L’armeno Karekin II dal Papa a chiedere aiuto per la guerra in Nagorno Karabak: «Abbiamo paura» (Il Messaggero 27.09.20)
Città del Vaticano – All’Angelus Papa Francesco si è limitato a un generico appello per la pace nel Caucaso, invocando il ritorno al tavolo dei negoziati, ma senza sbilanciarsi o fare riferimento esplicito alla regione colpita del Nagorno Karabakh, contesa tra Armenia e Azerbaihan, i cui eserciti da stamattina si stanno bombardando. Eppure poche ore prima il Patriarca Karekin II, il Catholicos di tutti gli armeni, arrivato apposta da Yerevan, era stato ricevuto a Santa Marta. Si è trattato di una udienza drammatica viste le notizie che arrivano dalla zona di confine dove nella notte sono iniziati pesanti combattimenti con vittime civili da entrambe le parti. Karekin II ha chiesto aiuto al Vaticano e ha illustrato cosa sta accadendo in quella zona. Prima di ripartire ha rilasciato una intervista al Messaggero.
«Durante il colloquio gli ho raccontato cosa sta accadendo, entrando anche nei particolari. Gli ho spiegato dell’attacco dell’Azerbaijan lungo tutta la linea di confine con il Nagorno, fatta utilizzando gli ultimi tipi di armamenti pesanti, l’artiglieria e anche dei droni che hanno attaccato villaggi armeni. Ci sono vittime purtroppo. Una situazione che ci preoccupa e spaventa».
E il Papa come ha commentato?
«Ha detto che esprime dolore davanti a queste notizie. Poi ci ha informato che all’Angelus avrebbe fatto un appello per invocare la pace e il cessate il fuoco».
L’appello lo ha fatto parlando a grandi linee del Caucaso, senza parlare esplicitamente dell’Armenia o nel Nagorno. E’ deluso?
«Che vuole che le dica. E’ mio fratello spirituale è lui che decide come esprimersi. Naturalmente noi avremmo sperato in altre parole ma è lui che decide come esprimersi. Noi siamo fratelli con amore e convinzione e accettiamo le espressioni usate dal nostro fratello. Lui ha consigliato e ha invitato a tornare ai negoziati».
Lei è arrivato in Vaticano apposta per chiedere aiuto?
«Questa visita era prevista da tempo. Era prevista anche una tappa a Milano che però ho dovuto cancellare per stare vicino al mio popolo e tornare a Yerevan. Noi facciamo spesso visite in Italia e in Vaticano».
Avete pensato ad iniziative comunI?
«C’è collaborazione tra noi. Il Papa ci ha manifestato dolore e noi abbiamo condannato questo attacco, spiegandogli anche come la Turchia stia sostenendo l’Azerbajian ad intraprendere la guerra. Anche in questo contesto noi riteniamo che questo attacco sia stato immaginato con il supporto turco. Lo scopo è di rafforzare la propria posizione militare della Turchia nella regione posizionando gradualmente le proprie forze armate lungo il confine armeno».
Cosa ve lo fa pensare?
«Abbiamo appreso anche notizie che ci turbano. Per esempio si parla dell’invio di jihadisti. Visto l’odio in generale verso gli armeni nelle attività della regione non possiamo escludere questa dinamica. Siamo molto preoccupati».
Da anni sono in stallo i colloqui di pace condotti dall’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, che tenta una mediazione provando a rafforzare il cessate il fuoco del 1994 tramite il Gruppo di Minsk, con diplomatici di Francia, Russia e Usa. La questione del Nagorno è complessa ha origine con la Rivoluzione Bolscevica del 1917, quando il Karabakh fu inglobato nella Federazione Transcaucasica, che poi si divise tra Armenia, Azerbaigian e Georgia. Il territorio del Nagorno Karabakh venne rivendicato sia dagli armeni (che all’epoca costituivano il 98% della popolazione) sia dagli azeri. Per volere di Stalin il territorio passò all’Azerbaigian e nel 1923 venne creata l’Oblast’ Autonoma del Nagorno Karabakh.
Con la dissoluzione dell’Urss la questione riemerse. Gli armeni lamentando l’azerificazione forzata della regione con il supporto dell’Armenia iniziarono a mobilitarsi per riunire la regione alla madrepatria. Nel settembre 1991 il soviet locale, utilizzando la legislazione sovietica dell’epoca, dichiarò la nascita della nuova repubblica dopo che l’Azerbaigian aveva deciso di fuoriuscire dall’Unione Sovietica.
Seguirono un referendum ed elezioni ma nel gennaio dell’anno seguente la reazione militare azera accese il conflitto che si concluse con un accordo di cessate il fuoco nel 1993. Da allora sono in corso negoziati di pace sotto l’egida del Gruppo di Minsk.