricominciano e le popolazioni armene, di nuovo, vengono massacrate,” tuonava Jean Jaurès nel suo storico discorso alla Camera dei Deputati francese. Era il 1897, ai prodromi del genocidio. La sua era una radicale condanna del silenzio dell’opinione pubblica occidentale, un invito a prendere apertamente posizione. Le parole di Jaurès risuonano oggi più attuali che mai, perché il massacro di un popolo non può che riguardare l’umanità intera. Gli scontri sanguinosi del Nagorno-Karabakh ci ricordano che la tragedia è ancora viva. Non possiamo più voltare la testa dall’altra parte, è dovere di ognuno schierarsi e spezzare la catena di complicità e silenzio.
Gli osservatori internazionali parlano ormai apertamente di una guerra in corso tra armeni e azeri. Un lungo conflitto che, tra escalation e tentativi di pace, prosegue ormai da trent’anni: esattamente dal 1988, quando nel Sumgait scoppiò una violenta “caccia all’armeno” che sfociò nel vero e proprio massacro. Allora, le autorità sovietiche fecero di tutto per far passare sotto silenzio quanto accadde. I risultati, oggi, sono sotto gli occhi di tutti.
Per comprendere le ragioni profonde di questa tragedia, Guerini e Associati propone alcuni libri fondamentali, che gettano luce su una ferita ancora aperta nel cuore del Caucaso. Una ferita con la quale occorre fare i conti:
La tragedia di Sumgait di Samuel Shahmuradian
1988, Sumgait, repubblica sovietica dell’Azerbaigian: tre giorni di caccia all’armeno e il primo dei conflitti interetnici dell’Unione Sovietica. Chi avrebbe potuto prevenire ciò che è accaduto tra azeri e armeni, uniti fino a quel momento dagli ideali del comunismo? Le testimonianze tragiche dei sopravvissuti sono un drammatico appello alla responsabilità individuale e pubblica. E tuttavia i giusti ci sono stati anche a Sumgait, ed è in nome della verità dei fatti che sorge l’imperativo di valorizzare quegli episodi nei quali alcuni azeri hanno saputo dire “no”. A cura di Pietro Kuciukian. Introduzione di Rouben Karapetian. Presentazione di Bernard Kouchner. Prefazione di Elena Bonner.
Baku, Azerbaigian, sera di dicembre: un ferito giunge in ospedale. È un noto attore azero che ha difeso un vecchio armeno da un linciaggio ed è stato per questo massacrato da fanatici azeri. È il 1990 e di nuovo la violenza si scatena contro gli armeni. Questo racconto, intenso e poetico, è una testimonianza coraggiosa del pogrom contro gli armeni che l’Azerbaigian ha conosciuto negli anni post-sovietici, quando sono tornate a galla tensioni sopite e mai risolte. Una ferita fresca ancora lontana dal rimarginarsi. Con Sogni di pietra, l’autore manda un grande messaggio di fratellanza, dialogo e tolleranza, nella speranza di porre finalmente fine alla violenza.
Un viaggio attraverso una fra le più belle regioni del Caucaso e, nello stesso tempo, fra le più insanguinate: la guerra fra Azerbaigian e Armenia per il Nagorno-Karabagh ha causato 30.000 morti e quasi un milione di sfollati, diventando teatro di uno dei conflitti etno-politici per eccellenza degli anni a cavallo tra gli Ottanta e i Novanta del secolo scorso, “conflitto congelato” che oggi torna tristemente sulla scena mondiale. Uno scenario reso ancora più preoccupante dalla situazione regionale di tensione, che attraversa il Caucaso come non si registrava da tempo, e dalla delicata situazione mondiale a livello politico, economico e sanitario.
Dall’Armenia al sud della Georgia, la regione del Giavakh, quella che l’autore chiama «Terza Armenia», a indicare la condizione di minoranza senza pari diritti che gli armeni si trovano a vivere nella loro storia tormentata. In queste terre di frontiera, le categorie della geopolitica sono insufficienti a districare il groviglio di tensioni e di conflitti che serpeggiano nell’era post-sovietica. Presentazione di Guido Olimpio.
Piegata da una crescente miseria, approdo di migliaia di profughi siriani e stremata dalla guerra del Nagorno-Karabakh, l’Armenia lotta oggi per la sua sopravvivenza. Il volume accompagna il lettore alla scoperta di questo Paese ancora poco conosciuto. Non per raccontarne il passato – una memoria non pacificata, anche a causa del negazionismo che pesa sul primo genocidio del XX secolo – bensì un presente carico di sfide.
Con questo j’accuse Jaurès si rivolge al parlamento francese nel 1897 in difesa degli armeni perseguitati dagli ottomani. Come sottolinea Fontana nell’introduzione, «con la solennità del suo discorso, dimostra che la politica non ha frontiere e che la morale democratica impone la lotta contro la tirannide ovunque essa sia». Jaurès condanna la miopia dei francesi e il silenzio dell’opinione pubblica sui massacri armeni dichiarando che essi riguardano l’umanità intera. E si è solo ai prodromi del genocidio.
Nel 1915 l’Impero Ottomano cominciò a scacciare gli armeni dalle terre dove avevano vissuto da tempi immemorabili. Gli uomini furono uccisi; donne, vecchi e bambini furono deportati nella parte più inospitale del deserto siriano. Ma la pulizia etnica nell’Armenia occidentale era solo una parte del progetto dei Giovani Turchi per l’intera Anatolia, il cui scopo finale era di trasformare quelle terre nella «terra avita del popolo turco».
La Turchia odierna sta ancora cercando di costruire il suo vatan, proseguendo il genocidio iniziato dai turchi ottomani e continuando a negarlo, nell’assoluto disprezzo dei fatti e delle genti, del territorio e della storia.
Quando il Caucaso incontrò la Russia
di Aldo Ferrari
L’incontro tra Caucaso e Russia è stato per molti aspetti conflittuale. Questo incontro ha però conosciuto anche momenti di importante integrazione culturale. È noto il fascino esercitato dal Caucaso sulla cultura russa, in particolare sulla letteratura, da Puškin a Tolstoj. Ma vi furono anche dinamiche di scambio culturale attraverso cui le popolazioni caucasiche poterono accostarsi alla modernità europea attraverso la mediazione russa. Il volume delinea questo processo di modernizzazione culturale presentando cinque diverse personalità, ognuna con un forte valore paradigmatico nel rapporto tra Caucaso e Russia.
«Quanto ai Kuz’min non hanno nessuno al mondo… Né lì né altrove! Ma vivono l’uno per l’altro, questo sì! Quindi ovunque li portino, hanno sempre con sé la casa, la famiglia e il focolare. Tutti logori, sbrindellati, rattoppati, pieni di pidocchi – ecco come ci avevano ridotto nei dintorni di Mosca, e ora ci sembrava di fuggire via felici da noi stessi. Volavamo verso l’ignoto come i semi nel deserto. In realtà nel deserto della guerra. Ma prima o poi finiremo in una fessura, in una piccola fenditura, in un buco qualsiasi… E se fluirà la carezza premurosa dell’acqua viva, germoglieremo. Ma il fatto è che non interessiamo a nessuno. Potremmo anche non germogliare e cadere per sempre nell’oblio. E nessuno se ne preoccuperebbe. Che esistiamo o no è lo stesso».
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2020-10-15 17:10:482020-10-15 17:11:27"Bisogna salvare gli armeni" - Guerini e Associati
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