Tra armeni e azeri torna a parlare l’artiglieria pesante: 24 morti (Ilmanifesto 15.07.20)
Una delle guerre più sanguinose della «disunione sovietica» tra azeri e armeni che sconvolse la regione del Nagorno-Karabakh tra il 1992 e il 1994, rischia di ritornare in auge. A partire dal 12 luglio nuovi violenti scontri ra i 2 paesi caucasici, i più duri dal 2016 e con un bilancio provvisorio di 24 morti, sono scoppiati al confine tra la provincia armena di Tavush e il distretto azero di Tovuz.
L’AREA DEL CONFLITTO è una zona montuosa, ma densamente popolata: più di 120 mila persone vivono infatti nella regione di Tavush e più di 170 mila nella regione di Tovuz. Secondo i giornalisti locali le sparatorie tra le truppe transfrontaliere della zona sono la norma ma mai finora si era usata l’artiglieria pesante.
Il problema fondamentale è che dal crollo dell’Urss non esiste più una demarcazione ufficiale del confine tra le 2 repubbliche. Per esempio nella zona ora occupata dall’Armenia tra i villaggi di Movses e Chinari dopo la guerra degli anni ’90 era rimasta a lungo in mano azera e questo è solo un esempio di come la situazione sia rimasta incerta nella regione e foriera di una ripresa generalizzata del conflitto. I due governi, come da prassi, si sono reciprocamente accusati di aver violato il cessate il fuoco.
Gli incidenti di questi giorni possono avere delle ripercussioni più ampie. In primo luogo potrebbero mettere la parola fine alla traballante alleanza, già minata dai dissidi in Libia, tra Erdogan e Putin. Il presidente turco non ha usato mezze parole: «Condanniamo fermamente gli attacchi dell’Armenia contro il fratello Azerbaigian. Questo è un attacco deliberato e il suo scopo è una provocazione per creare un nuovo focolaio di tensione nella regione e bloccare il processo di risoluzione del problema del Nagorno-Karabakh», ha affermato il leader turco. E il suo ministro della difesa, Hulusi Akar, ha aggiunto che le proprie forze armate sono pronte ad aiutare l’Azerbaigian secondo il principio di «una nazione, due Stati».
ASSAI PIÙ CAUTO Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino, che si è limitato a parlare di «forte preoccupazione». L’Armenia è membro dell’organizzazione difensiva guidata dalla Russia che comprende anche Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan secondo il cui statuto l’aggressione straniera contro uno Stato membro debba considerarsi aggressione contro tutti i paesi aderenti, ma il il portavoce del ministero della difesa armeno Artsrun Hovhannisyan ha voluto rassicurare che per ora «non c’è necessità di ricorrere agli alleati». Ocse e Ue chiedono, da parte loro, il ritorno di osservatori neutrali nella zona.
A rendere la situazione ulteriormente tesa, è la ripresa del nazionalismo estremista azero che si tinge di protesta sociale. Due giorni fa, in 30 mila a Baku sono scesi in piazza al grido di «dateci armi!» e «No alla quarantena, sì alla guerra». Il tentativo della folla di dare l’assalto al parlamento è stato respinto dalla polizia dopo violenti scontri nel centro cittadino protrattisi fino a tarda notte.